Praticare, e difendere, i diritti

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18 Marzo 2019

Intervista all’avvocato Lorenzo Trucco, presidente dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione

Da alcuni anni il tema dell’immigrazione è diventato centrale nell’ambito dello scenario politico nazionale, europeo e internazionale, non c’è giorno in cui i giornali non dedichino spazio alle posizioni che politici, esponenti del mondo dell’associazionismo e dell’attivismo, della società civile o del mondo culturale dichiarano di avere relativamente al “problema dei migranti”.

Che se ne parli a destra o a sinistra, il denominatore comune sembra essere, però, una grande confusione nella restituzione delle informazioni, che spesso risultano essere il risultato di cattive interpretazioni o, peggio, di distorsioni funzionali agli obiettivi elettorali di questo o quel politico. Abbiamo pertanto deciso di ascoltare la voce dell’Avvocato Lorenzo Trucco, uno dei più autorevoli punti di riferimento in questo campo, non solo in Italia, ma a livello internazionale.

L’Avvocato Trucco è, infatti, il Presidente dell’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), l’associazione che nacque da un’intuizione del Professor Bruno Nascimbene nel 1990, quando l’accoglienza delle persone che provenivano da paesi non appartenenti all’UE era ancora considerato un tema di nicchia. Da allora l’associazione è cresciuta moltissimo, fino ad avere oggi circa 400 iscritti tra giuristi, avvocati e professori universitari, ma attorno all’ASGI orbitano ormai anche moltissime persone che non sono formalmente iscritte e che, soprattutto negli ultimi tempi, si stanno avvicinando all’associazione per capire meglio cosa sta accadendo e perché qualsiasi cosa accada nel mondo sembra ormai venir automaticamente ricondotta al “problema” dell’immigrazione.

Avvocato Trucco, quali sono gli obiettivi dell’ASGI?

L’ASGI ha alcune linee di azione principali, da un lato lo studio e la diffusione della conoscenza tramite incontri, seminari, specifiche formazioni anche in collaborazione con i Consigli dell’Ordine degli avvocati, ma stiamo cercando di allargare il contatto con realtà contigue, come i medici, gli assistenti sociali, ed altre categorie, perché crediamo che l’interazione e l’interdisciplinarietà sia molto importante. Dall’altro, poi, c’è una linea di intervento che riguarda le cosiddette “strategic litigation”, le cause strategiche o cause pilota, come ad esempio sui temi dell’antidiscriminazione o quelle relative al caso della nave Sea Watch o al caso del Comune di Riace. Inoltre sussiste un’azione di controllo e di elaborazione rispetto alle modifiche normative: seppur con mezzi limitati cerchiamo infatti di intervenire anche durante la fase normativa, sia a livello europeo che a livello nazionale, proponendo modifiche, emendamenti per sviluppare conoscenza ed eventualmente intervenire là dove necessario. Ognuno di noi, poi, è impegnato in una attività quotidiana rispetto a cause che apparentemente possono forse sembrare meno importanti rispetto alle cause pilota, ma che invece sono molto significative, perché ci mettono in contatto con la persona, un contatto che molto spesso è drammatico, doloroso, ma fortunatamente a volte  porta anche qualche risultato positivo e, soprattutto, permette di non astrarsi rispetto a quello che sta effettivamente succedendo. Noi lavoriamo sul tema dei diritti e io sono convinto che l’unica vera ricchezza di cui in Europa  possiamo andare fieri è proprio l’aver elaborato questo sistema dei diritti umani, che non è tale perché un giorno dei giuristi si sono messi a scrivere, ma è il frutto della sofferenza, del dolore, della morte delle persone, ed è quindi una vera e propria conquista. Purtroppo in questo periodo stiamo assistendo ad un attacco formidabile contro questo sistema e c’è un rischio reale che l’orologio dei diritti umani torni indietro. Da questo nasce la voglia e il dovere di intervenire e di far conoscere a tutte le persone quello che sta succedendo.

L’ASGI svolge quindi anche un’attività di divulgazione sul territorio?

