L’aggressione della Turchia in Rojava e gli obblighi della comunità internazionale

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24 Ottobre 2019

L’operazione “Fonte di pace” alla luce del diritto internazionale

Dal punto di vista del diritto internazionale, l’operazione turca Fonte di pace è una fotocopia dell’operazione Ramoscello di ulivo lanciata da Ankara nel gennaio 2018. Ancora una volta l’operazione si configura come una violazione palese della Carta delle Nazione Unite (NU), la quale stabilisce il divieto per gli Stati di utilizzare la forza armata in modo unilaterale.

Il tentativo da parte della Turchia di giustificare l’attacco contro le Forze Democratiche Siriane sulla base del diritto alla legittima difesa non regge : la Turchia non ha dimostrato di essere stata vittima di un attacco armato (come richiesto dall’articolo 51 della Carta NU) e la sua azione militare non sembra rispettare i necessari requisiti di necessità e proporzionalità.

L’operazione Fonte di pace, allora, va definita per ciò che è: un atto di aggressione in violazione del diritto internazionale. Come per Ramoscello di ulivo, anche questa nuova operazione si è accompagnata a un serie di violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani.

L’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani , assieme a numerose ONG come Un ponte per, ha denunciato che l’esercito turco e i gruppi armati appoggiati dalla Turchia si sono macchiati di numerosi crimini, inclusi attacchi contro la popolazione civile, infrastrutture idriche, ospedali e personale medico, ed esecuzioni extragiudiziali di civili.

Un volta di più il Consiglio di sicurezza dell’ONU è rimasto silente, e soprattutto immobile (una costante di molteplici crisi, comprese la guerra siriana e l’operazione Ramoscello di ulivo). Due meeting non sono bastati ai quindici Stati membri, compresi i membri permanenti (Russia, Cina, Stati Uniti, Regno Unito e Francia), per trovare un accordo su una dichiarazione di condanna dell’attacco turco. L’Unione Europea, dal canto suo, ha espresso una condanna piuttosto mite dell’operazione turca, senza nemmeno fare riferimento alla violazione della Carta NU.

In questo quadro risulta frustante non solo e non tanto il mancato rispetto da parte della Turchia dei suoi obblighi internazionali ‒ un atteggiamento a cui da tempo siamo abituati ‒ quanto piuttosto l’assenza o la debolezza di una risposta significativa da parte degli altri Stati. Il diritto internazionale non si limita infatti a offrire una gamma di possibilità in tal senso, bensì impone loro di agire in una determinata maniera.

In primo luogo, la violazione della Carta NU risultante dall’operazione Fonte di pace richiede a tutti gli Stati terzi:

(1) di non riconoscere la situazione illegale che ne deriva (ad esempio l’assunzione di controllo territoriale in parte del Rojava);
(2) di non fornire alcun tipo
di aiuto o assistenza alle operazioni militari turche;
(3) di cooperare al fine di porre termine a tale situazione.

In secondo luogo, l’articolo 1 comune alle Quattro Convenzioni di Ginevra pone un obbligo in capo a ogni Stato di “assicurare il rispetto del diritto internazionale umanitario” da parte della Turchia nello svolgimento delle operazioni militari.

Agire per far rispettare la legalità internazionale non è quindi un optional per gli Stati terzi: si tratta di un obbligo giuridico. Una conseguenza immediata di tale obbligo è la cessazione di qualsiasi trasferimento di armi ed equipaggiamenti militari verso Turchia, soprattutto di quelli direttamente impiegati nell’operazione Fonte di pace. Un divieto nel genere è contenuto nel Trattato sul commercio delle armi e nella Posizione comune dell’UE adottata nel 2008 – nonché nella legge italiana n. 185 del 1990 . Oltre a fermare il trasferimento di armamenti, gli Stati terzi possono prendere misure di carattere diplomatico o commerciale per spingere la Turchia a cessare ogni violazione del diritto internazionale.

E l’Italia in tutto ciò dove si situa? Il Ministro degli Esteri Luigi di Maio si è limitato alla convocazione dell’ambasciatore turco alla Farnesina, rilasciando la seguente nota : “Nel riaffermare l’importanza della cessazione di ogni azione unilaterale, l’Italia ribadisce che l’unica strada percorribile per una  soluzione duratura alla crisi siriana è rappresentata dal processo politico in corso  sotto gli auspici delle Nazioni Unite”. E in un’ intervista a Repubblica ha dichiarato:

“Condanniamo con forza ogni tipo di intervento militare perché rischia di pregiudicare gli sforzi della coalizione anti Isis. La soluzione della crisi siriana non può passare attraverso l’uso delle armi, ma attraverso dialogo e diplomazia”.

Il Ministro degli Esteri si è ben guardato dal condannare fermamente la Turchia per le violazioni della Carta NU e del diritto internazionale umanitario, e non ha saputo (o non ha voluto) dire una parola sulle misure che l’Italia avrebbe potuto (e dovuto) adottare per affrontare la situazione. La sola apprensione del titolare della Farnesina ‒ similmente ai suoi omologhi europei – è che l’azione militare turca pregiudichi la lotta all’ISIS e che Erdoğan invii in Europea i rifugiati siriani presenti in Turchia, ossia che foreign fighters e migranti si presentino ai nostri confini.

Che la Turchia si dimostri sprezzante del diritto internazionale indigna ma non sorprende. Che gli altri Stati siano reticenti a far rispettare la legalità internazionale avendone a disposizione tutti i mezzi, invece, non solo indigna ma lascia pure in bocca il gusto amaro del cinismo più becero.

Post-scriptum

Il 22 ottobre 2019 Turchia e Russia hanno firmato un accordo che prevede l’evacuazione delle Forze Democratiche Siriane e del YPG (Unità di Protezione del Popolo) da una zona profonda fino a 30 km all’interno del territorio siriano e il mantenimento dello status quo creatosi in seguito all’operazione “Fonte di pace”. Turchia e Russia si impegnano inoltre a facilitare in maniera congiunta il ritorno “volontario” e “in sicurezza” dei rifugiati.

Da un punto di vista giuridico l’accordo riconosce una situazione derivante da un atto di aggressione, in spregio al diritto internazionale. Nonostante la Siria abbia probabilmente prestato il proprio consenso all’accordo, rimane il fatto che la Carta NU è stata violata e che gli Stati terzi non devono dare riconoscimento a una situazione illecita. È inoltre poco probabile che il ricollocamento dei rifugiati siriani avvenga “volontariamente” e “in sicurezza”.

Eventuali trasferimenti forzati di civili siriani, particolarmente di rifugiati e
richiedenti asilo, costituirebbero ulteriori violazioni del diritto internazionale.
L’inazione della comunità internazionale ‒ NU, UE e Stati terzi ‒ di fronte all’attacco turco ha portato le autorità del Rojava a richiedere la protezione del governo di Assad e della Russia, permettendo alla Turchia di raggiungere almeno una parte degli obiettivi dell’operazione “Fonte di pace”. A propria volta Assad ha rimesso piede all’interno delle zone a controllo curdo, e la Russia ha ulteriormente rafforzato la sua sfera di influenza nell’area.

Se la comunità internazionale avesse sostenuto le Forze Democratiche Siriane, forse tale situazione si sarebbe potuta scongiurare, evitando di lasciare il Rojava in pasto ad Assad, Erdoğan e Putin.