Cronache dalla comfort zone – 41

di

27 Aprile 2020

Il contagio delle storie – 41

Convinti, quando le cose vanno bene e quando le cose vanno male, che ciascuno deve fare il suo lavoro, ci troviamo come redazione di fronte a un evento globale, che concorre a mettere a nudo quelle paure che saranno l’argomento del terzo numero del nostro semestrale cartaceo.

Partendo dal testo di Angelo Miotto, abbiamo deciso – nostra vecchia passione – di lanciare un Decameron online, nella vecchia tradizione, di fronte alle paure, di riunirsi attorno al fuoco (della passione narrativa) e di raccontarsi storie.

Mandateci il vostro racconto di questi giorni di Corona virus, tra allarmismi, improvvisati esperti, legittime paure e doverose cautele. Va bene, al solito, qualsiasi linguaggio: audio, testo, video, foto. Inedito o citando altri. Scrivete a redazione@qcodemag.it e noi vi pubblicheremo.

Il contagio delle storie – 41

Cronache dalla comfort zone – Lorenzo Picarazzi

 

Il rumore che sento da diversi giorni a questa parte somiglia a qualcosa che raschia e si incrina. Durante la giornata di oggi mi è arrivato un messaggio da parte di una cara amica di nome Ambra che vive in Sud America, a Florianópolis.

Il messaggio, senza nessun motivo concreto, mi esortava a respirare profondamente tra una cosa e l’altra.

Rapiño. Bello tu. Felice di esserti amica. Però mi devi respirare forte tra una cosa e l’altra

La mia vita negli ultimi nove anni circa è scandita da un cane di nome Hank. Le passeggiate con lui molto spesso spezzano una giornata frenetica o una serie di pensieri frenetici e mi permettono di respirare. Ultimamente, fatico a fare dei respiri profondi e tra la preoccupazione ipocondriaca di essere infetto e l’illusione ipocondriaca di star per aver un attacco di panico realizzo che se mi concentro bene, riesco effettivamente e tranquillamente a respirare profondamente.

Da quando è iniziata tutta questa danza con l’ignoto, sarà successo due o tre volte che mi fermassi, sia fisicamente che mentalmente, per respirare e riflettere. Ecco, in quei precisi momenti, sento il rumore sopra descritto. Lo associo ad una sorta di sfera che per comprensione chiamerò ovviamente, comfort zone.

La nostra civiltà occidentale vive in una comfort zone. Tutti e tutte noi ne possediamo una. In questo momento, la confort zone a cui eravamo abituati e che, chi in un modo chi in un altro, stavamo anche addobbando e decorando, si sta scalfendo.

La frattura fa entrare il caos e a quello non vi è ordine. Lo sforzo che esorto a fare, me stesso per primo, è di affrontare la situazione attuale con lo spirito di adattamento più alto che abbiate mai pensato di avere.

Adattamento non come sinonimo di piegamento ma come base solida con cui riuscire ad analizzare l’oggi che viviamo, relazionandolo al prima che passivamente vivevamo.

Questo vuole essere un consiglio per non impazzire, per non avere paura, per non provare odio per se stessi o per altri, se non verso i diretti interessati. Dal canto mio, lo considero uno sforzo in quanto la scalfittura della mia confort zone sta portando ad un’autoanalisi in cui, in un modo o in un’altro, sto rivalutando quello che è stato il mio percorso fino ad adesso: sono operatore video e montatore video. Non si tratta solo di una professione ma di quella che in occidente viene chiamata “vocazione”. Per me è sempre stata sia fonte di reddito, sia dispositivo con cui indagare il reale e addirittura avere la presunzione di porvi una critica. Ma ecco, la prima frattura, la prima incrinazione della mia comfort zone.

Dal 9 marzo ho mollato la videocamera, non riesco più a filmare. Questo mi porta inevitabilmente alle lezioni di cinema documentario e cinema del reale, quando avevo come professore Luca Mosso. Durante una lezione ci disse che esistono due tipi di documentaristi: in una situazione in cui una persona sta affogando, uno dei due molla la videocamera e la salva, l’altro filma la scena.

Mi sento di appartenere alla prima categoria, quello che molla tutto e salva la persona in pericolo di vita.

Questo giustifica il perché ad inizio pandemia abbia scelto di mollare la videocamera e fare volontariato tramite la Solidaerità Popolare Milano Sud e web radio con Radio Zeta-AM per intrattenere le persone a casa.

Ora sento il bisogno di riprenderla ma continuo ad avere uno sguardo critico davanti alla miriade di immagini che stanno documentando la pandemia: le trovo prive di contenuto e a caccia dello scoop, filmare il vuoto per portare altro vuoto. Come posso rapportarmi a tutto questo?

La cosa che vorrei più di tutte è che si smettesse di considerare questo momento come il momento in cui il sistema inizia a controllarci e comandarci.

Il controllo è in atto da diverso tempo, così come gli infiniti dispositivi, visibili o meno, erano già qui con noi e ci stavano già osservando. Così come la militarizzazione delle strade era già realtà, l’abuso di potere una prassi consona ai più, la malasanità trascurata, il profitto a discapito della vita delle persone. La cosa che sta succedendo adesso, il momento particolare che si sta affrontando è che queste cose le vediamo.

Stanno puntando questo controllo direttamente su di noi, in risultato del sistema occidentale capitalista sta scalfendo quella che è la nostra confort zone, dopo avercela venduta.

In aree del mondo questo tipo di controllo è già in atto e la vita di intere popolazioni è invischiata da anni nel rapporto di potere con questa stretta. Ora tocca a noi.

Nel virus, in questo momento, vedo la metafora della luce e dell’ombra: esso sta mostrando nella maniera più grottesca quelle che sono le falle del nostro sistema. L’ombra, che prima copriva le falle, non era simile a quella della notte che tutto maschera ma a quella di un’alba, difatti le intuivamo già prima le contraddizioni. Ora però è giorno, siamo sotto lo zenit, camminiamo in un deserto secco e arido, siamo soli e poi.. capita la sorpresa del ritrovarsi, il tutto tramite uno schermo connesso ad una rete globale.

Sto riflettendo molto sugli schermi, ora più di prima. Negli ultimi anni li ho usati con scetticismo, cercando sempre un piano critico con il quale pormi verso di loro, ma comunque dandoli sempre per scontati. Adesso salvano quelle che sono le mie relazioni, i miei affetti e quindi in un modo o in un altro la mia vita ma tutto questo avrà delle conseguenze.