Annushka ha già versato l’olio

di

23 Novembre 2020

Il linguaggio delle proteste polacche

Le proteste della società polacca contro l’indicazione del Tribunale Costituzionale di mettere fuori legge l’aborto in caso di malformazioni del feto sono in una situazione di stallo.

Mentre si attende, da un momento all’altro, una nuova accelerazione del governo in questo senso, si guarda a quel che è successo e si ragiona su quali potranno essere le prossime forme di lotta. Nessuno si aspettava una reazione di questo tipo dal Paese: dal 22 ottobre, data della decisione del Tribunale, per una settimana oltre 600mila persone sono scese in piazza in tutte le città e finanche nei villaggi di campagna.

Blocchi del traffico, camminate, azioni organizzate in prossimità dell’inizio attraverso app e social media, con l’unica eccezione della grande marcia di Varsavia di venerdì 30 ottobre, preparata con largo anticipo come momento di forza collettiva.

Il carattere comune di queste manifestazioni, dal punto di vista organizzativo, si è rivelata senz’altro la spontaneità: gli slogan, i cartelli, la musica.

Diciamo subito che è impossibile trovare qualcuno che partecipi alla protesta senza qualcosa che lo caratterizzi: se non è un cartellone, uno striscione, una mascherina a tema sarà – almeno – l’abbigliamento.

Praticamente tutte le donne che scendono in piazza sono vestite di nero: il nero, riallacciandosi al movimento vittorioso czarny protest (protesta nera) di quattro anni fa, si può interpretare come il colore del lutto per la morte del diritto e dell’ennesimo tentativo di violenza contro l’autodeterminazione delle donne, ma contribuisce anche a caratterizzare in modo deciso le richieste di chi protesta. Altrettanto fanno gli slogan e i simboli che hanno acceso inizialmente la contestazione: WYPIERDALAĆ (Vaffanc*lo), TO JEST WOJNA (Questa è guerra), sono le parole d’ordine che hanno aperto l’ostilità; mentre JEBAĆ PiS (Fanc*lo al PiS, ovvero il partito di maggioranza) sulle note di Call on me del dj svedese Eric Prydz è diventato l’inno delle manifestazioni.

Anche il disegno del fulmine rosso che si sovrappone al profilo di donna, un simbolo creato quattro anni fa che qualcuno ha cercato di far somigliare a quello delle SS naziste, intende trasmettere tale determinazione.

Volgarismi. Una parte della società polacca più reazionaria (diciamo pure: bigotta) si è lungamente soffermata sui caratteri volgari e radicali degli slogan della protesta. Michał Rusinek, teorico della letteratura e studioso del linguaggio, ha approfondito argutamente questo aspetto della tematica.

Perché tra le migliaia di cartelli esposti, si chiede Rusinek, non ce n’è uno che reciti: “Jestem zaniepokojona” (Sono preoccupata)? La risposta sta nel cartello che abbiamo visto con i nostri occhi, e che recitava invece: “Zaniepokojona to ja byłam w 2016” (Preoccupata lo sono stata nel 2016). Come a dire: ora sono furibonda.

Del resto, il pronunciamento del Tribunale Costituzionale non lascia spazio alla discussione; mentre, agli occhi della protesta, così com’è è assolutamente irricevibile. In una situazione di aperta conflittualità come questa, certo non ci si può aspettare che gli slogan dei manifestanti tendano una mano a chi governa.

In secondo luogo, va sottolineato come in un sistema patriarcale alle donne non si “addicano” le parolacce: per questo, quando sono loro a gridarle o a metterle per iscritto, la forza di questi messaggi assume un aspetto di rivolta ancora più marcato.

Terzo, poi, i volgarismi appartengono alla sfera del linguaggio comandata dalle emozioni e la piazza, spinta da una contrapposizione come quella in atto, è il luogo dove avviene quella che Rusinek chiama demenalizacja (de-marginalizzazione, da menel: persona che vive ai margini della società) dei volgarismi.

