Argentina, generazione memoria

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18 Giugno 2019

Figlio di due desaparecidos in Argentina, ritrovato il 130° figlio della violenza

Los 30mil..presente! Con questo grido collettivo, in memoria delle 30mila persone uccise e desaparecidas dalla dittatura civico-militare di Videla (1976-83), termina la conferenza stampa con cui le Abuelas de Plaza de Mayo danno all’Argentina e al mondo la notizia del ritrovamento di Javier Matías Darroux Mijalchuk.

“Diamo il benvenuto al 130esimo nipote. Oggi è un gran giorno”, ha commentato Estela De Carlotto, presidentessa dell’associazione di nonne argentine – le Abuelas appunto – che dal 1977 cercano le oltre 500 persone strappate, ancora in fasce, ai legittimi genitori dagli uomini della dittatura.

Javier Matías è figlio di Elena Mijalchuk e Juan Manuel Darroux, entrambi desaparecidos nel dicembre del 1977. Dopo l’improvvisa scomparsa di Juan, una telefonata e una lettera indicarono a Elena dove avrebbe potuto ricevere informazioni sul compagno. Il 27 dicembre Elena si recò all’appuntamento, tra Lugones e Avenida Figueroa Alcorta. Con lei c’era Javier Matias, che aveva solo quattro mesi. Lì, la madre fu vista per l’ultima volta.

Il bambino fu trovato da una donna, mentre, solo, camminava “fra via Ramallo e via Grecia, a poca distanza dalla Esma”, ha sottolineato De Carlotto, riferendosi al più grande centro di detenzione, tortura e sterminio dell’Argentina, dove furono imprigionate oltre 5mila persone.

Di Elena e Juan non ci furono più notizie. Javier Matias fu dato in adozione, e dal 1999 vive a Córdoba. Contrariamente a molte altre persone, sottratte neonate ai genitori e consegnate alle famiglie legate alla dittatura di Videla, Javier Matias sapeva di essere stato adottato.

Di Elena e Juan non ci furono più notizie. Javier Matias fu dato in adozione, e dal 1999 vive a Córdoba. Contrariamente a molte altre persone, sottratte neonate ai genitori e consegnate alle famiglie legate alla dittatura di Videla, Javier Matias sapeva di essere stato adottato.

“Ho sempre ipotizzato di essere figlio di desaparecidos. Ma stavo bene con la famiglia che mi ha adottato, non sentivo il bisogno di ricostruire la mia infanzia. A un certo punto però ho capito l’egoismo della mia posizione. Io potevo anche stare bene, ma forse qualcuno no, e mi stava cercando”. Quel qualcuno siede accanto a lui durante la conferenza stampa, emozionato, mentre gli tiene la mano.

E’ Roberto Mijalchuk, zio di Javier, fratello di Elena. Aveva 18 anni quando la sorella fu sequestrata. Nel 1999 ne denunciò la scomparsa, insieme a quella del cognato e del nipote. Nello stesso anno, Javier Matias si avvicinò a Abuelas. Quello che seguì alla denuncia, è il lavoro che le Abuelas portano avanti da anni: la ricerca di verità sull’identità delle centinaia di persone coinvolte in questo dramma argentino. Mentre la Comisión Nacional por el Derecho a la Identidad (Conadi) investigava sul caso di Javier Matias, i campioni ematici delle famiglie venivano inseriti nel Banco Nacional de Datos Genéticos, e Abuelas sollecitava la riesumazione dei familiari deceduti, una operazione necessaria per completare le informazioni genetiche.

Proprio questo passaggio comprovò il legame tra Javier Matias e la nonna paterna. Fu il Conadi a telefonare a Roberto, nel 2016, su quel numero che in tanti anni l’uomo non aveva mai cambiato, in attesa di questa telefonata. La notizia non fu divulgata subito perché erano ancora in corso le ricerche dei genitori desaparecidos, di cui si continua a non avere alcuna notizia, esattamente come per moltissime altre persone uccise e fatte scomparire dalla dittatura di Videla, lanciate dagli aerei nel Rio de la Plata o buttate in fosse comuni.

