Viaggio in Giappone

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30 Ottobre 2019

Un racconto di viaggio, per immagini e parole, tra cultura, passato e futuro

Giappone. Nihon. Sol Levante. Da piccola era per me il luogo di nascita di Mila e Shiro, quegli strani cartoni animati mangia-polpette-di-riso e succhia-spaghetti. Solo più avanti avrei scoperto che le prime si chiamano onigiri e i secondi udon.

Poi, crescendo, il Giappone è diventato quello dei romanzi di Haruki Murakami e Banana Yoshimoto, di anti-eroi alle prese con sushi e sesso, ma sesso in versione nipponica: quello di pudiche geishe addescate da polpi dai lunghi tentacoli, come nei manga di Katsushika Hokusai, il più grande artista giapponese mai esistito, conosciuto in tutto il mondo per la celebre Grande onda di Kanagawa.

Poi da adulta c’è stata la scoperta dell’Ikebana, l’arte giapponese di disporre i fiori come se si trattasse di un intero paesaggio ricreato in un vaso, e, infine lo studio della lingua e della calligrafia giapponese, il kangi, pittogrammi che non sono soltanto parole ma interi mondi con diversi strati di significati da interpretare.

Tutto questo per me era il Giappone, o meglio, il mio immaginario del Sol Levante, per anni un luogo preciso non solo sulla carta geografica ma prima ancora nella mia mente: un vortice di colori e di profumi che vanno dal wasabi a Ufo-Robot, dai ciliegi in fiore ai samurai dei film di Akira Kurosawa.

Fino ad arrivare, finalmente, all’aeroporto Narita di Tokyo. Il viaggio, e la scoperta del Giappone, comincia da qui, dove ad accogliermi con un cartello c’è una gentile signorina che mi condurrà a recuperare il JR pass e il router portatile. Non si tratta di un trattamento speciale riservato alla business class. È solo uno dei tanti servizi che, a prezzi assolutamente abbordabili, il Giappone offre ai suoi visitatori: quello che io chiamo “soluzioni inventate prima ancora dell’insorgere del problema”.

Perché, per esempio, trascinarsi i bagagli in giro per per treni e bus quando ogni albergo, ostello o stazione ferroviaria offre il servizio di spedire i bagagli direttamente alla tua prossima destinazione in modo da viaggiare comodamente con il minimo indispensabile?

Kurashiki: la piccola “Venezia del Giappone” - foto di Fiammetta Martegani

E se poi non arrivano? Impossibile! In Giappone arriva sempre tutto e sempre puntuale, come i treni, i bus e i traghetti, che spaccano il secondo. E se per caso perdi o ti dimentichi qualcosa te lo riportano anche, come mi è successo nel caso del mio portafogli, che mi ero dimenticata in treno, con tanto di denaro, sorriso e ringraziamento: “Arigato Gozaimasu!

Ma come? A ringraziare non dovrei essere io? Non esclusivamente. Il ringraziamento in Giappone è sempre mutuo e può durare anche qualche minuto, finché uno dei due interlocutori non si allontana. Molti sostengono che sia solo retorico. Eppure, da quando sono tornata a casa, ho provato a fare l’esperimento di ringraziare il conduttore dell’autobus e, sorpresa, mi ringrazia anche lui! Il metodo giapponese funziona su scala internazionale: basta adottarlo.

Per cui lascio l’aeroporto di Tokyo dopo aver ringraziato ed essere stata ringraziata 25 volte dalla gentile assistente delle linee ferroviarie giapponesi e grazie al JR pass salgo sul primo di una centinaia di treni che prenderò, senza avere più bisogno di fare il biglietto, nelle successive 3 settimane.

Prima tappa: Tokyo, al cui confronto, New York, è solo un quartiere. Nel mio immaginario Tokyo è le migliaia di persone che attraversano l’incrocio di Shibuya come uno sciame di api, fino al magico scoccare del semaforo rosso, quando, come per incanto, auto, taxi e bus si impossessano della strada senza creare ingorghi, strombazzate di clacson, e nessun tipo di intoppo.

