Cercare la speranza, trovare la morte

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1 Luglio 2019

Oscar e Valeria, annegati nel Rio Bravo, nel tentativo di fuggire a un contesto che non si racconta abbastanza

Oscar e Valeria erano un papà e la sua bambina. Lui aveva 25 anni. A lei mancava un mese per compierne due. Erano originari del Salvador. Sono morti stretti uno all’altra. Affogati mentre dal Messico cercavano di raggiungere gli Stati Uniti attraversando a nuoto il fiume che ne segna il confine: il Rio Bravo, in italiano “il fiume arrabbiato”. Così chiamato per  le forti correnti che lo caratterizzano.

Per assicurare meglio a se la figlia durante la traversata, Oscar aveva legato Valeria al suo corpo mettendo la bambina sotto la maglietta che indossava. Purtroppo la forte corrente del Rio Bravo non li ha perdonati. Sono morti affogati sotto gli occhi della mamma che li seguiva urlando disperata dalla riva. La tragedia è stata sigillata per sempre da una foto [che decidiamo di non pubblicare per rispettare la loro privacy ndr].

Un’immagine che riprende i corpi di Oscar e Valeria come fossero siamesi. La bambina stretta al corpo del papà sotto la sua maglietta. Entrambi a testa in giù. Portati dalla corrente sul bagnasciuga della riva del fiume. Una foto terribile. Struggente. Una foto che obbliga a risvegliare le coscienze. Prendere posizione. Urlare che finisca questa strumentalizzazione della crudeltà contro i più deboli. Ma anche una foto che obbliga ad approfondire la storia e le condizioni che hanno portato Oscar e Valeria a morire insieme.

La decisione di partire

Prima di lasciare il suo paese con la famiglia, Oscar Martinez lavorava come inserviente in un ristorante della capitale, San Salvador, guadagnando circa 350 dollari al mese. La moglie non lavorava e si occupava della bambina.

Pur non affrontando una condizione di indigenza, la situazione di penuria legata ad uno stipendio di appena 10 dollari al giorno, la condizione di permanente pericolo determinata dagli altissimi indici di violenza che caratterizzano il Salvador e, soprattutto, l’impossibilità di pensare in miglioramenti futuri, convincono la famiglia ad accettare l’offerta di un impiego da parte di alcuni parenti emigrati da anni negli Stati Uniti.

Oscar, la moglie Vanesa e la piccola Valeria partono quindi da San Salvador all’inizio del mese di aprile insieme ad altre decine di migliaia di migranti che ogni giorno si muovono verso nord provenienti, oltre che dal Salvador, soprattutto dagli altri due paesi del triangolo nord centro americano: Honduras e Guatemala.

La famiglia attraversa il Guatemala e il Messico e poco più di 2 mesi dopo essere partiti arriva alla frontiera con gli Stati Uniti. Sono stremati, le condizioni di vita nel centro per migranti che li accoglie sono terribili. Presentano una richiesta di asilo per poter entrare legalmente negli USA ma la risposta ha tempi interminabili e sarà quasi sicuramente negativa.

Oscar e la moglie decidono quindi di tentare la traversata illegale guadando il Rio Bravo. Decisione tragica che costa la vita al padre e alla figlia. Aggiungendo due vittime  ai caduti che ogni anno intraprendono questo penoso cammino verso la speranza. 434 morti accertati secondo l’organizzazione Mondiale per le Migrazioni nel 2018 lungo gli oltre 3mila chilometri di frontiera che separano il Messico dagli Stati Uniti.

Purtroppo in realtà i morti reali sono stati certamente molti di più, perché in questi casi le cifre ufficiali sono sempre per difetto essendo spesso difficile identificare e documentare le vittime.
Famiglie e minori migranti verso gli Stati Uniti.

La tragica vicenda resa pubblica dalla foto di Oscar e Valeria ci obbliga ad approfondire e tentare di comprendere quali possono essere le motivazioni che spingono centinaia di migliaia di persone, in particolare sempre di più intere famiglie, a lasciare i loro affetti, una dimensione costituita nella propria terra e spesso, come nel caso di Oscar, anche un lavoro per quanto modesto, per  rischiare la vita fuggendo da paesi come il Salvador.

Paesi dove formalmente non esiste una guerra. Ma forse qualcosa di addirittura peggio. Sì, perché in caso di guerra esiste la speranza che finisca e che poi le cose migliorino. In paesi come il Salvador e tanti altri che soffrono situazioni simili, nonostante formalmente non esistano guerre, è stata però uccisa la speranza di un futuro migliore.

La morte della speranza per le opportunità che può offrire il proprio paese è certamente un elemento che motiva da sempre la maggioranza dei migranti a partire.

La particolarità della situazione migratoria verso gli Stati Uniti però, a differenza di altri fenomeni migratori recenti – quali ad esempio quello africano (da paesi non in guerra) verso l’Europa – consiste nella caratteristica sociale dei soggetti migranti.

Nel caso centro americano infatti non si tratta, come generalmente avviene, soprattutto di giovani adulti alla ricerca di migliori opportunità. Nel caso dei migranti verso gli Stati Uniti la caratteristica degli ultimi anni è l’altissima percentuale di famiglie con bambini, appunto come quella di Oscar. E sempre più di minori non accompagnati. Tale situazione è confermata dai dati delle detenzioni effettuate dalla polizia di frontiera americana che in 6 anni ha visto aumentare i fermi di nuclei familiari con bambini da poco più di 11mila nel 2012 a 107mila nel 2018. Un incremento di dieci volte in appena 6 anni.

