Casa Covid. In quarantena, aspettando Godot.

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12 Aprile 2021

Una quarantena come le altre, in una famiglia come le altre.

Giorno 1
In principio fu un po’ di naso chiuso, quello che di solito viene ad ottobre e se ne va a maggio, e che quest’anno, sara’ stato tutto questo disinfettarsi qui e li’, non era ancora arrivato.
L’indomani sarebbe stato il primo compleanno di mio figlio (da qui in poi, Pupo), uno di quegli eventi per cui i neo-genitori sono piu’ emozionati del bambino, arriva la soddisfazione di aver completato il primo giro di boa ed esserne sopravvissuti, si arriva persino ad immaginare che prima o poi dormira’ tutta la notte, quel maledetto. Dovevo ancora preparare la torta; avevo istruito mio marito (da qui in poi, Marito) di svuotare Tiger di tutti gli addobbi e le scemenze possibili; e invitato le uniche persone invitabili: i familiari stretti.
Per non so quale motivo annidato da qualche parte nel mio cervello, decido di prenotarmi un tampone rapido alla farmacia sotto casa, prima di andare a prendere Pupo-quasi-unenne dal nido. Giusto perche’ domani vengono i nonni, la paranoia ormai precede i saluti, e voglio farmi trovare in regola.

Il medico del tendone davanti alla farmacia ha un tatto che nemmeno un timbratore del Comune. Aspetto sul marciapiede. Esce dopo una decina di minuti, serio, mi chiama, “vie’ n’po’ che te lo rifaccio ‘n’attimo”. Io lo guardo tra l’incuriosito e l’incredulo. “E’ positivo?” chiedo. “Si’, ma te lo vojo rifa’”. Rifrulla nelle narici. Torno sul marciapiede. Di nuovo esce dal tendone. Non sorride. “La lineetta e’ uscita subbito, me dispiace. Te l’ho rifatto apposta, ma guarda ha segnato subbito. Mo’ te spiego che devi fare, tanto sei ggiovane, nun c’hai sintomi.” Lui continua a parlare, ma io mi sono gia’ disconnessa, travolta e inghiottita da un’onda gigante.
Sono positiva al Covid-19. Mi gira tutto. Mi allontano di qualche passo. Mi sento offuscata, sull’orlo di un baratro nero e profondissimo che non vede l’ora di mangiarmi.

Sono positiva al Covid-19 e ho appena rovinato il primo compleanno di mio figlio.

Giorno 2.
E’ il compleanno di Pupo. Gli abbiamo cantato “tanti auguri” alle 3 di notte e alle 6 di mattina, i suoi consueti orari di risveglio e poppata di biberon a velocita’ della luce. Mi sveglio e mi dico che ieri e’ stato un brutto sogno, che oggi arrivera’ il risultato del tampone molecolare fatto poi nel pomeriggio – via sms, in mattinata, se e’ negativo, mi hanno detto, altrimenti mi chiameranno, “se invece tardano, beh non sono buone notizie” – e che oggi pomeriggio festeggeremo Pupo. Devo ancora preparare la torta. Pupo e’ a casa stamattina, in quanto contatto primario, cosi’ come mio marito. Ci destreggiamo tra giochi, teleworking, pannolino, pappa e tonnellate di ansia (la mia).

Passa la mattinata. Nessun messaggio. Nessuna telefonata. Io indosso la doppia mascherina in casa dal giorno prima, ho gia’ messo da parte le mie posate, i miei piatti, e mi tengo lontana. Pupo mi guarda come se fossi un’aliena. Vuole togliermi la mascherina, e’ il nostro gioco quando lo prendo dal nido, cerco di spiegargli che questa volta dobbiamo aspettare ancora un po’. Apro il frigo, mi investe una zaffata di formaggio stagionato e forse anche un po’ ammuffito. Te pare che c’ho il Covid, co ‘sta puzza, mi dico.

Mi chiamano verso le 13. E’ una funzionaria della ASL che cercava qualcun altro e non sa se ha sbagliato numero, ne approfitto e le chiedo se per caso ha il risultato del mio tampone. “Ah, ecco si’, ora ho ricostruito, la chiamo per questo. E’ positiva”. Lo dice come se mi avesse detto, oh guardi, fuori c’e’ il sole. In realta’ e’ gentile. Pero’, ecco, le e’ uscito male. Scoppio a piangere al telefono. Forse ho anche un attacco di panico, non mi ricordo, pero’ sento la terra mancarmi sotto i piedi. Lei mi dice di stare tranquilla. Tranquilla un corno, rispondo, oggi e’ il compleanno di mio figlio e non posso nemmeno dargli un bacio o abbracciarlo. Sfodera la sua migliore comprensione, mi rassicura, mi dice che durera’ poco. Poi, mi da’ le istruzioni: devo chiamare la Dottoressa Di Base (DDB), poi immediatamente mi chiamera’ un medico della ASL per aiutarmi a gestire tutto e darmi tutte le informazioni necessarie. “La chiameranno immediatamente, non si preoccupi. In bocca al lupo”.

Sprofondo nella depressione piu’ nera, e dopo aver parlato con la DDB, ci sprofondo ancora di piu’. La DDB e’ drastica sull’autoisolamento dal resto della famiglia. L’idea di separarmi – anche se in casa – da mio figlio, il giorno del suo compleanno, mi devasta e mi toglie il fiato. Mi preparo il divano-letto nella seconda stanza, disinfetto il mio bagno. I figli hanno il sesto senso che qualcosa sta succedendo prima ancora che lo realizzino i genitori, e Pupo mi si attacca come una cozza. Toglierlo dalle braccia e’ straziante, il suo pianto mi annienta. Mi chiudo in camera e inizio ad avvertire, di mia spontanea volonta’, tutti, contatti primari, secondari, parenti e amici. Finisco all’una di notte e stramazzo di stanchezza e tristezza.
La ASL non mi ha chiamato.

Giorno 3
La ASL non mi ha chiamato.
Marito va a fare il tampone.
Dormo di nuovo nella stanza separata. Pupo bussa, anzi sbatte le mani sulla porta chiusa. Io, dentro, piango come una fontana.

