Burkina Faso, donne contro il cambiamento climatico, per sostenibilità ed emancipazione

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8 Marzo 2019

Una crisi umanitaria profonda, mentre si registra il più alto sfollamento della storia del Paese, oltre 1.2 milioni di persone hanno bisogno di assistenza e quasi 700mila persone patiscono l’insicurezza alimentare

 

*foto di Francesco Malavolta/Amani Nyayo

Se da un lato “Il Giardino dell’Eden non esiste più”, come affermato da David Attenborough al World Economic Forum di Davos, il Giardino delle Donne è un’àncora di salvezza per intere comunità colpite dall’insicurezza alimentare in Burkina Faso. Questo progetto innovativo, infatti, combina emancipazione femminile e agricoltura sostenibile incentivando l’uso di tecniche bio per aumentare i raccolti in un Paese dove la malnutrizione è cresciuta del 50% dal 2017.

Il Burkina Faso è un Paese senza sbocchi sul mare fra i più poveri al mondo e con uno dei più bassi punteggi nell’Indice di Sviluppo Umano, senza contare che almeno 7 milioni di abitanti su quasi 19 vivono sotto la soglia povertà.

Inoltre, benché l’agricoltura dia lavoro a circa l’80% della popolazione, si muore di fame. Letteralmente. Le principali cause della malnutrizione infatti sono legate a pratiche agricole o alimentari dannose, inadeguato accesso alle risorse alimentari, uso intensivo di pesticidi che danneggiano la salute umana e degradano il suolo cui si aggiunge l’incapacità di combinare le risorse disponibili per ottenere pasti nutrienti.

È di questo che parlano dottori e nutrizionisti quando descrivono questo incredibile paradosso: “Le persone non sanno con cosa sfamare le proprie famiglie. Inoltre, si devono anche sradicare pericolose prassi alimentari e incentivare l’allattamento esclusivo al seno per i primi sei mesi di vita”. A parlare è Laurentine, operatrice sanitaria che durante un workshop insegna alle donne (e agli uomini se presenti) come preparare “pasti arricchiti” da un punto di vista nutrizionale per scongiurare la patologia. Laurentine è una delle animatrici che girano di villaggio in villaggio per incontrare le donne e insegnar loro come curare igiene e alimentazione, concentrandosi soprattutto sull’identificazione precoce dei sintomi troppo spesso sottovalutati e ignorati.

Al Giardino delle Donne si lavora al loro ritmo e si sfida il tradizionale divieto di possedere la terra

Eppure, sta nascendo una sorta di bio-resistenza in alcune aree remote del Burkina Faso dove l’agricoltura biologica garantisce risorse alimentari a comunità estremamente povere. Un esempio è dato dal progetto finanziato da OCADES (Organisation Catholique pour le Développement et la Solidarité) e CARITAS Innsbruck per garantire risorse alimentari a Korsimoro, un villaggio situato in un’area particolarmente incline alla siccità dove la sicurezza alimentare è una questione di vita o di morte.

Come spiega il capo-villaggio, i raccolti dipendono in gran parte dalla diga locale costruita negli anni 70 e mai sottoposta a interventi di manutenzione. “Nel 2017, il raccolto del riso è stato compromesso da un’inaspettata mancanza di acqua. Nel 2018 abbiamo ridotto l’area coltivata per prevenire ulteriori perdite, ma così meno famiglie ricevono assistenza alimentare”, chiarisce l’agronomo Fernando Ouedrago per spiegare cosa significhi nella vita quotidiana una diga con sempre meno acqua a causa dei detriti sul fondo.

“Per combattere il cambiamento climatico abbiamo anche sviluppato un sistema di tunnel che potenzino la capacità del suolo di assorbire e mantenere maggiori quantità di acqua”, continua Fernando prima di passare agli ottimi risultati ottenuti con le tecniche bio nel lungo termine. “Il problema però è che nell’immediato gli introiti sono ridotti e in tanti sono abbindolati dalle promesse di guadagni facili nelle miniere d’oro”. L’abbandono delle terre coltivate a quel punto decreterebbe un avanzamento della desertificazione che annullerebbe la capacità produttiva del suolo.

Così, a Korsimoro quasi 160 agricoltori selezionati fra le famiglie più povere e vulnerabili hanno lavoro e cibo grazie alla terra che coltivano. In gran parte si tratta di donne che giornalmente si recano nei campi coi figli accovacciati sulla schiena o tenuti per mano e coltivano ciò che metteranno a tavola o venderanno al mercato per investire i guadagni ricavati. Ma questo non è l’unico progetto agricolo che garantisce viveri e indipendenza. A Tamassogo, un villaggio rurale del Burkina Faso centro-settentrionale, sorge il Giardino delle Donne il cui scopo è l’emancipazione femminile. Abbé Adelph della diocesi di Kaya ci tiene a precisare questo punto: mentre i progetti agricoli sono tradizionalmente mirati alla sicurezza alimentare, questo è proprio rivolto alle donne per incentivarne l’emancipazione.

Il punto di forza è stato adattare tecniche agricole tradizionali al contesto specifico per fronteggiare le sfide climatiche

Quello di Tamassogo è uno di cinque giardini simili finanziati da CARITAS Austria coi suoi partner locali che ha ospitato lo scorso dicembre la visita sul campo della ONLUS toscana Amani Nyayo che sostiene questo tipo di progetti nel Paese. “Vogliamo essere pronti a intervenire in qualsiasi momento coi fondi necessari, qualora servissero”, spiega Claudia Del Rosso, portavoce di Amani Nyayo. A illustrare il senso profondo di un simile progetto è la referente locale, suor Adéline: “In un’area dove le ragazze si sposano prestissimo e hanno fino a 8 o dieci figli, qui possono essere indipendenti in ogni caso. Al Giardino si lavora al ritmo delle donne. Sono loro stesse a decidere quando lavorare e un agronomo le aiuta a pianificare le attività”.

Così, in un Paese dove alle donne è negato il diritto alla terra, c’è un luogo in cui solo loro a possederla, gestirla e rispettarla in nome di una sostenibilità futura. “Il punto di forza è stato adattare tecniche agricole tradizionali al contesto specifico per fronteggiare le sfide climatiche”, spiega Zonabo mentre Nam aggiunge “Siamo riuscite ad aumentare la produzione di miglio da uno a cinque o sei sacchi per appezzamento usando solo tecniche bio”. Inoltre, se le lavoratrici sono una trentina, in almeno 180 godono dei risultati positivi e interi villaggi sono al riparo da stress alimentari, mentre queste donne possono permettersi di mandare i figli a scuola e reinvestire i propri guadagni in un contesto generalmente ostile.

Tuttavia, al di là del lato inevitabilmente romantico legato all’idea di un giardino gestito da donne, occorre riconoscerne il ruolo cruciale per affrontare le sfide alimentari di un Paese che sta vivendo un’emergenza umanitaria aggravata dal record storico di sfollamento interno. Alla luce delle conclusioni del World Economic Forum che ha reiterato le preoccupazioni derivanti dalla crescente instabilità politica e dal degrado ambientale a livello mondiale, le donne burkinabé incarnano la speranza, la resilienza e la determinazione di chi non si arrende al deserto che avanza ma incentiva modelli sostenibili di crescita.