Chiapas, venticinque anni dopo

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3 Gennaio 2019

25 anni fa, il 1 gennaio del 1994, il mondo scopriva l’EZLN e il Messico
trovava nuovi rivoluzionari sul suo territorio.

Il 1 gennaio del 1994, il mondo scopriva l’EZLN e il Messico trovava nuovi rivoluzionari sul suo territorio. Quello stesso giorno entrava in vigore il Trattato di Libero Commercio del Nord America (NAFTA). Il Messico subiva, di fatto, una nuova ingerenza dagli USA, e ancor di più del patto di Chapultepec o del trattato di Rio diventava, di fatto, un territorio egemonizzato dalle stelle e dalle strisce dell’ingombrante vicino.

L’insurrezione zapatista ha vissuto per oltre 10 anni nella clandestinità della preparazione.

L’EZLN nasceva nel solco del progetto rivoluzionario delle Forze di Liberazione Nazionale (FLN) (movimento guerrigliero messicano nato a fine anni ’60 e sterminato nel sangue nei primi ’70), trovando nell’entrata in vigore del NAFTA il momento simbolico per alzarsi in armi, gridare YA BASTA! e ribadire un ovvio oggi dimenticato, ovvero, che il nemico dei popoli, dei poveri, degli indigeni e degli esclusi era (ed è) il capitalismo.

Nel 1994 il capitalismo era saldamente nella fase d’ascesa della sua teoria neoliberista.

Il Messico dopo quel 1994 non è più stato uguale. Da una parte l’accelerazione neo liberalista ha devastato il tessuto sociale, imposto la violenza come forma di dominio del territorio tramite la correlazione tra economie legali, illegali e lo Stato, e sgretolato le tradizioni storico/sociali del paese in nome della globalizzazione. Dall’altra la resistenza e l’alternativa sono state segnate, non solo ma soprattutto, da volti coperti dal passamontagna e dalla reale possibilità di costruzione di un progetto sociale e politico alternativo. Gli zapatisti
hanno chiamato questo esperimento di mondo diverso “autonomia”.

Il Trattato entrato in vigore 25 anni fa oggi non esiste più. Messico, Canada e USA l’hanno recentemente ridiscusso per volontà del presidente USA Donald Trump e così nuovamente il Messico ha visto peggiorare le relazioni commerciali nell’area. E così le condizioni economiche di tutto il paese.

Gli zapatisti, in un quarto di secolo, hanno resistito alle aggressioni militari, para-militari e alla guerra di bassa intensità. Nel mezzo di una guerra, diventata sorda e silenziosa (e per questo non meno violenta), hanno generato immaginario, costruito relazioni nazionali e internazionali, praticato autonomia territoriale, costruito un sistema sociale e di welfare prima inesistente e dato agli indigeni di tutto il Paese una dignità che era stata cancellata con la scoperta dell’America di Colombo.

Gli Zapatisti sono ancora li, e si autogovernano, mentre i presidenti Salinas de Gortari, Zedillo, Vicente Fox, Calderon ed Enrique Pena Nieto sono un ricordo (triste) e lontano. Il 1 gennaio del 2019 sarà anche l’inizio del secondo mese di governo di Andres Manuel Lopez Obrador, presidente che ammanta su di se il colore sbiadito delle sinistre istituzionali, una storia da lottatore sociale, anche se totalmente praticata all’interno del mondo partitico messicano, e una più volte ribadita fedeltà al capitalismo. Obrador ha promesso una trasformazione profonda del paese, il lumino flebile della speranza di un qualche cambiamento resta avvolto alla possibilità che ci sia un cambio di rotta sulla violenza e l’esodo sull’uso, da parte dello Stato, dei rapporti con i trafficanti di droga e uomini per generare zone d’eccezione entrando manu-militari nella gestione di territori (quasi sempre ricchi di materie prime) e portando paura e violenza come regole di governo. La Corte Interamericana dei Diritti Umani e la Commissione nazionale dei diritti umani han dato a Obrador la possibilità di indagare sulle alte cariche dello stato e sui vertici di militari oltre che sui vari corpi di polizia per le conclamate infrazioni sulla violenta repressione di San Salvador Atenco (2006) e per la sparizione dei 43 studenti di Ayotzinapa (2014).

Assist enorme ad AMLO che ora, al netto della retorica politica, dovrà mostrare se avrà realmente il coraggio necessario per dare verità e di fatto cambiare il corso della storia.

Intanto insiste nella folle idea di costruire il Tren Maya, un faraonico progetto di ferrovia per turisti (con allegati mega progetti commerciali tra hotel, ristoranti e centri commerciali) che coinvolgerebbe Yucatan, Quintana Roo, Chiapas e Campeche e nel nome della turistificazione stravolgerebbe le aree rurali dei quattro stati. I soggetti più colpiti tornerebbero ad essere gli indigeni, oltre all’ambiente. Un progetto di speculazione enorme e di trasformazione sociale in una zona a maggioranza indigena e con forti punti di povertà. Forse il più grosso tra i grandi progetti in seno al governo Obrador, e purtroppo non l’unico.

La resistenza si sta già organizzando, le comunità indigene e campesine
dei quattro stati sono già sul piede di guerra, così come gli ambientalisti, e tra questi non potevano mancare l’EZLN e gli Zapatisti.

Anche perchè i primi a denunciare come il governo Obrador in termini economici, e quindi sociali, non sarà in discontinuità con le dottrine capitaliste sono stati proprio gli zapatisti e l’EZLN.

25 anni dopo il 1 gennaio del 1994 la lotta sociale, politica, rivoluzionaria per l’umanità e contro il capitalismo è viva e vegeta e ha ancora il volto coperto dal passamontagna, una stella a cinque punte rossa su sfondo nero. Il subcomandante Moises, capo militare e portavoce delle e degli Zapatisti ha dichiarato “Si lo dico chiaramente compagne e compagni basi di appoggio, compagni e compagne miliziane y miliziani, noi lo vediamo, siamo da soli come lo eravamo 25 anni fa.” E poi ha aggiunto: “Ci opporremo, non permetteremo che passi il suo progetto di distruzione (il sopracitato Tren Maya di Obrador), noi non abbiamo paura della sua (Obrador) guardia nazionale al quale ha cambiato nome per non dire esercito, ma che è la stessa cosa e noi lo sappiamo”.