Giorno 4.
Marito e’ positivo, certo, era ovvio ma ci avevamo sperato, e invece niente. Almeno tra noi possiamo togliere la mascherina. Abbracciarci sul divano.
La ASL non mi ha ancora chiamato, io sono gia’ al livello “rottura di co***oni livello dieci” secondo la scala di Rocco Schiavone, e mando una email “urgente” al vetriolo all’indirizzo fornitomi – unico contatto datomi finora. Tempo cinque minuti, mi ricontatta una dottoressa (Dottoressa ASL n.1). Gentile, per carita’. Mi spiega. Mi tranquillizza che sto bene, che i miei dati sono buoni, che il grosso dei sintomi di solito arriva nei primi cinque giorni, e io ne sono quasi fuori. Mi fa contattare poi da Infermiere-non-meglio-specificate, mi mandano un foglio di istruzioni su come igienizzare la casa e l’immondizia e altre norme (niente differenziazione, tripla busta, pulire la casa tutti i giorni, aerare, pero’ anche riposarsi, e chi piu’ ne ha piu’ ne metta), e un foglio fotocopiato dove indicare i contatti primari, cioe’ quelli con cui sono stata nelle 48 ore precedenti al tampone, per piu’ di 15 minuti a meno di un metro senza mascherina.

Tutta una formula, ma poi basta toccare la maniglia sbagliata al momento sbagliato.

Mi stupisco della (non) prontezza.. sono gia’ passati 4 giorni dal mio tampone e magari i miei contatti stanno male, o hanno loro contagiato altre persone. Per fortuna le ho contattate prima io. Due di loro sono donne in avanzato stato di gravidanza, un’altra e’ mia mamma, e il pensiero che possa averle contagiate non mi da’ pace.
Mi arrivera’ un kit dalla ASL, dicono.
Il lato positivo e’ che torno a dormire con Marito e Pupo. Certo, noi rimaniamo sempre mascherati in casa, ma intanto Pupo riguadagna la sua stanza dei giochi e io un posto in famiglia.

Giorno 5
Arrivano i famosi kit, uno per me e uno per Marito. Contengono un saturimetro, uno smartphone programmato per inserire i dati sanitari, le istruzioni per usarli. Finora avevamo usato un saturimetro preso in farmacia e l’app “Dr Covid”. Ora, dicono, “e’ tutto telematico e il telefono si aggiorna in automatico via bluetooth con i dati del saturimetro, e’ molto facile”. Anvedi la Regione, che salto tecnologico.
Ci mettiamo circa un’ora a settare i telefoni, scarichi, ad inserire tutti i nostri dati, e poi capiamo che i dati del saturimetro devono comunque essere inseriti manualmente nel telefono. Due volte al giorno. Ci sembrava troppa efficienza.

Giorno 6
Tocca il tampone anche a Pupo. Vengono due dottoresse a domicilio. Ci danno istruzioni: aerate i locali, mettete la doppia mascherina.
“Il signor Pupo? Mi puo’ dire quando e’ nato?” Legge la dottoressa dall’etichetta, senza nemmeno guardarci. Io, con in braccio Pupo che dormiva fino a cinque minuti prima, e che quindi e’ gia’ nero con l’universo, lo indico e gli dico “Guardi che e’ lui, ha un anno”. “Ah, e’ un bambino. Bene, tenetelo fermo”. Il tampone sull’uscio di casa.
Nel frattempo, i contatti primari sono tutti in isolamento fiduciario, ma i primi tamponi rapidi danno esito negativo e ci fanno ben sperare per loro. Ci facciamo portare la spesa a casa da Easy Coop e dal fruttivendolo di fiducia, le medicine dalla farmacia, chiediamo gentilmente ai vicini di gettarci l’immondizia-in-triplo-sacchetto-spruzzata-di-Napisan, “pero’ comunque poi disinfettatevi le mani”, li avvertiamo.

La prima settimana da incubo e’ quasi finita. Ordiniamo la pizza a domicilio e lascio le solite 5 euro di mancia, stavolta gia’ sul tappetino, assicurandomi, dall’altro lato della porta chiusa, che il fattorino si disinfetti le mani dopo averle prese. Una premura che nemmeno mia nonna.
I miei sensi di colpa sono planetari. D’accordo, non e’ colpa mia. Ma non posso fare a meno di sentirmi la causa di tutto questo stravolgimento.

Giorno 7
Mi chiama Dottoressa ASL n.2, mi richiede tutta la storia, quando ho fatto il tampone, come mi sono contagiata – e che ne so? Se l’avessi saputo, l’avrei evitato, no? – con chi abito, che farmaci prendo, come stanno Marito e Pupo. Mi chiedo, ma non hanno una scheda? Un computer? Uno stagista sottopagato che prepara loro una briefing note dei pazienti? Poi, lancia la bomba. Pupo e’ positivo. Scoppio in lacrime. In che incubo lo abbiamo trascinato. Prima i due mesi di lockdown appena nato, ora questo.
Lo so che era logico e inevitabile, ma io mi ero appesa all’ultimo lumicino di speranza. La pediatra fissa il nuovo tampone per Pupo di li’ a 10 giorni. Dai, 10 giorni e ne siamo fuori, mi dico. A questo punto ci togliamo le mascherine, tanto siamo tutti positivi. Fuori e’ primavera e possiamo aerare le finestre, anzi le teniamo proprio aperte, avidi di quell solicino e di quell’aria fresca che gia’ ci mancano cosi’ tanto.
In giornata a Marito sale la febbre. Io piango tutte le mie lacrime.

E’ passata solo una settimana e la nostra vita e’ stravolta. E meno male che dovevamo superare solo i primi cinque giorni.

Giorno 8
Marito inizia ad essere contattato da Dottori Vari ASL, per via della febbre. Ma gia’ e’ scesa rispetto al giorno precedente. Dottore ASL n. 3, dopo aver chiesto anche a lui tutta la storia clinica, lo rassicura, “I dati dimostrano che e’ gia’ in fase calante”.

