Covid19 e gli effetti psicologici dimenticati

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5 Aprile 2020

Nel pieno dell’emergenza sanitaria in corso, c’è una sottovalutazione delle conseguenze psicologiche. Il rischio è di avere intere comunità in una condizione di stress post-traumatico. L’intervista allo psicologo Diego Manduri.

“Questa condizione produrrà gli stessi sintomi di un disturbo da stress post-traumatico”. 

Le parole sono quelle di Diego Manduri, psicologo e psicoterapeuta. Il tema, le conseguenze psicologiche della pandemia in corso. Sono passati più di venti giorni dalle misure più dure prese per fronteggiare l’emergenza sanitaria, continuiamo ad essere circondati da una retorica dilagante che parla di “amore contro odio”, di “battaglie da vincere”, e da una quantità di informazioni difficili da gestire, sia a livello di verifica delle notizie che, soprattutto, di resistenza mentale. Ma di supporto psicologico si parla ancora poco. 

“Siamo in una situazione in cui è chiaro l’impatto psicologico e relazionale – afferma Manduri –  e quindi la sua pericolosità. Tuttavia nei protocolli degli interventi della sanità pubblica è raro trovare il supporto psicologico. Ancora una volta non si considera come fattore importante quello dell’impatto psicologico, ma, soprattutto, quello dell’intervento psicologico. E di quanto questo possa ridurre anche il carico clinico e medicale futuro”. 

Secondo lo psicologo c’è stata, e c’è ancora, una grave sottovalutazione dell’importanza del supporto psicologico. 

“La maggior parte del sostegno oggi esistente è volontario, offerto da associazioni, ma non esiste un impianto strutturale dell’intervento emergenziale: si cercano quotidianamente infermieri, medici, ma non c’è alcun supporto psicologico istituzionalizzato”.

Manduri è anche presidente di Approdi, un’associazione nata Bologna che offre sostegno e cura psicologica primariamente a migranti e che ha attivato, insieme alla ong Mediterranea Saving Humans e al Laboratorio Salute Popolare, un pronto soccorso medico-psicologico per sostenere chi è più vulnerabile, privo di reti sociali e supporto, per chi non sa come muoversi e a chi rivolgersi. Insomma, per non lasciare indietro nessuno in questo momento di emergenza.

Ogni giorno i volontari delle associazioni ricevono decine di chiamate, da tutta Italia e non solo. C’è lo studente da solo a Barcellona, c’è la studentessa da sola a Parigi o a Londra, c’è la mamma dello studente o della studentessa fuori dall’Italia, c’è il lavoratore terrorizzato dal tornare al lavoro. Ci sono poi tutte quelle persone già in una condizione di fragilità o di malessere, per i quali questa situazione di allarme è arrivata all’improvviso nella loro vita esasperando la situazione già in corso. Persone che avevano già delle difficoltà, che erano in una condizione di lutto, di separazione, di solitudine o in una fase della vita in cui stavano affrontando delle decisioni o dei passaggi in cui c’era tristezza, dolore, fatica, rabbia. 

Tutto questo ha fatto esplodere in maniera esorbitante la condizione di fragilità psicologica.

Una condizione ancora diversa è quella dei migranti, che sono arrivati in Italia dopo aver vissuto situazione al limite della vita e stanno seguendo percorsi per superare una condizione da “trauma estremo”: una condizione di allarme costante, di paura di tutto. Un allarme e una paura che investono tutta la mente, tutte le relazioni e tutto il corpo.

“Significa – spiega sempre Manduri, che con Approdi dal 2017 garantisce assistenza psicologica ai richiedenti asilo – che ogni cosa intorno a me è pericolosa. Tutti possono essere pericolosi per me. Questa condizione, dovuta alla loro esperienza, al loro percorso migratorio, trova poi qui in Italia e a Bologna un’accoglienza che fa sì che si riduca: facciamo in modo che loro possano sentirsi al sicuro nel posto dove sono accolti, possano sentirsi liberi e possano cominciare a sperimentare delle relazioni non pericolose, e quindi abbassare il livello di allarme”.

Questa condizione improvvisa e allarmante in cui ci troviamo oggi è arrivata nelle loro – e nelle nostre – vite, dicendo loro il contrario di quello che è l’intervento terapeutico che stanno seguendo: “non sei al sicuro, tutti intorno a te possono essere pericolosi per te”.

In un contesto del genere, in cui continuiamo ad essere circondati da informazioni, video, notizie su come proteggerci, come lavarci le mani, cosa fare o non fare, è necessaria anche una comunicazione diffusa su come tutelarsi rispetto a una situazione di fatica psicologica: i livelli di allarme continuano ad essere molto alti e questo può provocare diffidenza e paura dell’altro, incubi, flashback, disturbi del sonno, disregolazione emotiva.

 “Mi sento molto bene – spiega Diego Manduri – ma un minuto dopo sono in una condizione di allarme, panico o di tristezza, di vuoto totale. Condizioni difficili da controllare perché si muovono velocemente dentro di noi e condizionano tutto quello che facciamo”.

Il rischio prospettato dallo psicologo è quello di avere in una condizione di stress post-traumatico non singole persone, ma intere comunità.