Psiche non va in lockdown

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16 Dicembre 2020

Una politica che trascura la tutela della qualità della vita dei propri cittadini, anche con il nobile fine di salvare vite umane, rischia di perdere in umanità.

Riprendiamo i nostri precedenti articoli, nei quali abbiamo parlato della pandemia da Coronavirus, per approfondire quanto avevamo tralasciato: gli aspetti politici specifici.

Per entrare nel vivo della questione introduciamo un concetto che ci aiuterà a trovare una chiave di lettura: la “qualità della vita”.

L’essere umano è l’unico animale che non vive esclusivamente in base al binomio vita/morte dell’individuo e della specie, ma piuttosto ricercando costantemente il raggiungimento di una migliore qualità della vita che è strettamente legata ad un mondo interno fatto di pensieri e affetti che non deve mai essere trascurato.

La realizzazione degli esseri umani, quindi, non può passare solamente per ciò che è fisico e quantitativo, ma soprattutto per ciò che è psichico e qualitativo.

Gli uomini e le donne per realizzare se stessi a volte, nonostante una realtà materiale limitante, sentono l’esigenza di spingersi oltre questa barriera, al fine di perseguire degli obiettivi che maturano e si sviluppano ad un livello più profondo, più specificamente umano, e che in qualche modo danno un senso unico e personale al proprio percorso di vita.

Fisico e psichico insieme tendono verso qualcosa che sta al di là di quella siepe su cui l’occhio tende ad adagiarsi, cosicché inseguire caparbiamente la realizzazione di cose “inutili” come l’arte o la bellezza potrebbe sembrare, a volte, andare contro ogni logica della sopravvivenza. Come psicoterapeuti, invece, sappiamo che quando questo non accade e si insegue spasmodicamente una realizzazione solo nei beni materiali, si può andare incontro ad una perdita di quell’umano che rischierebbe di generare patologia mentale.

Riteniamo quindi fondamentali tutte quelle attività che privilegiano la sviluppo dell’individuo e la socialità tra gli esseri umani, dalla scuola, al lavoro, alla prevenzione e all’arte, e ci chiediamo se esse possano essere tutelate senza rischiare che il loro svolgimento uccida il corpo.

In una società tutto è strettamente collegato, come se essa stessa fosse un unico corpo dove ogni organo è parte integrante dell’intero sistema e ognuno è collegato al buon funzionamento dell’altro.

Pensiamo alla scuola: essa non solo permette l’acquisizione di una conoscenza che possa concretizzarsi in un futuro lavoro, inteso come realizzazione di una identità sia professionale che umana; essa promuove anche, o soprattutto, lo sviluppo delle risorse e delle potenzialità cognitive, culturali, sociali ed affettive dei nostri bambini e dei nostri ragazzi: la loro curiosità ed il loro interesse.

Meritevole di attenzione è anche il ruolo della donna in questa pandemia. Infatti, oltre a condividere con gli altri lavoratori le restrizioni professionali, la donna, a causa di una lunghissima tradizione culturale, viene ulteriormente penalizzata: nella misura in cui si amplificano gli interventi mirati alla sopravvivenza fisica e si riducono, quasi ad azzerare, quelli deputati alla ricerca di una vita pienamente vissuta, la donna è la prima, spesso, a cui si chiede di sacrificare le proprie esigenze, il proprio lavoro, la propria realizzazione, il proprio tempo.

Ad essa si impone un arretramento nel faticoso cammino evolutivo che ha visto l’umano allontanarsi sempre più dalla ancestrale lotta quotidiana per la sopravvivenza, dedicando tempo ed energie alla propria realizzazione umana come soggetto creativo.

Va poi considerato un altro aspetto importante che in questo periodo è stato fortemente trascurato e riguarda la prevenzione sanitaria. Il benessere generato dalla realizzazione della propria identità non può, infatti, prescindere dal prendersi cura anche del proprio corpo. Una società, che ha a cuore tale benessere, ha l’obbligo di garantire tutte quelle attività fatte di controlli medici routinari e di prevenzione in genere, che devono riguardare tutta la popolazione, nessuno escluso.

Infine l’arte, il nostro cuore pulsante che genera senso, che educa alla bellezza, che fa risuonare dentro di noi aspetti reconditi, a volte strani e spesso turbanti, ma vivi, che rendono meno astratto il concetto di universalità di quel pensiero umano fatto per immagini.