Giorno 9
Marito ha la febbre ancora piu’ alta. Chiamo DDB. “Allora iniziamo con l’antibiotico e un po’ di cortisone”. Prendo la scatola, guardo, e’ della Pfizer. Poi dici che non bisogna essere complottisti, eh.
La febbre in giornata scende, la saturazione si abbassa ma e’ ancora sotto controllo. Continuiamo cosi’.
Dottori Vari della ASL continuano a chiamare Marito, in orari assurdi e richiedendo tutto da capo, controllando terapia “allora cosa sta prendendo? Ha parlato con DDB?”. Il livello Schiavone sale almeno a dodici.

Giorno 10
Mi chiama un numero sconosciuto. Da Pomezia, secondo il telefono. “Signora? La chiamo per conto di Ama – (l’azienda romana della monnezza). Lei e’ in quarantena? Ha immondizia da buttare?”. Mi chiedo se mi stia prendendo in giro. Peccato per lei, perche’ si becca lo sbrocco. Le dico che certo che ho immondizia da buttare, dato che dobbiamo “indifferenziare” tutto e ho un bambino di un anno che caca con precisione svizzera e odore atomico, che siamo in quarantena da 10 giorni e come mai mi chiamate solo oggi. “Eh ma la ASL ci ha dato il suo nominativo solo oggi, comunque non si preoccupi, finche’ siete in quarantena avete diritti al ritiro dell’immondizia due giorni a settimana”. “Ah, grazie, mi puo’ dire i giorni cosi’ la preparo e la lascio fuori dalla porta?”. “Eh no, cambia di volta in volta perche’ dipende dai nomi che ci da la ASL giorno per giorno. Richiamiamo noi”.

Intanto la febbre di Marito risale, e il mio umore risprofonda.

Bisogna sapere che, secondo il Protocollo della ASL, chi ha Covid deve disinfettare e lavare tutto tutti i giorni. La prima settimana, quella in cui solo io ero positiva, Marito lavorava (da casa, in isolamento) e ci trovavamo in questa strana situazione di stare tutti nella stessa stanza, perche’ io volevo evitare di stare nella loro stanza da letto, o tenere Pupo nella mia. Rimaneva il Salotto. Marito lavorava, io stavo con Pupo (“mi raccomando non si avvicini e faccia giochi ‘a distanza’” mi aveva detto uno dei mille medici) e pulivo. Per me non aveva molto senso, dato che sarei dovuta stare distante da entrambi. Ma Pupo con chi sarebbe dovuto stare? Il congedo Covid non e’ ancora stato rinnovato per il 2021 e Marito mica poteva prendere le ferie? Cioe’, avrebbe potuto, ma non in quei giorni, segnati da varie scadenze.

La seconda settimana, con Marito febbricitante, sarebbe invece stata un vero incubo.
Mi alzavo la notte per il biberon di Pupo, e poi lui era di nuovo sveglio alle 6 di mattina – per fortuna iniziava ad esserci un po’ di luce – giocavamo un po’, lo rimettevo a dormire a meta’ mattina e mi mettevo a riposare, al suo risveglio facevamo “il gioco dell’aspirapolvere” (per il gioco dello straccio bagnato c’era bisogno del genitore 2 per tenerlo lontano da un attraentissimo secchio pieno d’acqua), poi preparavo la pappa, poi era ora della pennica, poi di nuovo a giocare, poi il bagnetto, poi la cena. E intanto pensare a nutrirmi e farmi la doccia, nutrire Marito ormai senza forze, bollente di febbre e fermo a letto – anche se tra mancanza di sapore e olfatto, l’appetito era sceso e tutto sapeva di cartone – controllare e inserire i dati, parlare con i millemila dottori ASL, la DDB, i familiari, i parenti medici (tutti ce li abbiamo, grazie a Dio). La sera, crollavo alle 9. Tanti amici ci scrivevano per sapere come andava, ma nessuno di noi aveva la forza di rispondere. Avvertivamo una o due persone, e loro poi passavano parola.

Bisogna anche sapere che la ASL chiama per controllare i parametri – o riprenderli tutti, anche se li hai appena presi e inseriti nello smartphone – e indicare una terapia, ma tale terapia va proposta e approvata dalla DDB. Poiche’ di solito i farmaci prescritti sono – fortunatamente – mutuabili, serve mandare le ricette alla farmacia. Ma indovinate chi e’ poi a mandarle?

In sostanza si crea questo corto circuito paradossale per cui il Malato viene controllato a distanza dalla ASL, ed e’ lui stesso a dover fornire i propri parametri (prendersi la pressione, la temperature, la saturazione, i respiri, fare diversi stress test, avere la lucidita’ per fare tutto questo), poi deve chiamare la DDB – sperando che sia negli orari giusti (noi le avevamo strappato il numero di cellulare, e comunicavamo via sms) – poi deve chiamare la farmacia e inoltrare le ricette telematiche, o dire che “la DDB le mandera’ appena sara’ in studio”. Il Malato. Tutta la terapia si basa su quello che dice il Malato. Che sicuramente ce la mette tutta ed e’ in buona fede. Ma se non ce la fa? Se si perde nei numeri? Se e’ da solo? Se non ha la prontezza di cercare su internet i numeri di telefono necessari? “Dalla voce sento che sta bene” e’ una frase che abbiamo sentito ripetere troppe volte, anche in momenti in cui tanto bene non stava. Io facevo tutto, ordinavo medicine, coordinavo la logistica (allora, in farmacia passa oggi Amica, mentre domani Parente porta spesa), e cercavo di stare dietro a tutto. “Deve essere forte”, mi ripetevano Pediatra e DDB. Non avevo molte alternative, c’e’ da dire.
Dato il peggioramento di Marito, la DDB, per sicurezza, richiede una visita domiciliare. “Verranno le Uscar” ci dice. Quando, pero’, non e’ dato saperlo. “Immagino, dato il quadro clinico, che verranno domani”, ci rassicura DDB. La sigla Uscar mi fa ridere, perche’ mi ricorda la parola araba Askari, militari, e mi immagino una squadra a cavallo che arriva, equipaggiata e vestita di tutto punto. Non mi sarei mai potuta sbagliare cosi’ tanto.