Sulle emozioni, e sul fatto che esse si trasformino in volgarismi, agisce anche la forte componente giovanile dei manifestanti: moltissimi sono minorenni, un’altra gran parte non supera i trent’anni, pochi sono quelli dai quaranta in su.

Questa è (anche) la loro rivolta contro i cosiddetti dziaders, neologismo coniato in queste settimane e che si differenzia dai dziady (nonni, o antenati in genere, cui si deve rispetto). I dziaders si contraddistinguono per le loro idee antiquate sul ruolo delle donne, cui non ammettono di dover lasciare spazio, convinti per giunta della loro infallibilità. Si può essere dziader anche a vent’anni, certo, ma l’obiettivo è anzitutto il presidente del PiS, Jarosław Kaczyński.

Il fenomeno dei cartelli. Si tratta di un fenomeno così grande, all’interno delle proteste di questi giorni, che il Museo della Città di Danzica ha annunciato di volerne raccogliere quanti più possibile.
Un fenomeno certo dettato dalla spontaneità e dal carattere giovanile della piazza, come si evince dalla creatività dei messaggi.

Gli slogan più impegnati (“Myśle, czuję, decyduję”, Penso, sento, decido, “Moje ciało, mój wybór”, Il corpo è mio, la scelta è mia) sono accompagnati da cartelli e striscioni ironici, praticamente uno per persona. Alcuni dal respiro internazionale: “No women no kraj” (kraj significa Paese), altri ispirati alla tradizione delle proteste polacche: “Wychowali nas na romantyzowaniu powstań, a potem się dziwią, że protestujemy” (Ci hanno educati al romanticismo delle insurrezioni, e poi si stupiscono se protestiamo), altri dedicati al corpo femminile: “Moja pusia, nie Jarusia (la patata è mia e non di Kaczyński), altri ancora al gatto di Kaczyński: “Jarek, zajmij się swoim kotem” (Kaczyński, occupati del tuo gatto). Quelli tesi a sottolineare la gravità della situazione: “Jest tak źle,że przyszli nawet introwertycy(Va così male, che sono venuti persino gli introversi), declinati anche nella versione: “ Jest tak źle,że przyszli nawet poeci” (Va così male, che sono venuti persino i poeti). Ci ha molto stupito la presenza di vari cartelli con richiamo, più o meno diretto, all’Italia: “Pro-sciutto, Pro-choice, Pro-secco”, “Naziole myślą, że in vitro to nazwa włoskiej pizzerii” (I nazionalisti pensano che “in vitro” sia il nome di una pizzeria italiana), “PiS mysli, ze genitalia to wloskie linie lotnicze” (Il PiS crede che i genitali-a siano una low-cost italiana), “Ten rząd tak jest nam potrzebny jak Multipli alarm” (Questo governo ci è necessario quanto un allarme alla Multipla). Bellissima anche la versione di Bella ciao trasformata in Bella ciało (ciało significa: “corpo”) con testo adattato alla circostanza. Insomma, al momento la protesta è riuscita a mescolare i toni della rivendicazione più dura a quelli dell’ironia e del sarcasmo, tenendo lontana la violenza: una combinazione che l’ha fatta crescere a dismisura.

Letteratura e cartelli di protesta. Un fenomeno realmente eccezionale all’interno di quel che abbiamo chiamato “fenomeno dei cartelli” è quello dei riferimenti letterari, quello che Luigi Marinelli, professore di Lingua e Letteratura polacca alla Sapienza, ha definito literaturocentryzm della cultura polacca, a ribadire la centralità della letteratura nel Paese, e che coinvolge trasversalmente tutte le generazioni. Abbiamo analizzato alcuni tra quelli più ricorrenti.

