Consegnare etico si può

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22 Aprile 2021

Un modo diverso di far arrivare il cibo a casa propria esiste e si chiama Consegne Etiche

Chi l’ha detto che etica e delivery non possono andare d’accordo?

Un modo diverso di far arrivare il cibo a casa propria esiste e si chiama Consegne Etiche.

A raccontarcelo sono Margherita Caprilli e Flavia Tommasini, rispettivamente regista e sceneggiatrice, dell’omonimo documentario prodotto da Fondazione per l’Innovazione Urbana di Bologna.

“L’idea del documentario su Consegne Etiche è nato perché sia io che Margherita lavoriamo per Fondazione per l’innovazione urbana che poi ha prodotto questo lavoro – racconta Tommasini – Il progetto è nato l’anno scorso, in pieno lockdown. Con la Fondazione ci siamo trovate a fare una serie di incontri di analisi su quello che stava accadendo con la situazione pandemica e a partecipare al progetto dell’Osservatorio dell’emergenza Coronavirus. Da lì, abbiamo iniziato a ragionare su alcuni elementi fondamentali e il tema delle consegna è stato fin da subito cruciale. Questo perché, mentre tutti eravamo chiusi nelle nostre case, avevamo la necessità di far arrivare delle merci o dei beni nelle nostre case, in giro c’erano solo i riders, che ci portavano queste cose, e noi fotografi. Da qui è emersa la forte contraddizione tra questi lavoratori, considerati indispensabili anche dalla politica, e la loro condizione in cui operano, senza tutele e diritti. Contemporaneamente, a Bologna, stava accadendo un’altra cosa importante secondo me: tanti piccoli commercianti, anche loro nella condizione di dover consegnare le loro merci, non si volevano rivolgere alle piattaforme di food delivery oppure avevano dei commerci che non si adattavano a quel tipo di consegne, come ad esempio, alle piccole librerie, ai mercati rionali, ai mercati contadini”

Una rider durante una consegna. Foto di Margherita Caprilli.

“Attorno a questo progetto si è iniziato a ragionare grazie alla Fondazione e al beneplacito dell’amministrazione comunale in modalità assembleare. Questa secondo me è stata la cosa importante: lanciare un appuntamento dove ci si è seduti tutti attorno a una tavola rotonda virtuale per discutere con tutti i soggetti coinvolti in questa problematica: i riders sindacalizzati, piccoli commercianti, alcuni assessori, alcune realtà come l’università. Da qui si è pensato un percorso che, grazie ad alcune cooperative, ha dato vita alla prima sperimentazione di Consegne Etiche. Noi c’eravamo dentro fin da subito, questa cosa l’abbiamo vista nascere. E quando ci siamo rese conto che stava prendendo forma una possibilità concreta e alternativa al normale sistema di food delivery, con Margherita ci siamo dette che mai avremmo potuto raccontarla senza prenderci i giusti tempi. E quindi abbiamo cominciato a fare le interviste, a fare le riprese e le foto. Ci siamo subito rese conto che il materiale era ricchissimo di spunti, non solo legati al tema delle consegne in sé, ma che riuscivano ad aprire macromondi di riflessione. All’inizio non pensavamo che ne sarebbe uscito un documentario, ma man mano che il materiale arrivava e noi ci schiarivamo le idee abbiamo capito che serviva un format visivo che sapesse restituire dignità a quello che stavamo raccontando”.

