Libia: Crimini di guerra e fosse comuni

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20 Gennaio 2021

Tarhuna, ultima necropoli del XXI secolo

Ad una settimana dalla fine dell’anno, una squadra della Corte Penale Internazionale (CPI) ha effettuato 3 sopralluoghi a Tarhuna, ultima e strategica roccaforte ad est del Generale cirenaico Khalifa Haftar, capo dell’autoproclamato Esercito Nazionale Libico (ENL).

L’attuale Ministro degli Esteri e la CPI, hanno incontrato gli esponenti delle più alte cariche dello Stato, fra cui il Ministro della Difesa Salah Al-Namroush, il Procuratore Militare, esperti forensi e Funzionari della Pubblica Accusa, allo scopo di indagare, esaminare e porre fine ad una lunga serie di crimini di guerra contro i civili commessi, in ultimo, dalle milizie di Haftar e che ora, emergono in numerose fosse comuni.

Dal mese di dicembre si sono intensificate le ricerche dentro e intorno a Tarhuna, cittadina a circa 93 km a sud-est di Tripoli, nel tentativo di identificare un alto numero di persone scomparse e restituire loro un nome, un volto ed una degna sepoltura.

Le prime ricerche, sono iniziate nel mese di giugno, dopo che le forze legate a Fayez Al-Serraj ed appartenenti al Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Tripoli, hanno, con un’offensiva, riconquistato la città.

Da allora sono emerse 27 fosse comuni, a cui se ne sono aggiunte, nell’ultima settimana, almeno altre due ma, non è ancora possibile quantificare con precisione le vittime al loro interno.

Di sicuro emergono atrocità e massacri indicibili da Tarhuna. Il dottor Kamal Al-Siwi, capo dell’Autorità pubblica per la ricerca e l’identificazione delle persone scomparse, ha affermato che la stragrande maggioranza dei residenti sono svaniti durante i combattimenti iniziati nell’aprile 2019 e terminati nel giugno 2020.

A giugno l’Autorità ha riesumato circa 120 corpi, tra cui donne e bambini. Il più piccolo ritrovato aveva solo 3 anni. Il 9 gennaio, il portavoce delle famiglie degli scomparsi, Abdulaziz Al-Jaafari, ha confermato la riesumazione di altre 4 persone. Su tutte, sono presenti chiari segni di tortura.
Sono tante le tombe non contrassegnate a Tarhuna e dintorni.

Ogni sito funerario riesumato contiene da 1 a 12 corpi e in alcuni casi solo parti di essi. La maggior parte si trovano in una vasta area agricola conosciuta come Mashrou ‘al-Rabt. Due corpi sono stati trovati in un pozzo d’acqua e un altro all’interno di un’area appartenente al Ministero dell’Interno. Molte delle vittime erano ammanettate e in uno stato di decomposizione avanzato, tale da impedire ai parenti di identificarli. Ad un corpo era ancora collegato un ventilatore di emergenza.

Centinaia di vittime civili e prigionieri di guerra, massacrati ed uccisi dalla milizia locale al-Kani, nota come Keniyat. Nell’ultimo rapporto di Human Rights Watch, si parla di almeno 338 residenti dati per dispersi dalle autorità locali in seguito al ritiro delle forze di Haftar. I racconti dei familiari degli scomparsi sono inquietanti. Hanno riferito che, la milizia era solita rapire, detenere, torturare, uccidere e occultare i sospettati oppositori di Haftar, sequestrando, altresì, proprietà private e denaro.

La milizia al-Kaniyat ha piantonato ogni aspetto della vita a Tarhuna dal 2015 fino a giugno 2020. Infatti, prima dei combattimenti dell’aprile 2019, la milizia aveva agito per conto del GNA a cui era originalmente affiliata sin dall’inizio del conflitto del luglio 2014. Si è poi alleata alle forze armate di Haftar (LAAF) quando è iniziato il conflitto nell’aprile 2019, adottando il nome di “9°Brigata”.