Tutto questo, quando va in crisi una realtà materiale, non può essere spento, non può interrompersi, bensì è necessario trovare un modo affinché il nostro mondo interno, irrazionale, non venga dimenticato, non venga considerato secondario o trascurabile. L’essere umano ha bisogno di tutte le sue componenti funzionanti. Non è possibile vivere in una scissione in cui una parte di noi stessi è considerata superflua.

Parlare di qualità della vita, quindi, vuol dire parlare della vita degli esseri umani, che senza il raggiungimento di una realizzazione psichica e relazionale semplicemente non è umana. Solo l’unione di corpo e mente insieme permette il raggiungimento di un benessere profondo e complessivo, che va rispettato e mai maltrattato.

Possiamo allora affermare che una politica che trascura la tutela della qualità della vita dei propri cittadini, anche con il nobile fine di salvare vite umane, rischia di perdere in umanità.

In questi mesi di scelte difficili la politica rischia di mandare un messaggio altamente svalutante ai giovani, alle donne, agli anziani, agli artisti e a tutti noi e le conseguenze di tutto ciò potrebbero essere peggiori della pandemia stessa.

Si rischia di generare un massiccio e diffuso senso di oppressione psicologica. Un’oppressione che non sta esattamente nelle limitazioni delle libertà individuali, comprensibili in una crisi senza precedenti, ma in quell’assordante silenzio che le accompagna e che sembrerebbe comunicare che la realtà psichica sia sacrificabile come se fosse altro dal corpo umano.

Tutto questo può sfociare in sintomi psicopatologici specifici e in reazioni abnormi al problema, tra le quali può rientrare il terrorizzato ritiro sociale o, di contro, l’adesione a demenziali tesi negazioniste.

Siamo tutti d’accordo sulla necessità di contrastare la diffusione del virus, ma nel metterla in atto dobbiamo fare molta attenzione a non calpestare le speranze peculiari dell’esistenza stessa degli esseri umani, tralasciando le ripercussioni psicologiche che i provvedimenti presi per contrastarla potrebbero avere.

Questi argomenti pensiamo debbano essere di interesse della Politica, che vorremmo persuadere a non nascondersi dietro la frase, spesso sentita nei dibattiti pubblici, “noi parliamo alla testa e non alla pancia”.

Perché dietro alla parola denigratoria “pancia”, che starebbe ad indicare una
dimensione irrazionale intesa in senso negativo, sub-umano, si nasconde una ricerca, anche se spesso non scevra da gravi errori, finalizzata al perseguimento di ciò che qui abbiamo chiamato “qualità della vita”, la quale va ben oltre – e non contro – i buoni ragionamenti razionali e il benessere del corpo tout court.

Chiariamo che l’essere umano non nasce razionale, ma ci diventa nel corso della vita e troppo spesso rinnega le origini del proprio pensiero fatte di immagini, di fantasia, di irrazionalità; un modo di pensare idee sotto forma di immagini interne, che ognuno, fin dalla nascita, crea per esprimere i propri vissuti relazionali soggettivi.

La realtà irrazionale, quindi, non è negativa di per sé, ma se oppressa, negata o addirittura annullata, allora soffre, si deteriora e si “incattivisce”, fino a portare a quelle conseguenze che poi noi psicoterapeuti affrontiamo; conseguenze definibili come: oppressione, rabbia e odio, fino alla
dissociazione e all’anaffettività.

Il mondo irrazionale, invece, se riconosciuto e tutelato rappresenta l’essenza più preziosa e caratteristica di noi esseri umani, che ci permette di vivere la vita propria della nostra specie e di conoscere cose che nessun animale ha mai conosciuto. La scienza ne dovrebbe sapere qualcosa perché, in fondo, le scoperte scientifiche hanno molto a che fare con l’immaginazione, tanto quanto
le opere d’arte hanno a che fare con la realtà; o, detto altrimenti, la conoscenza ha a che fare con la fantasia e viceversa l’infinita ricerca della bellezza ha a che fare con l’interminabile ricerca della verità.

Matteo Reggio d’Aci, Francesco De Michele, Giovanni Del Missier, Piera M. Galeandro, Luana Testa – Cooperativa Sociale di Psicoterapia Medica

foto di Filippo Trojano