Giorno 11
La febbre di Marito riscende, pare che questo Covid faccia cosi’, pero’ lui si sente uno straccio. Io penso che forse l’abbiamo sfangata, e il mio umore risale un pochino, proporzionalmente alla sua saturazione.
Pupo e’ pieno di energie, sta benone per fortuna. La sua vitalita’ e’ contagiosa e stare con lui mi distrae, anche se mi sfinisce. Per fortuna tutti i nostri contatti primari sono risultati negativi e sono usciti dall’isolamento fiduciario. Iniziano quindi la gara di solidarieta’ culinaria “dieci chili in dieci giorni” e sulla porta di casa troviamo crostate, torte rustiche, pasticcini, fiori, biscotti al cioccolato, regali per Pupo, pacchi “da giu’” e tanto altro. Meno male, perche’ per cucinare proprio non abbiamo energie. Inoltre Pupo non sta mangiando tanto, forse perche’ le pappe sono insipide anche per lui, o forse, scopriremo presto, sta mettendo ben 4 premolari – quelli che bucano in 4 punti e fanno malissimissimo – e soprattutto, vuole mangiare da solo. Faccio la prova e gli do un pezzo di frittata di pasta, a cubetti. Se la divora. Bene, d’ora in poi solo cibo a cubetti, e anche un po’ di cibo da “grandi”. Qui bisogna ingegnarsi ogni giorno e semplificarsi la vita.

Compro un libro di giochi per bambini, la libreria ce lo porta a casa, e mi rendo conto che li abbiamo fatti gia’ tutti. Ma li rifacciamo. E poi ormai abbiamo sdoganato tv, Ipad e Iphone. Il telecomando lo prende direttamente lui. In quanto a indipendenza, Maria Montessori ci spiccia casa. Come mi avrebbe detto poi un’amica mamma, “Tranquilla, anche la Montessori avrebbe sbroccato in una pandemia”.

Si fa quello che si deve fare per sopravvivere. Anche guardare due volte di seguito Lilli e il Vagabondo e Fantasia, se serve ad addormentarlo e addormentarsi.

Giorno 12.
La febbre di Marito sale, tanto, e l’Uscar non si vede. Richiamano i vari Dottori ASL. “Monitoriamo. Sta prendendo i farmaci? Cosa sta prendendo? Come si sente? Quanto ha di saturazione? Bene, ci risentiamo dopo”. Meno male che potevano vedere i dati dal saturimentro sincronizzato. Mando un sms alla DDB.
Io sono esausta, fisicamente e psicologicamente.
Per fortuna Pupo ormai mangia da solo che e’ una meraviglia. Adora Lilli e il Vagabondo e la Carica dei 101. E la musica di Mozart. Ringrazio gli inventori dei libri sonori, ormai li suona tutti, e del bidet, il cui riempimento e svuotamento e’ diventato il suo passatempo preferito, anche se poi va cambiato da capo a piedi e si allaga mezza casa. Chissa’ come fanno in Francia e in altri posti senza il bidet durante una pandemia.

Giorno 13.
Marito tossisce talmente tanto che Pupo si sveglia. Sono le 5 di mattina. E’ ufficialmente crisi. Pupo piange, urge un biberon. Marito non smette di tossire per alcuni minuti, sembra non riuscire a respirare. Le istruzioni che avevo ricevuto dai Medici Vari erano di controllargli la saturazione e, se fosse scesa sotto i 93, chiamare il 118. Devo decidere chi assistere, vado per il Pupo, sapendo che in pochi minuti si sarebbe placato, e che il suo pianto disperato mi avrebbe altrimenti impedito di fare qualsiasi altra cosa. Mentre con una mano gli do il biberon, con l’altra chiamo il 118. La febbre e’ ben sopra 38, e la saturazione ben sotto 93. Mi accorgo improvvisamente di essere estremamente lucida e razionale. Non c’e’ tempo per piangere. Penso che devo preparargli una borsa, e mi chiedo cosa metterci dentro. Il suo inseparabile ipad, glielo ruberanno?

Risponde il 118 nazionale. Mi passano su Roma. Spiego la situazione, sono molto gentili. Marito ha smesso di tossire, glielo passo cosi’ che possano parlarsi direttamente. Pupo e’ sveglio e interessato, e tranquillo. Ha capito che la situazione e’ complicata, e ci sostiene con i suoi sorrisi e la sua calma. “Mah, dalla voce non sembra affannato, se veniamo poi lo portiamo via, aggiorniamoci tra un’ora, intanto magari chiamate la Guardia Medica”. Chiamiamo la Guardia Medica. Molto gentile anche lui, il Dottor Guardia Medica ci dice la stessa cosa. Se abbiamo bisogno di intervento, bisogna chiamare il 118 e farlo ricoverare, altrimenti monitorare la situazione. “Dalla voce mi sembra stia bene, mi richiami tra un paio d’ore”.
Spieghiamo che la nostra DDB ha richiesto una visita Uscar, forse si puo’ sollecitare, data la situazione. Dice che lo vede “nel Sistema”, ma non puo’ sollecitare perche’ “e’ un circuito diverso”. Bisogna essere in punto di morte per avere una visita come si deve?

Mando un sms alla DDB, sono le 6 di mattina. Mi rispondera’ solo nel pomeriggio, perche’ aveva il cellulare scarico.
Nel frattempo, visti i dati sanitari, ci chiama Qualcuno della ASL per il solito controllo. Poiche’ la situazione e’ peggiorata, “vi passiamo ad Ares, che sono medici” (mi chiedo allora cosa ci stiano a fare alla ASL, ma no, non e’ il momento di polemizzare). Chiediamo ancora della visita domiciliare, ma non possono sollecitarla. Ci chiama Ares. Chiede a Marito di riprendersi tutti i parametri, poi di passeggiare per qualche minuto, poi riprenderli. Ci dice che per ora non c’e’ bisogno del ricovero, e “vi richiamiamo tra qualche ora per vedere come va”. Mi chiedo cosa possa cambiare in qualche ora e penso che se deve essere ricoverato, prima e’ meglio e’, anche perche’ cosi’ potranno fare analisi, lastre e altre indagini. Ma anche qui, non ho tempo per questi pensieri. Tutte queste persone sapranno il fatto loro, mi dico.