PIEKŁO KOBIET (L’inferno delle donne): si tratta di una raccolta di articoli di Tadeusz Boy-Żeleński risalente al 1929 e pubblicata nel 1930, in cui lo scrittore polacco si occupa di aborto e dei diritti delle donne in merito. Si tratta di un riferimento costante delle proteste di questi giorni, che si trova un po’ ovunque anche nella forma più estesa e leggermente modificata: PIEKŁO KOBIET TRWA (L’inferno delle donne prosegue). Boy-Żeleński era anche un medico, si formò all’Università Jagellonica di Cracovia, e in questi suoi testi si oppone alla pena per le donne che decidono di abortire e all’ipocrisia di coloro che reclamano il diritto alla vita del feto disinteressandosi del bene e della salute della madre.

“Ed ecco la cosa peggiore! La legge è impotente: non può impedire alcunché, ma con la sua sola esistenza fa molto male, esercita un’influenza. Perché, stigmatizzando l’aborto come un crimine, lo vieta ai medici che tengono conto del codice, ma non impedisce ai vari farabutti di praticarlo, e nemmeno alle madri che si convincano a sperimentare misure “casalinghe” su se stesse. Il medico curante non interromperà la gravidanza (salvo indicazioni strettamente mediche), né in ospedale né presso la cassa dei malati. Così, mentre in questo caso i ricchi troveranno assistenza medica, i poveri ne resteranno privati” (testo completo in polacco qui)

JARKU, DAJ, AĆ JA POBRUSZĘ, A TY WYP**AJ (Jarek, dai a me, macino io e tu vai a farti fott*re): qui il riferimento è a quella che molti reputano la prima frase attestata in lingua polacca, che originariamente suona: “Dai a me, macino io, e tu riposati”, e che risale al 1270.

In questo caso, più che la denuncia della situazione sull’aborto, si ribadisce la forza e l’autonomia di genere oltre che la “distanza” da Kaczyński (Jarek, appunto): infatti, nella forma originale l’esortazione è rivolta dall’uomo verso la donna, mentre qui viene ribaltata poiché sono solitamente le donne a esporre questo cartello, uno dei più frequenti. Risulta evidente, inoltre, come Kaczyński – in questo caso e non soltanto – venga identificato come un anziano signore ormai in grado di fare ben poche cose, se non farsi da parte e guardare chi ha la forza e la volontà per prendere in mano il destino della nazione.

ANNUSZKA JUŻ ROZLAŁA OLEJ (Annushka ha già versato l’olio): qui siamo nel Maestro e Margherita (1928-1940) di Bulgakov. La frase completa suona così: “Annushka ha già comprato l’olio di girasole, e non solo l’ha comprato, ma lo ha anche versato”.

In questo modo Woland annuncia a Berlioz che una donna, a breve, gli taglierà la testa. Nella cornice di uno dei romanzi più vicini alla causa e al ruolo delle donne, benché scritto alla fine degli anni Venti del secolo scorso, Bulgakov utilizza un’immagine tipicamente legata alla sfera femminile dalla società del tempo (preparare da mangiare) per indicare quanto le redini del destino, in realtà, siano tenute in mano proprio dalle donne. Viene indicata l’irreversibilità degli eventi la cui forza trainante siano, appunto, le donne. Anche questo è un cartello molto presente.

ZŁO BOBREM ZWYCIĘŻAJ (Vinci il male con il castoro). Potrà sembrare incredibile, ma molti dei cartelli presenti prendono spunto dalla Bibbia e dai testi degli apostoli.

In particolare, questa frase di san Paolo, contenuta nell’Epistola ai Romani e poi ripresa da Giovanni Paolo II, suona originariamente così: “Zło dobrem zwyciężaj” (Vinci il male con il bene). Nella declinazione dei manifestanti, il male (ovvero Kaczyński) dev’essere sconfitto dal castoro, l’animale che si sono scelti proprio in contrapposizione al gatto posseduto dal leader del PiS e che richiama la peluria del pube femminile.