Assolutamente sì, anche tramite il nostro sito web e la rivista on line, gratuita , Diritto Immigrazione e Cittadinanza che curiamo insieme a Magistratura Democratica. Dobbiamo però sforzarci di raggiungere e coinvolgere maggiormente le comunità dei cittadini stranieri, affinché loro stessi possano essere più consapevoli dei loro diritti e agire per la loro tutela.  La storia dell’uomo è legata alla migrazione, l’uomo si sposta da sempre,  sia per migliorare e raggiungere una vita comunque decorosa o per sfuggire a situazioni drammatiche e di conflitto, migrare fa parte della nostra storia ed è importante che le persone ne siano consapevoli. L’attacco al sistema dei diritti umani a cui stiamo assistendo, comporta una grande responsabilità da parte nostra, perché spesso per i giuristi è difficile riuscire a comunicare, divulgare una materia molto tecnica, noi stiamo cercando di sforzarci molto da questo punto di vista per rendere comprensibile quello che sta accadendo, perché le leggi sono significative di una serie di cambiamenti che stanno avvenendo nella società. A questo si aggiunge che molto spesso gli aspetti giuridici  vengono  raccontati in maniera molto sommaria, superficiale, quando non addirittura  errata, da parte degli organi dell’informazione in generale. Noi, però, stiamo osservando che da parte della società civile c’è molto maggiore interesse, stiamo rilevando un dato che colpisce molto: quando organizziamo degli incontri (nell’ultimo periodo ad esempio sul decreto sicurezza, ma più in generale negli ultimi tre, quattro  anni), le persone che chiedono di presenziare sono moltissime (abbiamo spesso avuto problemi di capienza delle sale), persone non legate al mondo giuridico, persone arrivate ad una presa di coscienza che vogliono capire meglio se quello che viene raccontato loro è vero o no. E’ un dato sicuramente  positivo in questo panorama veramente oscuro, in cui alcuni principi base della nostra democrazia rischiano di essere veramente intaccati, è un dato che dimostra come  la società civile, almeno secondo me, si stia muovendo inequivocabilmente. Non solo in Italia, lo si vede in Francia, in Belgio, in Germania, nei paesi nordici. Sono davvero colpito dalla società civile, non so se questi movimenti potranno mai avere un peso politico, ma vorrei che fossero almeno supportati dalla politica, perché è indubbio che ci sia un vuoto che in questo momento viene colmato da queste iniziative. Incontriamo sempre più spesso persone che ci dicono: “Quello che sta succedendo non è giusto, io non sono d’accordo, voglio fare delle cose per oppormi, voglio manifestare la mia opposizione”. Le persone vogliono capire di più e stanno manifestando un sentimento che è più di un disagio, è l’aver compreso che sta succedendo qualcosa di grave, che tocca delle corde profonde, tocca gli elementi di base della democrazia.

Questa presa di coscienza, secondo lei, nasce anche dalla consapevolezza che l’attacco ai diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo è un attacco a tutti?

Assolutamente sì, perché questo attacco riguarda tutti i cittadini. Il soggetto più debole è quello su cui vengono elaborate le strategie che poi saranno estese anche ad altre categorie. È significativa la posizione di Luigi Di Liegro, grandissimo personaggio  della Caritas romana, il quale sosteneva che non c’è nessuna legge come quella sulle migrazioni e sulla protezione internazionale che riveli senza filtri la nostra posizione più profonda rispetto ai valori fondamentali della società, primo tra tutti quello dell’uguaglianza. Nel momento in cui poniamo delle differenziazioni tra i soggetti, il nostro approccio nei confronti della società e degli esseri umani si svela. Avviene nei confronti del soggetto più debole, per poi essere esteso ad altre categorie, non per niente si fa spesso nuovamente riferimento alla cosiddetta “guerra ai poveri”, che ha attraversato la storia degli esseri umani, sotto forme diverse ed è la storia dell’emarginazione. Tutte le categorie fragili sono state e sono spesso sottoposte a discriminazioni e in questo momento storico il diverso per eccellenza è il migrante, che negli ultimi tempi ha subìto un’ulteriore elaborazione ed è stato trasformato in una sorta di nemico da combattere. La conseguenza è che tutti coloro che si pongono a fianco dei migranti, diventano essi stessi un obiettivo da contrastare, da reprimere, è tipico il caso delle ONG. Pensare che siano state imputate del reato di associazione a delinquere persone che rischiano la vita e vanno salvare altre persone in mare, tra l’altro in luoghi geograficamente lontani, è incredibile, anche se i procedimenti  sono per lo più finiti in un  nulla di fatto. Io non posso dimenticare quando negli anni ‘70  i primi “boat people”, i profughi vietnamiti che cercavano di fuggire via mare verso la Thailandia, la Malesia e l’Indonesia, furono salvati dalla nostra Marina Militare, salpata appositamente, e furono accolti a Venezia con tutti gli onori delle istituzioni e della cittadinanza. E viene da chiedersi: oggi cosa siamo diventati?