Richiamano. La situazione non e’ migliorata. DDB, che nel frattempo ha risposto, ha aumentato la terapia e mi ha preparato psicologicamente – si fa per dire – al ricovero di Marito. “Sei da sola e devi pensare a Pupo, devi essere forte. In Ospedale sara’ al sicuro”. Io penso a tutte le persone che sono entrate in ospedale per una visita e ne sono uscite di piedi e non so cosa pensare. Ares ci propone una visita Uscar. “Ci state prendendo in giro? L’ha richiesta DDB tre giorni fa, non sono ancora venuti.” “No,” spiega Dottore Ares, “questi sono altri Uscar. Quelli del 118.” Ormai abbiamo perennemente gli occhi al cielo e il latte alle ginocchia. “ma con il 118 ci abbiamo parlato stamattina!”. “E’ un servizio diverso”. Un altro. “Viene la squadra, visita e nel caso consiglia il ricovero”. Ce la propone come la Soluzione del Millennio, ma era semplicemente cio’ che stavamo chiedendo dalla mattina. Siamo esausti. “Vi chiameranno prima di arrivare.”

Ci dicono che arriveranno verso le 17, spieghiamo bene loro che per arrivare a casa nostra bisogna predere la via dall’inizio, poiche’ e’ senso unico. Avranno un navigatore, o un telefonino con Google Maps, no? No.
Alle 18, ancora non si vede nessuno. Ci affacciamo alla finestra che da’ sulla strada. Capiamo subito che sono loro: una normalissima macchina senza loghi che arriva contromano dal semaforo, e accortasi del senso contrario, parcheggia sulle strisce pedonali alla bell’e meglio. Ci mettono un tempo infinito a scendere. Mi aspetto gli SWAT Squadra Speciale, invece sono vestiti normali. Si caricano buste, scatole, carte varie e si incamminano con molta flemma. Dalla parte sbagliata. No, non sono loro. Dopo una decina di minuti li vediamo risbucare sulla via, ci sbracciamo dalla finestra, finalmente ci vedono e vengono verso il palazzo.
Si vestono da Ghostbusters nell’androne. Avvertiamo i condomini di non spaventarsi. Ci mettono un’altra infinita’ di tempo a salire. Io mi chiudo in camera con Pupo, Marito spalanca le finestre, indossa le mascherine e attende con pazienza buddista, sempre tossente e febbricitante.

Lo visitano sull’uscio di casa. Che poi, visitano e’ una parola grossa. Gli chiedono di rifare tutto quello che ha gia’ fatto al telefono. Camminare per qualche minuto, fare squat, prendere le misurazioni. Marito e’ sfranto. Alla fine, il verdetto. Non c’e’ bisogno del ricovero, “per ora”, pero’ deve prendere dell’ossigeno e iniettarsi dell’eparina, “chiamate la vostra DDB per farvi approvare la terapia. Arrivederci.”

Sono quasi le 8 di sabato sera. Dove caspita lo troviamo l’ossigeno? E l’eparina? Senza ricetta?

Pupo, anche lui ormai stravolto, deve mangiare e andare a letto. Mi affido ancora una volta a Disney +. Nel frattempo chiamiamo la DDB, che approva la terapia senza battere ciglio, e acconsente – Deo gratias – a chiamare lei stessa la farmacia (“voi avete il numero, no?”) e dare loro disposizioni, promettendo che avrebbe mandato le ricette il lunedi’ successivo. Per l’eparina serve la richiesta di farmaci speciali della Regione Lazio, per l’ossigeno invece una quantita’ di documenti che nemmeno immaginiamo. Per fortuna i farmacisti ci conoscono da anni, e ormai da quando siamo in isolamento ci parliamo quotidianamente. Naturalmente, ci dicono, non possono consegnare a casa con cosi’ poco preavviso. Facciamo un rapido calcolo di chi potremmo disturbare con una richiesta cosi’ invadente.

I nostri Amici Prescelti si caricano una bombola di ossigeno da 3mila litri dalla farmacia fino a casa, qualche centinaio di metri, e poi su per tre piani di scale. Una roba da decine di chili. A distanza, sul pianerottolo, ci spiegano il funzionamento. Io prego che sia semplice perche’ siamo talmente bolliti che potremmo farla esplodere per errore. E poi, dobbiamo blindarla dall’assalto di Pupo. Marito inventa una sorta di barriera con il comodino e la sedia.

Anche qui, affidare al Malato – e ai suoi famigliari – una responsabilita’ tale, sono allibita. La conclusione che mi do e’ che nessuno vuole avere a che fare con casi Covid. Nessuno. Ne’ i DDB – anche se poi la nostra si e’ rivelata la piu’ dedicata e competente – ne’ la ASL che ti chiama per poi rimbalzarti ai vari servizi, ne’ il 118, che ti prende in carico solo se in punto di morte, ne’ i vari Uscar, Ares, Sisp, che “danno consigli ma poi devi chiamare il medico, perche’ ti conosce mentre noi no” (invece, al Pronto Soccorso ti conoscono benissimo, eh?). Ovviamente non parlandosi gli uni con gli altri, non passandosi le informazioni sui vari pazienti, con un infinito spreco di tempo, risorse ed energie. Soprattutto quelle del Malato e della sua famiglia (quando ce l’ha). Ti devi autogestire, insomma.

E se sei solo? Se non hai amici o parenti che possano fare la spola con il supermercato, la farmacia, i cassonetti, e tutto il resto? E se non capisci l’italiano o – molto piu’ semplicemente – il sistema? E se stai peggio?