La milizia era un’impresa familiare. Mohammed Khalifa al-Kani, ampiamente considerato come il leader del gruppo, è stato raggiunto da quattro dei suoi fratelli: Abdelkhaleq, Muammar (Omar), Abdulrahim e Muhsen. Quest’ultimo è stato ucciso nel settembre 2019.

Le strutture utilizzate dalla milizia di al-Kaniyat come luoghi per interrogatori e detenzione includevano un’ex fabbrica di acqua in bottiglia (Ain al-Rumiya) e due strutture di polizia, quella giudiziaria di Qadhai’ya e quella militare di Da’am.

La governance in Libia rimane dunque divisa tra il GNA, riconosciuto a livello internazionale e con sede a Tripoli e il Governo ad interim rivale, con sede nella Libia orientale e affiliato al LAAF. Quest’ultimo ha ricevuto sostegno militare da Emirati Arabi Uniti, Giordania, Egitto e Russia e sostegno politico dalla Francia.

Comprende combattenti del Sudan, del Ciad e della Siria e di una compagnia militare privata collegata al Cremlino, il Gruppo Wagner. La Turchia è invece il principale sostenitore militare del GNA, con alcuni combattenti provenienti da Ciad, Sudan e Siria.

Nonostante sia ancora nominalmente in vigore l’embargo sulle armi ordinato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite già nel 2011 e più volte rinnovato, nell’aprile 2019, le forze LAAF sotto il comando di Haftar hanno aperto un attacco contro i gruppi armati affiliati al GNA, nel tentativo di occupare e prendere il controllo di Tripoli. Gruppi armati rivali con il sostegno straniero hanno effettuato attacchi indiscriminati di artiglieria, droni e aerei dentro e intorno alla capitale, uccidendo e sfollando civili e distruggendo pubbliche infrastrutture.

Il LAAF e le forze affiliate hanno sparato munizioni a grappolo, ovvero, armi proibite a livello internazionale per via della loro natura indiscriminata. Queste forze hanno anche lasciato dietro di sé un numero enorme di mine antiuomo e trappole esplosive che continuano a mietere vittime.

I combattimenti hanno provocato lo sfollamento di 200mila civili e hanno interferito con la scolarizzazione di decine di migliaia di bambini.

Gli scontri si sono conclusi il 5 giugno 2020, dopo che le forze del GNA supportate dalla Turchia hanno costretto il LAAF ed i suoi alleati a ritirarsi da Tarhuna.
Il 23 ottobre, il GNA e il LAAF hanno firmato un cessate il fuoco “completo e permanente” sotto gli auspici delle Nazioni Unite ma, entrambe le parti, si accusano a vicenda di violare l’accordo.

Tutte le forze armate coinvolte nelle molteplici fasi dei conflitti in Libia erano vincolate dal diritto internazionale umanitario e dalle leggi di guerra che proibiscono, tra le altre violazioni, la tortura, i rapimenti, la detenzione illegale di civili e le uccisioni in custodia. Nonostante ciò, un vero e proprio genocidio si è consumato in Libia.

Spetta ora alla Corte Penale Internazionale (CPI), identificare tutti i diretti responsabili di questi crimini contro l’umanità, compiuti da individui senza scrupoli e con indiscutibili intenti criminali.
A novembre, il Governo degli Stati Uniti con l’ordine esecutivo n.13818 ha indicato Mohamed al-Kani e la milizia di al-Kaniyat, nonché gli alti comandanti della LAAF, perseguibili per l’omicidio dei civili recentemente ritrovati nelle numerose fosse comuni di Tarhuna, nonché per le torture, le sparizioni forzate e lo sfollamento di migliaia di civili.

Il cammino verso la stabilizzazione della Libia, in vista anche delle prossime elezioni governative, previste per dicembre 2021, appare ad oggi ancora molto complicato e ricco di variabili ed interessi possibili. La penna qui si ferma, in segno di cordoglio dinanzi alle immagini di Tarhuna, ultima necropoli del XXI secolo.