Altre volte, i riferimenti alla chiesa sono molto meno “blasfemi”. Una citazione molto presente è la seguente: “Chociażbym szła Nowogrodzką zła się nie ulęknę!” (Se dovessi camminare per via Nowogrodzka, non temerei alcun male), dal Salmo 23 di Davide che originariamente suona così: “Chociażbym chodził ciemną doliną, zła się nie ulęknę” (Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male). In questo caso, il riferimento è all’ospedale sulla Nowogrodzka a Varsavia dove vengono effettuati gli interventi di aborto. Un altro “classico” dalla Bibbia (Vangelo secondo Matteo) molto citato è: “Ci, którzy miecza dobywają, od miecza giną” (Chi di spada ferisce, di spada perisce).

ROMANTYCY XXI WIEKU! ZNÓW NADCIĄGAJĄ CZASY BURZY I NAPORU (Romantici del XXI secolo, è di nuovo tempo di Sturm und drang!”).

Molti cartelli prendono spunto dalla tradizione romantica letteraria polacca, un riferimento costante quando la patria cade preda di un potere straniero e non riconosciuto: “Ciemno wszędzie, głucho wszędzie, co to będzie” (Buio ovunque, silenzio ovunque, cos’accadrà dunque?). Qui siamo nella II parte dei Dziady (Gli avi, 1823) di Adam Mickiewicz, il poeta romantico polacco più importante.

Di Mickiewicz viene anche citato il verso dell’opera Pan Tadeusz (Il signor Taddeo, 1834): “Gdzie bursztynowy świerzop, gryka jak śnieg biała, tam Ty, Jarosławie Marny”, per indicare che la Polonia di un tempo cantata da Mickiewicz è ora comandata da Jarosław (Kaczyński), il “miserabile” (marny). Da un altro grande poeta romantico, Juliusz Słowacki, si prende spunto per questo cartello: “Na taką Polskę Kordian by nie skakał” (Per questa Polonia, Kordian non salterebbe). Il riferimento porta alla scena conclusiva del II atto del Kordian (1834), in cui il protagonista si getta idealmente da una nuvola per abbracciare la causa della patria. Ecco, per la Polonia di adesso, intende l’autore del cartello, Kordian non si sottoporrebbe a tale eroico gesto.

CZEMU TY SIĘ, ZŁA GODZINO, Z NIEPOTRZEBNYM MIESZASZ LĘKIEM? (Perché tu, ora malvagia,/dai paura e incertezza?). La letteratura polacca è presente nei cartelli della protesta anche nella sua declinazione moderna e contemporanea.

Non poteva certo mancare Wisława Szymborska, citata qui col suo componimento Nulla due volte per rimarcare il momento di tragica incertezza dell’uomo. Al 1929 risale invece la poesia di Julian Tuwim A un uomo semplice, meraviglioso manifesto pacifista, il cui verso: “Twoja jest krew, a ich jest nafta!” (Tuo è il sangue e loro è il petrolio!, testo completo in italiano qui) è citato più volte. Di contemporaneo, seppure non polacco, è anche il riferimento a Kundera e alla sua Insostenibile leggerezza dell’essere, trasformata nei cartelli della protesta in: “Nieznośna ciężkość PiS-u” (Insopportabile pesantezza del PiS).

Riferimenti letterari se ne trovano ancora moltissimi: a Sienkiewicz, a Harry Potter di J.K. Rowling, al mondo Marvel (“Tony Stark non è morto per questo mondo”), all’Amleto: “Citando l’Amleto, atto quinto, scena prima, verso 425: NO”. Ecco, questa mescolanza di alto-basso, di cultura e spontaneità è stata finora la marcia in più di queste manifestazioni tanto partecipate, al cui interno si trova davvero un po’ di tutto sia dal punto di vista generazionale che sociale. Quella che sta mettendo in crisi il governo.