Fumo di rabbia. Ho bisogno di arrabbiarmi con qualcuno, di urlare che e’ indecente che dopo un anno di pandemia, mentre ancora si dibatte se scuola si’ o scuola no, non esiste, nella capitale d’Italia, nella regione “modello” del paese, un sistema di presa in carico minimamente decente. Non esiste. Non esiste un unico medico che ti segue “perche’ ci sono i turni”, col risultato che bisogna rispiegare tutto da capo ogni volta. Non esiste che lo stesso medico segua il nucleo familiare, no, dobbiamo parlare con tre persone diverse. Non esiste che tu venga curato se non quando hai 39 di febbre. Ma non si poteva intervenire prima?
Come sempre, non abbiamo tempo ed energia per arrabbiarci.
Attacchiamo l’ossigeno, tutto sembra scorrere. Ci addormentiamo, sfiniti.

Giorno 14
Marito si sveglia, tossisce, inserisce i dati – ancora febbre, ancora saturazione bassa, ma e’ mattina ed e’ appena sveglio dopo dieci ore passate in posizione orizzontale, ora abbiamo capito che bisogna aspettare un pochino, si chiama “stasi da dormire” – si mette a respirare l’ossigeno. Iniziano le chiamate delle varie ASL e Ares. Il Dottore Ares n. 3 dice che “bisogna cambiare la terapia, non sta facendo l’effetto che ci aspettiamo, se non migliora bisogna ricoverarlo”. Marito non ce la fa piu’ a parlare al telefono, a camminare, a fare tutte le misurazioni e a spiegare tutto ogni volta. Mi passa il telefono. Io ho deciso che e’ ora di arrabbiarmi. Gliene dico di tutti i colori al malcapitato Dottore n. Mille, che ha la iniziato la terapia solo 12 ore prima, che si e’ appena svegliato, che si parlassero con quelli che lo hanno visitato la sera prima per mettersi d’accordo, che noi non siamo medici, che se lo prendessero una volta per tutte invece di rimandare questo ricovero, e soprattutto che si leggessero la scheda e non ci facessero ripetere le stesse cose ogni volta.
Richiamiamo la DDB, chiediamo lumi sull’aumento della terapia, da’ l’ok. Aumentiamo.

Giorno 15
Finalmente e’ lunedi’, e inizia l’attivita’ burocratica: smistamento delle ricette elettroniche dalla DDB alla farmacia, conto dei giorni, appuntamento per tampone.
Marito sta meglio, e’ sempre a letto, ma ha fame e inizia a sentire qualche sapore. Mi sembra un miracolo. Questo virus maledetto. Un giorno sei un leone, il giorno dopo sei da ricoverare, quello dopo ancora sei risorto. Non abbiamo una certezza che sia una. E ci sembra di capire che non ce l’abbia nessuna di tutte le persone con cui interloquiamo.

Abbiamo iniziato a temere i vari “ormai il grosso e’ superato” e “secondo il protocollo bisogna modificare la terapia”. Fondamentalmente, abbiamo iniziato a temere le varie telefonate quotidiane. A me, intanto, non chiama nessuno da giorni. I miei dati sono sempre stati buoni, ma ho sempre un po’ di tosse e il naso chiuso, ma non essendo dati richiesti, nessuno se ne interessa.
Richiama la Dottoressa ASL n.1. Mi sembra sia passato un tempo infinito dal primo giorno. Le chiedo di prenotarci un tampone domiciliare per me e Pupo. Ormai sono passate due settimane e ci sentiamo bene. Mi dice che il primo posto libero e’ di li’ a cinque giorni. A me sembrano un’infinita’. Mi faccio prenotare al drive-in piu’ vicino di li’ a due giorni, cosi’ ho la scusa per uscire e prendere aria.

Giorno 16
Marito sta meglio. La febbre e’ scesa e la saturazione e’ salita. Continua a fare grandi respirate di ‘aria di montagna’ attaccato alla bombola.
Mi richiama Ama. “Avete immondizia da buttare?”. Prego che Pupo faccia uno dei suoi cacconi micidiali, di quelli che si sentono anche con tre strati di plastica sopra. Ormai l’olfatto mi e’ tornato e lo sento anche a distanza di un metro.

Alle 8 di sera chiama l’Uscar. Quelli prenotati dalla DDB la settimana prima. Alziamo gli occhi al cielo per la millesima volta. “Siamo li’ tra 15 minuti, va bene? Arieggiate tutto” e bla bla bla.
Pupo dorme, io origlio dalla porta. “Ha il referto della visita precedente? Che medicinali le hanno dato? Deve fare lo stress test”. Lancio velocemente il referto dalla stanza e richiudo la porta, il tempo di vedere questi due ragazzi imbacuccati nelle tute e ben distanti. “Noi possiamo stare al massimo 15 minuti nella casa di un positivo per una visita”. E se non bastano? “Ma almeno avete l’ecografo portatile?” “Eh no, mica ce l’hanno tutte le squadre. Oggi toccava ad un’altra. Peccato, perche’ nel suo caso ci sarebbe stato d’aiuto. Vabbe’”.
Continuano a ripetere frasi gia’ sentite, propongono di cambiare, ancora!, la terapia, perche’ lo dice il protocollo, poi, allo scadere dei 15 minuti, vanno via. E’ la fine del turno. Ciliegina sulla torta, ci lasciano sul pianerottolo il loro equipaggiamento usa e getta da buttare. A noi, che non possiamo uscire di casa e dipendiamo dalle chiamate dell’Ama e dalla solidarieta’ dei vicini. I cassonetti sono a dieci passi dal portone.

Ci sembra l’ennesimo segnale di un Sistema malato, disfunzionale, lontano anni luce dalla realta’ e dai bisogni delle persone. Quello che mi chiedo e’ se queste persone ne siano vittime o possano fare una minima differenza, per esempio, buttare la propria immondizia.

Giorno 17
Marito sta sempre meglio. Il mio sollievo e’ immenso. I Dottori Vari continuano a chiamarlo piu’ volte al giorno. La DDB ovviamente rigetta il cambio di terapia e l’allarmismo della squadra della sera prima. Pupo ormai accende l’Ipad, mette Youtube e balla da solo.