Simona Larghetti Project manager di Dynamo, cooperativa parte del progetto Consegne Etiche - foto di Margherita Caprilli

“Per raccontare questa storia abbiamo scelto di seguire e star vicino ai riders che stavano lottando per veder riconosciuti i propri diritti. E questa cosa è stata fondamentale perché loro hanno davvero un’energia pazzesca – racconta Caprilli – Sono stati i primi a scendere in piazza, ancora prima della pandemia, soprattutto qui a Bologna grazie a Riders Union Bologna. E hanno fatto un vero e proprio lavoro di rivendicazione per uscire dall’invisibilità. La loro forza ci ha colpite tantissimo. E un po’ ce l’aspettavamo, perché li seguivamo già da prima, ma parlare con loro è stato il primo punto in cui abbiamo realizzato che c’era tanto materiale, non solo rispetto alla loro situazione, ma anche per quanto riguarda come la loro situazione sia una finestra importante di riflessione sul mondo in cui siamo immersi. I riders sono dei piccoli connettori tra tante piccole componenti di ciò che caratterizza il nostro quotidiano. Quando ci siamo rese conto di questo abbiamo capito che c’era un’intera visione da raccontare. E raccontare una visione alternativa ti dà gli strumenti per raccontare anche la situazione da cui sei partito per costruire questa alternativa”. 

Tommaso Falchi di Riders Union Bologna durante lo sciopero dei riders a Bologna, il 30 ottobre 2020. Foto di Margherita Caprilli.

C’è qualcosa che non vi aspettavate di scoprire e che invece avete scoperto?

“Ciò che abbiamo scoperto, durante la realizzazione di questo documentario, sono stati i riders e la loro realtà. Perché una cosa è leggerli raccontati sui giornali e vederli alla televisione, sentirli definiti ‘lavoratori essenziali’. Un conto è seguirli e vedere con i proprio occhi chi sono, che vita fanno, quanto stanno attaccati al telefono senza avere il tempo di sganciarsi da un’app all’altra”. 

“Un’altra cosa che abbiamo scoperto e che non ci aspettavamo è il lato dei produttori di materiale. Loro, che non voglio nemmeno chiamare commercianti – dice Tommasini – perché mi sembra riduttivo, con Consegne Etiche hanno trovato un modo per sganciarsi dalle piattaforme di food delivery. E secondo me l’ha detto molto bene Michele nel documentario. Lui ha una pizzeria e racconta di come metta tanta ricerca per avere un buon prodotto e se poi lo deve mettere su una piattaforma, quel prodotto non è più lo stesso. Non perché paga la piattaforma ma semplicemente perché non è il modo giusto per far arrivare il suo prodotto a chi l’ha ordinato. Michele racconta che c’è una decadenza perché deve usare dei materiali più scarsi per rientrare nei costi e deve, in qualche modo, rendere il prodotto non più ‘suo’. E questa è stata una sorpresa perché, come clienti, difficilmente ci si pensa. Ordiniamo una pizza su Just Eat, per citare una delle tante piattaforme di food delivery, e non ci poniamo il problema che per riuscire ad avere quella pizza, consegnata senza nessuna aggiunta di prezzo, il commerciante magari abbia dovuto fare dei tagli da altre parti. Perché anche chi utilizza queste piattaforme per vendere i propri prodotti è sottoposto a delle tariffe piuttosto vessanti. Quindi, oltre a sfruttare il lavoratore, si fa anche la scelta di andare verso un prodotto che non è assolutamente sostenibile per chi te lo prepara e per il quale, magari, ha dovuto usare dei materiali scarsi che provengono da una grande distribuzione che, a sua volta, mette in moto tutta una serie di filiere scorrette. La scelta di come ordinare ricade su tanti aspetti, non da ultimo quello ambientale”. 

“Questa è stata la vera scoperta. Di come un’azione, che sembra la cosa più banale del mondo, come farsi portare una pizza a casa, in realtà muova una serie di cose devastanti dal punto di vista della sostenibilità ambientale, economica e umana”.

Un rider durante una consegna. Foto di Margherita Caprilli.

Chi sono i riders oggi e come sono cambiati nel corso di questo ultimo anno?