È corretto affermare che l’identificazione del “diverso” e di chi prende le sue parti con il “nemico” ha portato anche ad un attacco legale oltre che politico?

È corretto. L’attacco avviene su due livelli: uno attraverso una serie di modifiche normative di cui l’ultimo Decreto Sicurezza e la proposta  di riforma da parte della Commissione europea del sistema asilo sono esempi emblematici, un altro attraverso l’interpretazione distorta di alcuni elementi del diritto che portano alle imputazioni nei confronti, ad esempio, delle ONG. Qualche anno fa avevo partecipato ad un incontro del Consiglio d’Europa sui diritti umani e sui difensori dei diritti umani e già allora veniva posto in rilievo il fatto che nelle società attuali la vera opposizione ai governi installati non viene più fatta dai partiti, ma dalla società civile e dalle ONG, e quindi la repressione non può che essere messa in atto nei confronti di questi soggetti.

La proposta dell’UE che ha citato in cosa consiste? 

La proposta della Commissione Europea, che nasce nel 2015, è una proposta di riforma totale, imponente, che dovrebbe riformare tutto il sistema asilo, con un evidente scopo di restringere i diritti dei richiedenti asilo. Non è ancora attuata, ma ha imposto un trend basato sull’obiettivo di “esternalizzazione della domanda di asilo”, cioè volto a costituire una sorta di filtro,  rendendo sempre più difficile l’accesso all’UE già nella fase di presentazione della domanda. La domanda dovrebbe infatti essere presentata al di fuori dall’UE, il che da un punto di vista giuridico è gravissimo, anche perché sottrarrebbe la richiesta ad un effettivo controllo.

Questa riforma, poi, si accompagna ad un percorso che implica una serie incredibile di accordi, o pseudo-accordi (giuridicamente non sono neanche accordi) tra l’UE o tra singoli Stati dell’UE, con paesi in cui le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno. Uno degli esempi più clamorosi, che purtroppo ha funzionato, è stato quello della UE con la Turchia rispetto ai profughi siriani. Si è così attuato il concetto di  “paese di transito sicuro”: colui che scappa e che passa attraverso uno di questi paesi considerati “sicuri” dovrebbe presentare la sua domanda in quel paese e qualora non  lo facesse e arrivasse in UE senza averla presentata, la sua richiesta sarebbe in sostanza dichiarata inammissibile. Analoghi accordi sono intervenuti , da parte del governo italiano con il Sudan e addirittura con la Libia, territorio ove i migranti sono sottoposti a condizioni disumane, rinchiusi spesso in veri e propri lager (“un non accordo con un non paese”, come è stato giustamente detto ): ora c’è questo accordo con il Niger, che si vorrebbe diventasse paese di transito sicuro. Se così sarà, tutti coloro che arriveranno dall’Africa sub sahariana, e che dovranno per forza passare dal Niger, saranno obbligati a fare domanda lì e se non lo faranno, una volta arrivati in Europa, la loro eventuale domanda diventerebbe inammissibile.

Sulla base di quali parametri un paese si può definire “sicuro”?