E’ il giorno del tampone per me e Pupo, e sono emozionata. Per poco non cado dalle scale mentre scendo con lui in braccio. Mi trucco e mi pettino e mi metto dei vestiti che non siano tuta o pigiama o leggings. A Pupo per fortuna entrano ancora le scarpe. E’ stupito e incredulo di questo cambio di routine. Usciamo e annusiamo l’aria. Fa un caldo quasi estivo e noi siamo vestiti come Toto’ e Peppino a Milano. L’ultima volta che siamo usciti di casa la temperatura era di pochi gradi. Insacco Pupo nel seggiolino e sfreccio verso il drive-in. E’ vuoto. Il personale e’ gentilissimo. Ancora una volta Pupo viene svegliato da un cotton fioc nel naso, ma molto piu’ gentilmente. Mi permettono di accostare e farlo scendere e calmare. Pupo divora un biscotto, beve mezzo biberon d’acqua ed e’ come se nulla fosse successo. Ripartiamo. Facciamo uno strappo al Famoso Protocollo, e ci fermiamo in un grande parco sulla strada di casa, tenendoci ben lontani da tutto e tutti, in sicurezza. Raccogliamo margherite e nontiscordardime, ci schizziamo con la fontanella, balliamo con la musica dell’Iphone. Quando e’ ora di risalire in macchina, Pupo piange e protesta, poi crolla addormentato.

La sera, va via l’elettricita’. Fantastico, non possiamo nemmeno scendere a controllare i contatori. Chiediamo ai vicini, e realizziamo che e’ andata via l’elettricita’ in tutto il palazzo. Qualcuno chiama Acea. La voce metallica informa che c’e’ stato un guasto e “sara’ riparato il prima possibile”. Sono le 9 di sera. Davvero non ci facciamo mancare nulla. Scaldo dell’acqua sul fornello per il biberon notturno, la metto in un thermos, e mi butto a letto. Marito e Pupo gia’ ronfano.

Alle 2 di notte si sveglia Pupo, ingurgita il latte del biberon e si riaddormenta. La corrente non e’ ancora tornata. Io mi affaccio alla finestra, e vedo che effettivamente c’e’ una squadra di persone con tute fluorescenti al lavoro su un tombino di fronte al portone, la Polizia Municipale che gestisce il grande traffico che puo’ esserci alle due di notte in una via minore sotto coprifuoco, e un carro attrezzi che sta portando via alcune macchine parcheggiate di fronte al portone. Poveracci, penso, per una volta che avevano trovato parcheggio. Il carro attrezzi, cosi’ come la Municipale, ben si guarda dal portar via – o multare, nel secondo caso – le macchine parcheggiate fuori dalle strisce, quelle che mi costringono ad acrobazie circensi per far passare il passeggino ogni mattina. Sarebbe da dirglielo, e la situazione e’ talmente assurda che potrei anche urlarglielo dalla finestra.
Dopo poco la corrente torna. Mi alzo per spegnere tutto cio’ che era rimasto acceso, e finalmente dormo per qualche ora.

Giorno 18
Al posto delle macchine parcheggiate ora c’e’ un grande camion con un generatore. Emette il tipico ronzio che mi ha accompagnata nei miei anni mediorientali a Beirut, Gaza, Damasco, e la solita puzza di gasolio. Meno male che dobbiamo arieggiare le stanze. La voce di Acea dice che il guasto sara’ riparato in mattinata.

Mi richiama Dottoressa ASL 1. Il mio tampone e’ positivo. Quello di Pupo non e’ stato ancora analizzato. Due tamponi fatti nello stesso posto allo stesso tempo, potranno mica essere disponibili insieme?
Spero con tutto il cuore che Pupo sia negativo. Comunque non potrebbe uscire di casa, perche’ potrebbe essere veicolo del nostro Covid, ma intanto sarebbe un pensiero in meno. “Nun se preoccupi, i bambini di solito si negativizzano prima”, mi dice la Dottoressa 1. Aggiungo alla lista delle frasi da temere, sotto “i bambini Il Covid non lo prendono”.
Mentre dormo nel pomeriggio, Marito mi informa che lo ha chiamato Ama per chiedergli se ha dell’immondizia da buttare. Scoppiamo a ridere.

Giorno 19.
Mando una email contrassegnata “urgente” – l’unico modo per avere un contatto tempestivo – alla ASL per chiedere i referti dei tamponi. E’ positivo anche Pupo. Mi sconforto e vorrei piangere, ma sono talmente stanca che nemmeno ci riesco. Sono semplicemente prosciugata, prigioniera insieme alla mia famiglia in un limbo senza tempo e senza certezze. Almeno un’altra settimana, se non dieci giorni, prima del prossimo. Povero Pupo. E’ il mio unico pensiero. Le educatrici e gli amichetti del nido gli mandano video e foto di saluti. Lui li riconosce, ride, vuole rivedere tutto. Ogni tanto prende le scarpette e va alla porta di casa, e batte forte. Per il resto tiene botta, meglio di tutti noi. Mangia come un cavallo, cresce, e’ sempre piu’ autonomo ma si addormenta in braccio come i primi mesi. Il suo amore mi riempie e averlo in braccio e’ una certezza che mi conforta e rassicura. Ho molto piu’ bisogno io di lui in questo periodo, che il contrario. Mi si stringe il cuore. Meno male che siamo senza mascherina e tutti insieme. E’ l’unico vantaggio di questa situazione. L’altro e’ che per un po’ saremo immuni. Ma prima bisogna uscirne.

Giorno 20
Marito fa il primo tampone. Anche lui esce vestito per l’Alaska e torna sudato fradicio. Scende e sale le scale senza problemi, ormai sono tre giorni che non ha bisogno dell’ossigeno, riesce a tenere in braccio Pupo (dieci chili di amore perennemente in movimento) ed non ha avuto la febbre per tutta la settimana. Ha l’ok da DDB per scalare la terapia farmacologica. Iniziamo a vedere la luce in fondo al tunnel. E’ solo questione di tempo, ci diciamo.
Passano amici e parenti a salutarci dalla strada, a lasciare torte e maritozzi con la panna e birre gelide per l’aperitivo. Ne usciremo. Rotolando, ma ne usciremo.
Il generatore e’ ancora li’.

Giorno 21
Piove. Non che ci cambi molto, ma il cielo grigio mette sempre tristezza.
E’ domenica e c’e’ un completo silenzio. A parte il generatore, che e’ sempre li’ a ronzare.