Il Giappone è il paese in cui il concetto d’intoppo non esiste. Non che non ce ne siano, anzi. Il Sol Levante è purtroppo noto per le calamità naturali, e, proprio durante il mio viaggio, si è scatenato l’uragano più devastante degli ultimi 60 anni, che ha causato 70 morti. Ma il modo in cui questo disastro è stato affrontato, sia a livello delle istituzioni sia nel quotidiano, dovrebbe essere di esempio a tutti. Nessuno si è scomposto e tutti hanno continuato a fare il loro lavoro, al meglio, per permettere di andare avanti il prima possibile.

Exhibition of Shiota Chiharu al Mori Art Museum - foto di Fiammetta Martegani

“Si segnala che nei prossimi giorni a causa dell’uragano potrebbero esserci dei ritardi sugli orari dei treni”. E infatti ci sono stati (unica ragione valida per causare il ritardo di un treno in Giappone). Eppure le persone, in attesa, non si scompongono. Mai, anche quando si tratta di un’ora e mezzo di ritardo. Semplicemente scendono dal treno, acquistano un libro, un bento (lo squisito box di cibo nipponico take-away), e aspettano con pazienza che il tempo faccia il suo corso.

Ma torniamo a Tokyo. Come descriverla? Forse come la città più simile, per luci e sopraelevate, al paesaggio urbano di Blade Runner, che infatti si è esplicitamente ispirato ai manga e agli anime giapponesi. Eppure, in questo caos di luci, suoni e odori, c’è sempre un parco, dal più piccolo, in cui bersi un caffè take away, al più grande, come Ueno, il Central Park di Tokyo, in cui dimenticarsi della grande città e ritrovarsi in un piccolo paradiso zen in cui c’è sempre un nuovo ponte o ruscello da scoprire, come in una sorta di labirinto infinito, quante sono le fermate della metropolitana di Tokyo.

Tokyo infatti ha tre strati: la metropolitana, il livello del mare, dei suoi fiumi e affluenti, per altro percorribili in battello e, infine, la città vista dall’alto dai suoi imponenti grattacieli. Imperdibile la vista da Roppongi Hills, che ospita anche il Museo Mori, uno dei musei più all’avanguardia per l’arte contemporanea, sia giapponese sia internazionale.

Per vedere tutta Tokyo non basterebbe un mese, ma i giorni passano e al sesto giorno comincia il vero viaggio, in direzione delle cosiddette Alpi giapponesi. Prima tappa: Matsumoto, celebre per via del più antico e meglio conservato castello di tutto il Giappone ma anche per essere il luogo di nascita di Yayoi Kusama, l’artista giapponese conosciuta in tutto il mondo per le sue zucche a pois. La città ha costruito in suo nome un museo la cui collezione vale il viaggio. Terminata la visita delle due attrazioni principali mi concedo un lungo pranzo in uno dei tanti locali lungo il fiume, per poi partire prima dell’imbrunire per Takayama, capitale delle Alpi, nota per il suoi matzuri (festival, in giapponese) per celebrare l’arrivo della primavera e dell’autunno.

Oltre al mercato locale che si tiene lungo le rive del fiume, e il centro storico perfettamente conservato, Takayama è nota anche per la produzione di sake. Inoltre, se in Giappone si mangia sempre benissimo dappertutto e qualsiasi cosa (inclusa pasta e pizza, che ho provato causa figlio 3enne e dispotico), a Takayama vale davvero la pena di provare anche i piatti tradizionali a base di carne, tanto il sushi vi accompagnerà per tutto il resto del viaggio.

Il giorno dopo, da Takayama, proseguo per Shirakawa-go, un villaggio diventato patrimonio dell’Unesco per via delle sue case dal tetto appuntito, come se fossero due mani congiunte volte a pregare una delle tante, tantissime, divinità shintoiste, 8 milioni, come dice un vecchio proverbio Shinto. Il viaggio continua per Kanazawa, conosciuta anche come “little Kyoto”. Come Kyoto, infatti, il centro storico in cui una volta vivevano geishe e samurai è rimasto perfettamente conservato ma, a differenza di Kyoto, che è assediata da turisti sia straniersi sia locali, a Kanazawa il turismo di massa non è ancora arrivato e, per via delle dimensioni contenute della cittadina, è possibile visitarla a piedi e scoprire altri angoli nascosti. Come il Parco Kenrokuen, uno dei giardini zen meglio conservati in Giappone, il Museo di arte contemporanea 21 Century, realizzato da SAANA, uno degli studi di architettura più d’avanguardia e di fama internazionale e, infine, il mercato del pesce, di cui Kanazawa vanta una storica tradizione peschereccia, per via della prossimità al mare.