“Le cose nell’ultimo anno sono cambiate parecchio e si vede. Basta osservare le città  dove, dopo il coprifuoco dalle 22, sfrecciano solo riders il cui numero, nell’ultimo anno, è aumentato. C’è stato sicuramente un aumento di richiesta e tanta gente che faceva altro e ha perso il lavoro ora si trova a fare il rider. Siamo abituati a pensare al rider come a un migrante che arriva qua e, come unico lavoro, trova questo. Dobbiamo cambiare prospettiva. La verità è che tante ragazze e tanti ragazzi precari italiani si sono messi a fare questo lavoro perché è un anno che tanti settori sono bloccati. Penso ai lavoratori dello spettacolo che in quest’anno non hanno visto ammortizzatori sociali, perché per queste categorie non ci sono, e sono attaccati a dei ristori che arrivano e non arrivano… allora so sono messi a fare i riders. Qui [a Bologna ndr] c’è stato anche il caso di un cantante lirico che si è messo a fare il rider, che fa strano perché quando si parla di lirica e spettacolo ti aspetti sempre il grande nome e invece nel mondo della cultura c’è una precarietà devastante. Musicisti, fonici, tecnici si sono trovati a doversi reinventare in altri lavori tra cui anche questo. Anche se, mi viene da dire, è come passare dalla padella alla brace, perché se il mondo dello spettacolo ha l’1% di tutele quello dei riders ha lo 0.1% di tutele. Questo cambiamento secondo me si è visto. Chi sono i riders oggi? Tanti precarie e precari che vengono da settori che erano già precari prima e che si sono bloccati”. 

Un rider durante lo sciopero dei riders a Bologna, il 30 ottobre 2020. Foto di Margherita Caprilli.

Pensate che Consegne Etiche possa essere un modello “esportabile”?

“Consegne etiche non può essere una soluzione immediatamente applicabile al macro perché stiamo parlando di un progetto piccolo e che è partito in via sperimentale. Però è importante che si inizi a far vedere che c’è un’alternativa. Molto spesso, anche come cittadine e cittadini veniamo un po’ schiacciati dal fatto che le cose sono così e solo così possono essere. Invece no, da qualche parte bisogna trovare il modo perché così non sia. E lo si fa sì, andando in piazza coi riders ma anche provando a costruire delle sperimentazioni di alternativa. Consegne Etiche lancia questo forte messaggio. Non vogliamo dire ‘fermi tutti, questa è la soluzione a Just Eat’ vogliamo dire ‘guardate che c’è un’alternativa’. E le lotte dei riders servono a fare in modo che determinate condizioni vengano riconosciute, come è successo a Milano con la maxisentenza. Infatti adesso le piattaforme si stanno interrogando su come trovare forme di regolarizzazione che, sicuramente non sono ancora sufficienti, ma sono un piccolo passo da cui iniziare. E a piccoli passi si va avanti. Un’altra cosa che volevamo far capire nel documentario è che non dipende solo dai rider. Tu che sei a casa devi comunque pensare alla filiera che metti in moto quando usi una piattaforma di food delivery. Se tu inizi a ragionare su tutta la filiera che c’è dietro capisci che il gesto più importante è il tuo, quando ordini. E forse capisci anche che c’è un’altra scelta o ti organizzi diversamente”. 

“Quindi Consegne Etiche potrebbe essere un modello da esportare ma va rimodulato da centro urbano a centro urbano perché tra uno e l’altro cambiano tante cose. Secondo me c’è anche una sorta di propensione a esportarlo – racconta Caprilli – Lo abbiamo visto anche all’evento streaming di lancio del documentario che ha coinvolto molte autorità nazionali che in qualche modo si stanno mobilitando e hanno lanciato l’idea che quello bolognese potrebbe essere un modello da replicare. E ci sono anche tante iniziative simili che, dopo aver visto come si è mossa Bologna, hanno sperimentato qualcosa che si adattasse alla loro rete. Per esempio Sode, a Milano, è una sperimentazione di delivery sociale. È un progetto di comunità importante che ha un crowdfounding attivo per iniziare a fare della formazione dedicata ai riders, un fondo di supporto legale e burocratico e per impostare un servizio solidale dal basso. Poi ce ne sono altre a Prato, a Bergamo e in piccoli comuni che stanno provando ad organizzarsi. Ecco questa secondo noi è un’altra importante da sottolineare: in tutti questi esperimenti c’è una forte partecipazione anche delle amministrazioni locali. A Bologna, Consegna Etiche non sarebbe stata possibile senza l’intervento e la mediazione di Fondazione per l’innovazione urbana e del Comune di Bologna. Questo è un segnale importante perché credo che, se la pandemia ha fatto qualcosa, ha anche smosso una serie di pensieri e considerazioni rispetto a un progetto di città diverse e che partono anche dalla solidarietà e non solo dall’estrattivismo delle grandi corporation”.