Alla Dottoressa Ares n. 6, che controlla Marito, strappo una concessione per un tampone di controllo di qui a tre-quattro giorni. Non ne posso davvero piu’. Marito cucina tutto il cucinabile per tenersi impegnato, io e Pupo costruiamo e sfasciamo torri, collane di mollette, e balliamo il Qua Qua Qua e il Ballo di Simone – Pupo ha imparato a sventolare e battere le mani – e per fare l’albero ci vuole un seme, no un fiore, no, il bosco.
Attendiamo l’indomani per parlare con DDB e prenotare il tampone. L’ultima volta DDB ci spiego’ che anche se erano passati 21 giorni dal mio primo tampone, ci sono troppe varianti di virus in circolazione per avere la certezza di non avere una carica virale contagiosa, quindi dobbiamo stare ancora in casa.
Sono passate tre settimane. Tre infinite settimane. Chissa’ che giorno e’, continuano a chiamarci medici diversi. Per fortuna concordano tutti che “La sento bene dalla voce”.

Io e Pupo invece siamo ufficialmente scomparsi dai radar della ASL. E forse e’ una fortuna. Lo smartphone era tarato per 10 giorni, quindi ormai non metto piu’ i miei dati da un bel po’, perche’ non vengono presi.

Mi chiedo se tutto questo abbia un senso. Se siamo in una piece di teatro dell’assurdo, aspettando un Godot-tampone-negativo che chissa’ quando arrivera’, o se davvero questa e’ la realta’ di tante, troppe persone, da un anno a questa parte.

Continuo a chiedermi come faccia a sopravvivere al virus e alla burocrazia chi non ha una rete di supporto comunitaria (famiglia, amici, vicinato, negozianti), chi non e’ familiare con il digitale (leggere smartphone e saturimetro, con le mani calde e senza smalto, mi raccomando, o ordinare la spesa online o la cena su JustEat), chi e’ fuori dal sistema per una tessera sanitaria o un permesso di soggiorno scaduto, chi semplicemente sta peggio o e’ da solo in casa. Ti deve dire bene, insomma.

“Per la consegna sono 3 euro”, dice la farmacista. Benissimo, cosa saranno mai 3 euro. Pero’, perche’ devo mettercele io, che non posso venire in farmacia di persona? Perche’ gli isolati di Covid non hanno diritto a consegne gratuite? Non che le farmacie ci debbano rimettere – semmai ci rimettessero – ma forse a pagare non dovrebbero essere i malati. Possibile che dopo un anno non si e’ pensato nemmeno a questo? “Potete ordinare su Glovo”, la risposta della farmacia. La glocalizzazione delle salute. Peccato che, giustamente, Glovo ha una lista di parafarmaci di base, e non si assume la responsabilita’ di consegnare farmaci da ricetta, o apparecchiature ‘complesse’ (un saturimetro, un misuratore di pressione). E poi, perche’ questo tipo di servizio deve essere subappaltato a compagnie che sfruttano i dipendenti? Chiaramente i gestori di queste compagnie hanno immediatamente intravisto il vulnus e di conseguenza la possibilita’ di business. D’altronde, non sono stati gli unici.

Leggo di un ennesimo scandalo su dispositivi di protezione individuale scadenti o non certificati e truffe milionarie ai danni dello Stato e dei cittadini. Mi chiedo se queste persone, che lucrano sulla morte, abbiano una coscienza, o un parente malato. Dopo un anno, tutti abbiamo perso qualcuno, o piu’ di uno, per colpa di questo maledetto virus. Nei modi piu’ tristi e imprevedibili. Ma dopo tre settimane di questa gestione assurda, mi chiedo quante persone si potevano salvare perche’ si poteva intervenire in tempo, potevano avere a disposizione materiali davvero protettivi, potevano avere accesso ad informazioni, e quanto lavoro di operatori medici, sanitari e tutti poteva essere ottimizzato.
Invece siamo qui, dopo un anno, ancora piu’ stanchi, ancora ostaggio delle cinquanta sfumature di colori – meno male che le regioni sono solo venti – ancora ostaggio di chi mette il profitto prima dell’umanita’, nonostante questa pandemia sia la dimostrazione evidente che il nostro Sistema e’ dannoso, per la Terra e quindi per noi in primis.

Ostaggio di ignoranza e ipocrisia, mentre gli operatori sanitari fanno turni di dodici ore e non vedono le famiglie per mesi per paura di contagiarle, e i malati oltre al Covid devono combattere con chi dovrebbe prendersi cura di loro.

Abbiamo davanti ai nostri occhi la dimostrazione che, uniti, i paesi possono davvero portare avanti dei progetti, mettere a disposizione le risorse e raggiungere in un anno obiettivi che sarebbero stati altrimenti raggiunti in un decennio. Dopo un anno abbiamo almeno 5 vaccini disponibili (Sputnik, Pfizer, Astrazeneca, Moderna, Johnson & Johnson, senza contare i vaccini cubani), mentre la solidarita’ mondiale e’ riuscita a farli arrivare agli ultimi del mondo, con l’iniziativa COVAX. Abbiamo altrettanta evidenza pero’ che la gara dei vaccini si sta rivelando un gioco a somma zero, dove chi paga di piu’ ottiene prima, alla faccia dell’approccio sulla base dei bisogni. D’altronde, se il Covid avesse colpito prima, o solo, le popolazioni nate dal lato sbagliato della terra, non ci sarebbe stata tale mobilitazione per la corsa al vaccino. Il vaccino per la malaria, la piaga dell’Africa da decenni, e’ stato trovato solo ora, e non perche’ gli scienziati abbiano battuto la fiacca. Il neoliberismo del nord del mondo andava salvato subito, e anche la faccia dei governi.

Sono passate tre settimane, un anno, non lo so, ho ancora la tosse ed il naso chiuso.
So solo che siamo tanto stanchi, e aspettiamo che Godot arrivi presto a liberarci.


(fine prima parte)

[qui la seconda parte]

Questo articolo riflette il punto di vista dell’autrice, espresso a titolo personale.