Spagna, coalizione al governo

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7 Gennaio 2020

Socialisti e Unidas Podemos, astensione decisiva di ERC ed Eh Bildu con apertura di credito per Pedro Sanchez e Iglesias. Saranno all’altezza?

Pedro Sanchez presidente, Pablo Iglesias vice, nazionalismi astenuti per facilitare un governo di colazione che supera la prova dell’investitura con la maggioranza più risicata della storia parlamentare spagnola: 167 sì, 165 no, 18 astenuti. Con il Psoe di Sanchez hanno votato sì Unidas Podemos, ilpartito nazionalista basco PNV, Más País, Compromís, Nueva Canarias, Teruel Existe y BNG, Blocco Nazionale galiziano. I due nazionalismi più dinamici, il catalano di Erc e il basco di Eh Bildu si sono astenuti. La destra, dall’estrema a quella un po’ meno estrema, si è distinta per una attitudine aggressiva e poco consona alle regole del gioco democratico. Ma ci arriviamo.

 

 

Le lacrime di Iglesias, minacce e insulti della destra.

Pablo Iglesias che sarà vice di Sanchez si è commosso, visibilmente. Da un personaggio abilissimo nella retorica, ma non particolarmente avvezzo a mostrare la ternura, l’indole emotiva dolce, si evince che la pressione e la tensione accumulate non in queste ore, ma in questi anni doveva essere davvero molto alta. Gli spagnoli hanno votato quattro volte nel giro di quattro anni: un vero e proprio esercizio di pazienza di fronte a toni di campagna elettorale sempre più esagitati e sempre più aggressivi sul nodo catalano, simbolo della tenuta del centralismo di un Paese che ha perso ai tempi di Zapatero l’occasione per una vera riforma delle Autonomias.

La crisi economica, ma soprattutto finanziaria, e bancaria, ha chiamato a un serrate le fila sull’unità di Spagna, una e grande, con l’esercito – Art.8 della Costituzione – garante dell’unità territoriale in una realtà in cui la provenienza territoriale viene ancora rivendicata con orgoglio al bar e una monarchia che rimane una bella figurina dai cliché mai superati in tutti questi anni di democrazia e di mancata transizione. Anzi oggi ci ritroviamo con i rappresentanti razzisti e franchisti di Vox seduti comodamente in parlamento a parlare dalla tribuna del dibattito urlando contro gli immigrati, capaci di chiedere leggi lesive dei diritti delle donne, con una visione nostalgica e pericolosa rispetto a una società stremata dagli appelli al voto e tirata per la giacca dalle notizie catalane.

Il nemico interno a ogni costo sembra essere una abitudine difficile da dismettere, come per un tabagista cercare di farla finita con le sigarette. Se prima c’era Eta oggi ci sono i catalani, se non ci fossero più ci sarebbero gli stranieri, con una divisione dell’emiciclo quasi lombrosiana.

A guardare i banchi del Partido popular sembra quasi di trovarsi in una vetrina di un negozio chic, dalle acconciature maschili al taglio degli abiti, ai cognomi magniloquenti e le grazie altezzose delle deputate dai modi raffinati. Oskar Matute, di Eh Bildu, ha parlato in camicia, fuori dai pantaloni, e Unidas Podemos è da sempre informale dentro un gioco anche visivo delle parti che nel linguaggio riverbera questi stupidi particolari, che ininfluenti però, evidentemente, non sono.

 

E così nei giorni scorsi mentre parlava una stimata giornalista Mertxe Aizpurua oggi deputata di Eh Bildu, nell’aula sono risuonate grida che dicevano assassini, terroristi, e così oggi mentre parlava Oskar Matute Vox ha lasciato schifato l’aula, in una rappresentazione di intolleranza del tutto evidente che fa temere una opposizione della bronca, della furia aggressiva su ogni passaggio parlamentare, in cui il tanto ricordato rispetto per la libertà di parola ed espressione, più volte citato dalla presidentessa della Camera, non pare trovare in molti un diritto di cittadinanza.

Giochi e strategie di posizionamento politico ai fini elettorali? Molto peggio come anche a latitudini nostrane, dove lo scadimento del linguaggio e dell’atteggiamento ‘chulo’, da guasconi incalliti o da Ok Corral con i muscoli gonfi sotto le camicine stirate e le giacchette raffinate è il segnale che si trasmette ai propri elettori. Da noi Papete, nutella, felpe e arancini, di qui il disprezzo verso l’avversario con fare assolutista più vicino alle dittature che alle democrazie.

 

Alla fine, comunque, il governo ce l’ha fatta e si insedierà: quanto dureranno Psoe e Unidas Podemos sarà da vedere, ma le astenzioni di Esquerra e di Bildu sono avvenute in una apertura di credito verso parole che lo stesso Sanchez ha dovuto accettare e dire in aula. Rispetto, dialogo, non tutto ciò che è legale ha una giustificazione politica, anzi spesso il non risolvere i problemi politicamente poi porta a un uso delle leggi dentro un contesto di irrealtà. Perché i codici non valgono da soli, se non sono espressione di una realtà contemporanea che possa rispondere alle esigenze anche delle minoranze.

Ci sarà un tavolo negoziale per la Catalogna, almeno così dovrebbe accadere, mentre il dibattito su che farsene di decenni di mancata Transizione rimane del tutto aperto. E lacerante.

Le sentenze della Corte di Giustizia di Strasburgo, sul diritto degli eurodeputati in carcere catalani o in esilio volontario sono un pezzo importante di questa storia, dove una parte di dignità istituzionale europea ha prevalso rispetto allo zerbino che fu Antonio Tajani ai tempi delle proteste per il referendum catalano di due anni fa. Un fatto che lascia aperta una piccola fessura, dove ancora non sembra per nulla vero che si possa tornare a sentire un utilizzo sensato di attacchi e difese sugli ideali e sui valori che ogni delegato esprime dopo l’elezione.

Il popolo comanda, il governo è servitore. Un vecchio adagio che è stato citato e che alle nostre orecchie risulta quasi più una un’utopia, se non fosse che quest’ultima potrebbe avverarsi, mentre il senso comune ha ormai archiviato il significato di ‘irrealizzabile’ che non appartiene alla parola stessa.

Quattro votazioni in quattro anni sfiancherebbero anche la migliore delle democrazie e quella spagnola non lo è, non è ancora cresciuta e i germi della destra franchista sono più vivi che mai.

Che cosa potrebbe accadere, permettiamoci una ingenuità, se davvero le classi più deboli dovessero ricevere quanto è stato promesso da questo governo inedito? Quale compromesso politico potrebbe restituire un dibattito sereno ai nazionalismi senza stato? Come argineranno la violenza verbale della destra, e quella fattiva per le strade spesso?

Oggi è difficile dirlo, senza avventurarsi nel pessimismo cosmico che ormai pervade l’analisi di chi sente la sua casa a sinistra. Ma saranno solo i fatti a raccontarci se questo governo nato con difficoltà avrà la forza, e la pazienza, per irrobustirsi.