Non perdetevi, all’interno del mercato, il mitico ristorante Mori Mori, in cui potete mangiare sushi eccezionale accompagnato da birra locale, altro fiore all’occhiello di Kanazawa, dove non mancano birrifici in cui è possibile fare degustazione delle diverse birre locali. Altro gioiello culinario di questa città, nel vero senso della parola, è il sorbetto ricoperto dalla foglia d’oro. “Kanazawa”, infatti, in giapponese significa “palude d’oro”, poiché da secoli in questa città si pratica la tecnica della foglia d’oro su qualsiasi tipo di gioiello, mobile, abito, fino ad arrivare al gelato. Kanazawa stessa è un vero gioiello, ma dopo due giorni ripartiamo, con la velocissima Shinkansen, il treno che percorre fino a 500 Km all’ora, e in cui sembra di viaggiare più in aereo che in treno, in direzione Okayama.

Okayama, di per sé, non è nulla di che, se non per la sua posizione strategica che mi ha permesso, in 3 giorni, di visitare alcuni dei luoghi più interessanti del Giappone.

Prima di tutto, a solo 20 minuti di treno locale, Kurashiki, la cosiddetta “Venezia del Giappone”, un piccolo borgo conservato tra i canali che attraversano tutta la regione di Okayama. A Kurashiki, oltre che passeggiare e mangiare lungo l’acqua, è possibile visitare il Museo Ohara di arte moderna e il municipio, costruito dal celebre architetto Kenzo Tange.

Il giorno seguente, sempre da Okayama, prendiamo il shinkansen in direzione Hiroshima. Alla stazione mi danno una mappa della città in cui è segnalato, con un colore diverso, l’unico edificio conservato dopo la più grande catastrofe mai compiuta dall’essere umano nel giro di qualche secondo di orologio.

Tramonto sul fiume Sumida - foto di Fiammetta Martegani

La terribile storia di Hiroshima offre un altro spaccato sulla capacità del popolo giapponese di non arrendersi mai e guardare sempre avanti. Hiroshima, infatti, è stata interamente ricostruita ed è diventata una città di commercio e di lusso.

Ma, attorno all’unico edificio conservato dal giorno del lancio della bomba atomica, è stato costruito un Parco per la Pace, per ricordare gli errori del passato ma anche guardare avanti verso il futuro. Sono state le rose di questo parco, che ogni anno fioriscono in contrasto con le macerie, che mi hanno profondamente segnato, più di qualunque altro memoriale abbia mai visto, in altre zone di guerra e dolore.

Proprio dal Parco, inoltre, parte un battello che, attraversando il fiume di Hiroshima, arriva al mare, all’isola di Miyajima, che tutti conoscono per via del mastodontico tori, la porta shintoista, che sembra galleggiare nel mare. In realtà la piccola isola offre molti altri templi e, per gli amanti delle ostriche, è un vero paradiso: si possono assaggiare in uno dei tanti banchetti di street food improvvisati lungo la strada principale o in uno dei ristoranti stellati Michelin. Si tratta di un’isola magica, dove, se avessi avuto più tempo, sarei rimasta a dormire, anche per poter osservare il fenomeno dell’alta e della bassa marea, che consente di raggiungere il tori a piedi quando le acque si diradano.

Ma il giorno dopo mi attende una delle isole più incredibili che abbia mai visto in vita mia: Naoshima, nell’arcipelago delle isole del mare di Seto, che raggiungo, via terra, sempre da Okayama e, via mare, da Uno.