Una situazione simile é quella delle detenzioni di minori non accompagnati, passate dalle 24.400 registrate nel 2012 a oltre 50.000 nel 2018. Nel 2019 la situazione appare ulteriormente aggravarsi, essendo già stati fermati dalla polizia statunitense alla frontiera con il Messico ben 58mila nuclei familiari solo sino allo scorso mese di aprile.

Con un ulteriore aumento rispetto allo stesso periodo del 2018.
La violenza in America centrale come detonante finale della decisione di emigrare. I dati appena indicati evidenziano, da un lato, come dimostra anche il caso di Oscar, che la decisione di emigrare è motivata senz’altro dalla ricerca di nuove opportunità per sfuggire al destino di retribuzioni di sussistenza e condizioni di vita precarie che non lasciano speranza per il futuro. Ma il fatto che tanti genitori si mettano in gioco, anzi siano disposti letteralmente a rischiare oltre alla propria vita anche quella dei figli, evidenzia da un altro lato che queste famiglie non stanno solo migrando. In realtà stanno letteralmente fuggendo. Come se stessero affrontando una situazione di guerra. E in effetti, purtroppo, é proprio così.

L´America latina in un periodo formale di “pace” si confronta con livelli di violenza simili a quelli di paesi in guerra. Infatti è la regione più violenta del mondo.

Secondo dati della Banca Interamericana di Sviluppo (BID) con circa il 9% degli abitanti qui si commettono il 39% degli omicidi che avvengono nel pianeta. Oltre 170 mila persone vengono uccise ogni anno. 400 persone al giorno.

Secondo l´Istituto Igarapé, specializzato in tematiche legate alla criminalità, il tasso di omicidi in America latina é di 21,5 ogni 100mila abitanti. Oltre 3 volte la media mondiale che é di 7/100 mila.

In America Latina si trovano 17 dei 20 paesi e 43 delle 50 città con il più alto tasso di omicidi al mondo. Il 90% delle vittime sono giovani. Secondo dati di UNICEF in America latina vivono meno del 10% degli adolescenti del mondo, ma vengono commessi la metà degli omicidi in questa fascia d’età.

L’omicidio resulta essere la principale causa dei decessi di maschi latino americani con età tra i 10 e 19 anni: 25 mila vittime ogni anno con meno di 20 anni. Tutto questo in una situazione di generalizzata impunità nella quale meno di 20 omicidi su 100 terminano in una condanna del colpevole (rispetto a una media globale di 43/100) e la sfiducia endemica della popolazione latino americana nei confronti delle proprie istituzioni, considerate molto corrotte, che conduce a denunciare appena il 45% dei delitti.

In questa drammatica situazione di violenza generalizzata, i paesi della regione che evidenziano i peggiori indici sono quelli dell’America centrale. Secondo dati della Banca Mondiale proprio il Salvador risulta il paese non in guerra con il più alto tasso di omicidi al mondo: 60 ogni 100 mila abitanti nel 2017. Nei paesi del triangolo nord dell’America Centrale (Salvador, Guatemala e Honduras) vengono uccise quasi 20 mila persone ogni anno e si calcola stiano circolando oltre  4 milioni di armi da fuoco illegali.

Diversi studi stimano che nel Salvador si muovano non meno di 30 mila membri di gang criminali, tra le quali le più tristemente famose sono la pandilla Barrio 18 e la Mara Salvatrucha, che da anni si sono installate anche in Italia con una consistente presenza a Milano. Si calcola che in Salvador circa 500mila persone siano in uno o altro modo vincolate alle attività criminali di queste organizzazioni.

Secondo dati evidenziati dell’antropologo Juan Martinez, che ha studiato durante anni queste bande criminali, il 90% della popolazione del Salvador che vive in zone urbane controllate da queste gang sarebbe in qualche modo vittima del loro sistema di intimidazione, estorsione o ricatto.

É evidente che la situazione di permanente tensione dovuta alla preoccupazione per il rischio che si corre per il solo fatto di vivere in realtà contaminate dal degrado sociale con le caratteristiche indicate, conduce chiunque soffra una condizione di vulnerabilità o di potenziale pericolo e ne abbia la possibilità a decidere di andarsene. Portando con sé ciò che ha di più caro. A partire dai figli.

Che come abbiamo visto sono i soggetti in assoluto più a rischio di cadere vittime della violenza, in un contesto che, per le forti disuguaglianze sociali ed economiche sommate alla corruzione dominante non offre speranze di cambiamento.

Purtroppo in questa fase così crudele della nostra storia recente dove, da un lato all’altro dell’oceano l’accanimento nei confronti dei più deboli e tra questi le popolazioni migranti, sembra non conoscere limiti e non essere più considerato un atto deplorevole, la decisione di cercare una speranza arriva con troppa frequenza a costare la vita dei protagonisti. Come è successo a Oscar e alla piccola Valeria che, per ignavia e crudeltà di chi doveva proteggerli, ma anche per il disinteresse collettivo – cioè di tutti noi – verso i problemi dell’altro, hanno trovato la morte. Stretti uno all’altro nelle acque impietose del Rio Bravo.