 

Una rider durante una consegna. Foto di Margherita Caprilli.

Consegne Etiche consegna cibo ma anche libri…

Dal punto di vista di Consegne Etiche il rapporto con l’istituzione delle biblioteche di Bologna è stato essenziale, anzi è essenziale e si va anche a legare con tutto il lavoro che hanno fatto le librerie indipendenti nell’auto-organizzarsi. Anche questo è stato un motivo di lotta l’anno scorso per cercare di portare avanti delle attività. Qui la cosa delle biblioteche ha aperto anche nuovi mondi. Adesso, per esempio, si sta cercando di capire come il servizio possa diventare stabile. È chiaro che un servizio di delivery di libri ha un certo valore, soprattutto in periodi eccezionali come può essere un lockdown, però immaginiamo anche che per il futuro possa essere comodo per persone con problemi di mobilità. Le fragilità ci sono. Quindi questa del delivery di libri è stata una componente importante di Consegne Etiche che ha permesso di fare una vera sperimentazione logistica dal punto di vista di come strutturare il servizio. Il bello di tutto il progetto Consegne Etiche è che si sta continuando a sviluppare. Chi ne fa parte continua a studiare. Consegne Etiche si sta radicando e, al tempo stesso, si continua a cercare di capire come far evolvere le cose. C’è una forte consapevolezza che ci vorrà del tempo prima di tornare a quella che, prima, era la normalità. Ma anche consapevolezza che la normalità di prima non andava bene e che il futuro sarà impregnato dal lascito di questo anno”.

Un rider di Consegne Etiche. Foto di Margherita Caprilli.

Qual è la cosa che speriate emerga dal vostro documentario?

“Crediamo, speriamo, che si veda molto il fatto che raccontiamo anche un pezzetto di città e di reti che si muovono. Questo documentario che non è stato reso possibile da noi, che ci siamo solo prestate, è stato reso possibile dalle storie di persone che si sono messe in discussione e che hanno provato a sperimentare una cosa nuova, non sapendo nemmeno se ce l’avrebbero fatta o come sarebbe andata a finire. Tutto questo in una dinamica vera di rete, di mettersi lì e provare a costruire qualcosa per la comunità, per tutti. Questo secondo noi è un approccio importantissimo che dà anche un po’ la cifra di tutto il lavoro che abbiamo fatto. Non abbiamo raccontato il progetto di qualcuno, abbiamo raccontato un progetto cooperato e cooperante. Abbiamo raccontato la Bologna che ci piace e forse è una Bologna che a volte rimane un po’ nascosta, ma che ci ha gasato tirare fuori, perché c’è”. 

Consegne Etiche è una piattaforma cooperativa di consegne a domicilio dove i fattorini sono pagati in modo degno, senza pesare sui commercianti e con un impatto ambientale azzerato. Il progetto nasce da due cooperative Dynamo e Idee in movimento con il supporto del centro universitario per la formazione e la promozione dell’impresa cooperativa AlmaVico che hanno aderito al Cantiere Consegne Etiche coordinato da Fondazione per l’Innovazione Urbana e Comune di Bologna. 

Il documentario “Consegne Etiche” è disponibile sulla piattaforma OpenDDB – distribuzioni dal basso. L’augurio, sperando in un miglioramento della situazione pandemica, è quello di portare il documentario in giro per l’Italia, un festival alla volta.