Nell’ottica di rendere sempre più complicato l’accesso stesso alla domanda di asilo, sono stati anche modificati i parametri per definire il concetto di sicurezza, che una volta era strettamente legato all’adesione effettiva a tutte le convenzioni sui diritti umani, e che ora si sta assottigliando introducendo un concetto di sicurezza molto più labile, legato ad esempio al concetto di “protezione sufficiente”. Abbiamo fatto accordi anche col Sudan, per fare un esempio. È la prima volta che nel nostro sistema normativo (e il Decreto Sicurezza lo prevede) si introduce il concetto di “paese di origine sicuro”: verrà predisposto un elenco di paesi considerati “sicuri” per cui le persone che provengono da questi paesi potrebbero fare domanda solo dimostrando di arrivare da situazioni particolarissime strettamente connesse con la loro posizione individuale, e le richieste  sarebbero molto probabilmente dichiarate tutte inammissibili, sottoposte a procedure accelerate  e comunque respinte. L’elenco di questi paesi non c’è ancora, ma è in fase di elaborazione, e confesso che siamo tutti molto preoccupati a tal proposito. A quanto pare  pare sarà molto consistente e sembra che alcuni paesi come il Pakistan e forse addirittura la Somalia ne potrebbero fare  parte. Il sistema asilo è dunque sottoposto ad un durissimo attacco, si sta cercando di scardinarlo o renderlo ineffettivo con l’esternalizzazione e questi pseudoaccordi.

Lo scenario che ci descrive è veramente preoccupante, lei pensa che questa deriva possa essere arginata?

Ci sono anche degli anticorpi, certo, è stata molto importante ad esempio la risoluzione del Parlamento europeo per cambiare la riforma di Dublino (che stabilisce la competenza dello stato per il primo arrivo) in cui viene introdotta un’obbligatoria suddivisione tra i vari stati secondo diversi parametri (Pil, popolazione, rapporti parentali). Purtroppo si è arenato tutto, c’è stato un blocco da parte del Consiglio europeo ed è ferma, però è stata fatta, costituisce un precedente importante e potrebbe, chissà, essere ripresa. È innegabilmente una fase storica di grande involuzione, di pericolosa erosione di tutte le conquiste ottenute dopo la seconda guerra mondiale, ma io sono convinto che la democrazia reagirà, la democrazia esiste e ha questo dato caratteristico: è lenta, immaginare dei tempi di reazione è difficile, ma sussiste. È necessario ricominciare a ristabilire il valore dei diritti umani, che non sono qualcosa di astratto, ma , al contrario, qualcosa di molto concreto. Questa fase ci riporta alla domanda: perché i diritti nascono? I diritti nascono per difendere i più deboli e per cercare di difendere il valore dell’uguaglianza, che è centrale, i potenti non  hanno mai avuto bisogno dei diritti. Pensiamo a quando nacque la dichiarazione dei diritti dell’uomo, con la rivoluzione francese: ad un certo punto qualcuno disse :“Un duca e un contadino sono uguali”. Ecco, quello fu un passaggio rivoluzionario rispetto alla società precedente e noi oggi dovremmo essere capaci di elaborare qualcosa di altrettanto forte, considerando anche che dovrebbe essere molto più semplice visto che arriviamo da un lungo periodo di rispetto dei diritti, diversamente da loro.

Forse ci siamo dimenticati che la storia dovrebbe essere la nostra prima “maestra”?

Esatto, non dovremmo dare per scontati certi diritti e dalla storia dovremmo aver imparato molto di più. Quando oggi vediamo nelle nostre leggi degli elementi forti di discriminazione, dovremmo immediatamente allarmarci. La legge Minniti, ad esempio, ha tolto ai richiedenti asilo la fase del giudizio di appello , un elemento fondante di tutto il sistema normativo. Per la prima volta ad una categoria di persone è stato negato questo diritto, il che rappresenta un passaggio gravissimo. Basti pensare che  rispetto alle violazioni in tema di circolazione stradale sono garantiti tre gradi di giudizio, ma quando un richiedente asilo intende far valere questo  diritto primario e fondamentale, i gradi di giudizio sono limitati e addirittura questa persona non viene praticamente ascoltata,  in quanto il fatto di sentirla in sede di tribunale è considerato residuale e lasciato alla discrezionalità del giudice.

Anche nel Decreto Sicurezza possiamo riscontrare elementi di discriminazione allarmanti?

