La clessidra di pietra – 4

di

8 Marzo 2020

Il contagio delle storie – 4

Convinti, quando le cose vanno bene e quando le cose vanno male, che ciascuno deve fare il suo lavoro, ci troviamo come redazione di fronte a un evento globale, che concorre a mettere a nudo quelle paure che saranno l’argomento del terzo numero del nostro semestrale cartaceo.

Partendo dal testo di Angelo Miotto, abbiamo deciso – nostra vecchia passione – di lanciare un Decameron online, nella vecchia tradizione, di fronte alle paure, di riunirsi attorno al fuoco (della passione narrativa) e di raccontarsi storie.

Mandateci il vostro racconto di questi giorni di Corona virus, tra allarmismi, improvvisati esperti, legittime paure e doverose cautele. Va bene, al solito, qualsiasi linguaggio: audio, testo, video, foto. Inedito o citando altri. Scrivete a redazione@qcodemag.it e noi vi pubblicheremo.

 

 

Il contagio delle storie – 4

La clessidra di pietra – Christian Elia

Sono tanti i pensieri che in questi giorni si presentano, non invitati, davanti alla porta (chiusa per quarantena) dei nostri giorni.

L’eccessivo allarme, la sottovalutazione, l’ansia e il conforto, l’isolamento e lo spaesamento.

Ciascuno di essi, in fondo, ci parla di noi e degli altri, come solo un momento particolare riesce ancora a fare. Eppure, in fondo, quel che manca davvero a me è il movimento.

Ho avuto, da studente, la fortuna di avere come docente il sociologo Franco Cassano nella mia Bari. Il suo libro Il pensiero meridiano, da sempre, lo ritengo uno degli scritti che mi ha segnato. E Cassano, nella contrapposizione tra Heiddeger e Nietzsche, tra l’idea del viaggio dell’uno e dell’altro, ha saputo sintetizzare intere visioni del mondo. Il mio è sempre stato un andare che prevede un ritorno, un nostos, nella cultura greca.

Questa clessidra di pietra, immobile, che si nutre di eventi cancellati e di viaggi rimandati, e se ne nutre non per crescere, ma per restare ferma, mi interroga. Mi obbliga a guardare negli occhi, la mia incapacità di stare fermo. Provo a ignorarla, ma è là, mi guarda. Non so mai cosa risponderle.

Perché a tanti, a volte anche a me, sembra sempre una fuga questo eterno andare. E invece no. Finirà che – in fondo – a questo evento inatteso dovrò dire grazie. Perché mai come adesso, proprio ora, l’andare è necessario. Perché una persona può essere felice in movimento e questo è un po’ un rimosso del nostro tempo. Per tanti, l’idea del ‘fermarsi’, ‘sistemarsi’ è ancora legata a una valutazione positiva. Per tanti l’idea del fermarsi è legata a una forma di appagamento. E il muoversi a una forma di fuga da qualcosa che non va.

Per me è l’opposto. Per me un unico orizzonte è un ossimoro. Perché nell’andare e nel raccontare, nell’andare per sentire sempre la voglia di tornare, il nostos appunto, c’è il senso di tutto.

E allora non ti ringrazierò, virus, non esageriamo. Ma appena riesco a partire, ti penserò. Perché sarà ancora più gustoso il sapere che il movimento è una delle forme di stabilità più forte che cementa i rapporti a cui tieni.

È questo andirivieni, questo andare-tornando e questo tornare-partendo, questo partire non per fuggire ma avendo confidenza con il nostos (ritorno), ma anche il suo contrario, l’essere altrove quando si è a casa, questa, che è stata vista a lungo come una malattia, la possibile soluzione, questa grammatica doppia e antinomica del confine varcato, questo aver casa non nell’equilibrio ma nell’ossimoro che porta lontano sia da Heidegger che dai nicciani Deleuze e Guattari.

[Da Il pensiero meridiano, di Franco Cassano, Laterza editore]

Orologio molle al momento della prima esplosione - di Salvador Dalì