Oggi, la decisione di rendere pubblico il ritrovamento arriva proprio da Javier Matías: “Forse qualcuno sa quello che è successo ai miei genitori, può aggiungere qualche dettaglio”. Non solo: Elena era incinta di due mesi quando scomparve. Si avvia dunque un’altra ricerca: del fratello, o della sorella, di Javier Matias. “La restituzione della mia identità è un omaggio ai miei genitori. Un simbolo di memoria, verità e giustizia”. “Per noi, questo è il premio che si merita il nostro paese, la nostra lotta”. La nostra lotta, afferma Estela De Carlotto. Già, perché il ritrovamento del 130nipote si inserisce nel prezioso lavoro che le Abuelas de Plaza de Mayo portano avanti da più di quarant’anni.

Era il 22 ottobre del 1977, alcune madri iniziavano a riunirsi a Plaza de Mayo, reclamando i propri figli e le proprie figlie, sequestrati dalla dittatura. Dodici di queste donne sapevano che le figlie erano incinte. Fu così che iniziarono a cercare i neonati, i loro nipoti, coinvolti in un “piano sistematico di furto di neonati”, come lo definisce oggi la Commissione per la memoria argentina, che sottolinea l’esistenza, in dittatura, di liste di “adozione” e centri clandestini di maternità, dove le donne incinte sequestrate venivano fatte partorire e poi uccise.

“I neonati dei e delle desaparecidos erano considerati bottini di guerra”, affermano le Abuelas. “Alcuni sono stati dati alle famiglie dei militari, altri abbandonati, altri ancora venduti”.

Dal 1977 le Abuelas non si sono mai fermate, né hanno intenzione di farlo. La ricerca della verità, la ricostruzione della memoria non è più ormai una lotta intima e personale: è un compito che interessa e coinvolge l’intera società. Lo testimonia l’istituzione, nel 1987, sotto l’allora governo di Raul Alfonsin, della Banca Nazionale per i dati genetici: un archivio in cui sono raccolti i profili genetici delle persone che cercano i propri nipoti, e di chiunque abbia il sospetto di essere figlio di desaparecidos. Furono proprio le Abuelas a dare impulso alla creazione della Banca, grazie a un progetto di legge elaborato negli anni ’80 insieme ad altri organismi a tutela dei diritti umani.

Sempre grazie alla loro perseveranza, le Abuelas sono riuscite a far riconoscere a livello scientifico il cosiddetto “indice de abuelidad”, la possibilità di determinare l’identità di una persona grazie alle tracce ematiche dei nonni e non solo dei genitori: un indice che ora, grazie alla lotta delle Abuelas, viene considerato una prova, come è stato anche nel caso del 130esimo nipote.

Tra il 1986 e il 2003, furono diciotto le condanne per furto di bambini: nella pratica, i giudizi non arrivarono a concretizzarsi fino al 2003, quando il Congresso annullò le leggi di impunità e riaprì le cause contro i responsabili delle violenze.

Fu nel 2012 che si concluse la causa più importante per Abuelas, conosciuta come “piano sistematico di appropriazione di minori”: trentacinque i casi giudicati, tra cui figuravano quelli di venticinque persone già ritrovate da Abuelas. In quell’occasione, furono duecento i testimoni ascoltati.

A seguito di quella causa, l’ex dittatore Videla fu condannato a cinquant’anni di carcere.
Passano gli anni, e la lotta delle Abuelas si rafforza. Sul sito dell’associazione un lungo elenco riporta tutte le persone trovate, grazie al lavoro d’equipe con cui le “nonne” portano avanti i processi, garantiscono assistenza psicologica alle persone coinvolte, diffondono notizie, sensibilizzano la società.

Un lavoro che non è ancora finito: “Sono più di trecento le donne e gli uomini che ancora vivono senza conoscere la propria identità”, affermano le Abuelas, sottolineando: “Ogni restituzione è una festa del popolo. Ha un effetto riparatore. L’unica cosa che davvero cura, è la verità”.