Assolutamente sì: l’abolizione della protezione umanitaria, che può sembrare settoriale, è invece gravissima, perché la protezione umanitaria deriva anche dall’applicazione dell’articolo 10 comma 3 della Costituzione Italiana (che fu votato all’unanimità), che è la più bella definizione che esista dell’asilo: “Lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica”. Ci si riferisce a tutte le libertà, non alcune sì e altre no. Il diritto alla salute, ad esempio, non significa semplicemente avere il diritto di essere curato in un ospedale dignitoso, ma vuol dire anche diritto all’alimentazione, e se non è possibile accedere ad un’alimentazione decente, allora ci si trova di fronte ad una violazione del diritto alla salute.

Come nacque, e perché, il concetto di “protezione umanitaria”?

L’asilo, secondo la Convezione di Ginevra, ha come base il concetto di persecuzione o tentata persecuzione per ragioni di razza, religione, opinioni politiche , nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale: è sufficiente che ci sia un fondato timore di una persecuzione, non è necessario che questa  sia già in atto. Essendo  sempre stata intesa come persecuzione personale, tutti coloro che fuggivano dai conflitti armati non rientravano nella convenzione di Ginevra. E’ stata la guerra di Bosnia che messo  in evidenza questa lacuna e sono nate  così delle forme di protezione temporanea, prima in Germania poi in altri paesi, fino ad arrivare all’elaborazione della protezione sussidiaria, che non è più basata sul concetto di persecuzione, ma su quello di “danno grave” che la persona subirebbe  qualora fosse rinviata nel proprio paese d’origine. Questa definizione non riguarda solo coloro che fuggono dai conflitti e dalle guerre, ma fa riferimento anche all’articolo 3 della dichiarazione dei diritti dell’uomo: “ Nessuno può essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani e degradanti “. Questo basilare concetto è stato ampiamente inteso e ad esempio, può riferirsi anche alle condizioni carcerarie. A fronte di questi due pilastri, è stata poi  elaborata la protezione umanitaria, che non si basa su parametri precisi, ma su “serie e gravi ragioni” che impediscono l’allontanamento della persona e questo può essere costituito anche da una integrazione effettiva sul territorio. Inoltre questa nozione è  collegata con l’articolo 10 comma 3 della Costituzione prima ricordata , con la sua ampia definizione. Tra l’altro non è affatto vero che la protezione umanitaria non esista negli altri stati, come è stato detto da qualcuno, su ventotto stati europei è prevista  in almeno venti, magari con nomi diversi, ma esiste. L’abolizione della protezione umanitaria e la sua sostituzione con delle forme residuali di permesso, che non ne riempiono assolutamente il contenuto e men che meno quello dell’articolo 10, è una ferita enorme. Il decreto sicurezza ha uno scopo evidentissimo: impedire l’integrazione in tutte le sue forme.

I casi di Riace e della Sea Watch, che l’ASGI sta seguendo, fanno parte di questo scenario in cui l’obiettivo sembra essere un sistematico attacco a tutte le forme di integrazione?

Certo, il caso di Riace è significativo, la magistratura farà il suo corso e non farei questo lavoro se non avessi fiducia nella magistratura, e mi auguro che verrà fatta giustizia, come almeno  in parte è stata fatta rispetto alle accuse mosse alle ONG. Il caso di Riace è quello di un’esperienza che stava dimostrando che l’integrazione può essere una risorsa enorme da tanti punti di vista, anche economico (ricordiamoci che a Riace, dopo quello che è accaduto, sono saltati molti posti di lavoro anche per gli italiani), perché l’immigrazione porta sviluppo.  Riace era una sorta di miracolo avvenuto in un territorio difficile come la Locride, una terra splendida ma dimenticata e con la pesante presenza della criminalità organizzata. Riace è stato una sorta di  miracolo portato avanti  da una personalità forte, dirompente come quella di Domenico Lucano, che  ha cercato di  applicare le norme nella loro migliore sostanza, attraverso il contatto diretto con le persone, perché alla fine il denominatore comune sono sempre le persone. Lucano è riuscito a far conoscere questo piccolissimo paese in tutto il mondo, facendolo diventare un modello di riferimento: era diventato un simbolo e anche come tale  è stato attaccato. E ora è sostanzialmente in esilio, profondamente addolorato, ma ciononostante continua ad avere fiducia nella giustizia. E noi lo sosterremo cercando di fare tutto quello che si può con gli strumenti che la democrazia ci consente di usare. Allo stesso modo stiamo seguendo il caso della Sea Watch,con il drammatico problema degli sbarchi e della c.d. “chiusura dei porti” , simbolo del degrado che sta avvilendo la nostra società, per cui abbiamo fatto un ricorso d’urgenza alla Corte Europea, frutto di un lavoro collettivo, come sempre lo sono le azioni dell’ASGI.