Naoshima era un’isola di pescatori, praticamente abbandonata, ma negli ultimi quindici anni è stata riqualificata dalla Fondazione Benesse che vi ha costruito, oltre ad un Hotel di extralusso, anche un Museo di arte contemporanea, che ha fatto da catalizzatore a tutta una serie di altri musei e gallerie che, letteralmente, costellano l’isola. Per poter visitare tutto, soprattutto il Museo Chichu, capolavoro dell’architetto giapponese Tadao Ando, è necessario passare almeno una notte sull’isola, il che consente anche, il giorno seguente, di vistare Teshima, isola non lontana, dove lo studio SANAA ha realizzato un museo, se cosi si puo chiamare: un luogo di contemplazione e meditazione, la cui visita vale l’intero viaggio in Giappone. Per gli appassionati di arte segnatevi una data: 2022.

Ogni tre anni, infatti, non solo a Naoshima e Teshima, ma in molte altre isole dell’arcipelago, si tiene la Triennale di Seto. Per visitarla, però, concedetevi più di due giorni, sia perché le distanze, come sempre in  Giappone, sono enormi, sia perché questo arcipelago è davvero magico e il tempo qui sembra scorrere più in fretta che nel resto del Giappone. Io ci avrei passato una settimana intera.

Invece ho continuato il mio viaggio alla volta di Kyoto: l’antica capitale del Giappone. Come dice il mio compagno di vita e di viaggi, se Tokyo è una gigante New York, Kyoto è una piccola Parigi. Piccola si fa per dire, ma rispetto a Tokyo è tutto relativo, e il fatto di non doversi muovere necessariamente in metro ma anche in autobus e in bicicletta è sicuramente un modo diverso per vivere la città, che, con Parigi, ha in comune, soprattutto, quel lato romantico e bohemien di piccoli negozi e ristoranti che si affacciano lungo il fiume e suoi canali, che dividono la città in due: quella più moderna, con il mercato, le gallerie d’arte e i negozi vintage, e quella di Gion, il quartiere della geishe e dei samurai, dove il tempo sembra essersi fermato e di notte si passeggia illuminati dalle lanterne.

A Kyoto, oltre a dedicarsi alla visita dei tempi e dei parchi il cui numero è tale per cui per vederli tutti non basterebbe una vita intera, è possibile anche affacciarsi ad alcune delle arti zen come l’ikebana o la calligrafia giapponese.

Riserve di Sake al Tempio dell’isola di Miyajima - foto di Fiammetta Martegani

Sono moltissimi i corsi, inclusi quelli di cucina e di ceramica, che si possono provare a Kyoto, in cui, forse anche per le dimensioni più a misura d’uomo rispetto a Tokyo, è possibile trovare più tempo per se stessi, oltre a dedicarsi a gite fuori porta in luoghi di grande interesse e a solo un’ora di treno da Kyoto. Come Nara, antica capitale del Giappone caratterizzata dai daini che girano ancora liberi per i parchi, o la modernissima Osaka, ricca di musei, ristoranti e luoghi da scoprire.

A proposito di ristoranti, a Kyoto non perdetevi per nulla al mondo l’Okonomiyaki, una sorta di pancake in cui i giapponesi mettono di tutto, dai frutti di mare alla carne, alla versione vegetariana per andare incontro alle esigenze di tutte le tipologie di turisti.

Ultima tappa del viaggio: Hakone. Una zona di montagna a metà strada da Kyoto e Tokyo dove, oltre a godersi gli onsen, le terme naturali giapponesi, e la vista del Monte Fuji, non può mancare la visita all’incredibile museo di arte contemporanea open air: una sintesi dell’intero viaggio in Giappone: l’incontro tra arte e natura, tra passato e futuro, tra le infinite sfumature di colori delle foglie e quelli delle opere d’arte.

Una volta tornati a casa i colori e i sapori rimangono vividi dentro di noi, al punto che, come in uno stato di assuefazione, si avverte già il bisogno di ritornarci e di organizzare un altro viaggio. Un viaggio nel viaggio. Questo è il Sol Levante. Arigato gozaimasu!

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Parco Kenrokuen

Open Air Museum di Akone - foto di Fiammetta Martegani