Ma proprio perché l’integrazione potrebbe essere davvero una risorsa, non è un controsenso volerla impedire?

Il paradosso è proprio che rispetto al problema demografico, anagrafico, economico del paese non ci sarebbero controindicazioni, anzi, l’immigrazione (che comunque rappresenta una percentuale irrisoria della popolazione, se pensiamo che in Europa ci sono 500 milioni di persone) potrebbe essere solo un vantaggio, ma evidentemente questo tema tocca delle corde molto profonde, oscure e toccare quelle corde, rendere lo straniero un nemico, porta voti. Noi stiamo scontando in Italia una fase di particolare ignoranza, con elementi di non conoscenza davvero grevi, e questo è davvero inquietante. Si banalizzano temi e problemi che sono invece molto complessi, le cui soluzioni richiederebbero tempo e capacità di proiettarsi nel futuro, ma se tutto quello che è cultura, apprendimento, approfondimento viene sistematicamente represso, svilito e dileggiato, allora ci troviamo di fronte ad una miopia davvero pericolosa, che pagheremo.

E cosa risponde a chi sostiene che i migranti portano insicurezza e crimine?

È ovvio che le persone che sono sul territorio, che arrivano e si trovano poi in una fase di totale emarginazione, rischiano più facilmente di commettere dei c.d. reati da strada, spesso per sopravvivere, ma c’è un dato importante che non viene mai citato: quelle che noi incontriamo quotidianamente  sono per lo più persone estremamente miti, e credo che chiunque di noi al posto loro avrebbe reagito in maniera molto differente, molto meno pacifica. È stato fatto un decreto che si chiama “sicurezza”, ma che in realtà è l’esatto contrario, perché il concetto di sicurezza è legato all’integrazione: se sono integrato, se ho un lavoro, se sono inserito in un sistema, non delinquo. Quella è sicurezza. Molti stranieri vengono qui sapendo perfettamente che i vantaggi economici saranno trascurabili, ma sono i diritti, la possibilità di vivere in paesi dove i diritti umani sono rispettati, a spingerli a partire rischiando anche la vita. Noi dovremmo esserne orgogliosi e invece stiamo cercando di trasformare il nostro paese in una società illiberale.

Lo scenario è drammatico, voi come continuerete a contrastarlo?

Hanno abolito la protezione umanitaria? Bene, allora vuol dire che reagiremo, useremo tutti gli strumenti che il diritto ci mette a disposizione, ad esempio chiedendo l’applicazione diretta dell’articolo 10 della Costituzione, che già alla fine degli anni ’90 , a seguito di una decisione della Cassazione a Sezioni Unite, era considerata possibile, rivolgendosi ad un giudice (il primo caso in cui fu applicato, e  l’ASGI intervenne a seguirlo, fu quello di Abdullah Öcalan). Andremo sempre avanti, perché sono convinto con Norberto Bobbio, che ho avuto la fortuna di avere come professore all’università, che  la differenza tra un regime democratico e uno non democratico alla fine, è una sola: il regime di tipo non democratico è un regime di tipo esclusivo, che tende cioè ad escludere delle categorie, delle parti della società dal godimento dei diritti fondamentali; il regime democratico al, contrario, è di tipo  inclusivo, tende cioè ad includere tutte le persone nel godimento dei diritti fondamentali. Credo che questa sia la stella polare che debba essere seguita.

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