Le buone castagne di Enzo Mari

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19 Ottobre 2020

È morto a 88 anni uno dei Maestri del design italiano e internazionale. Lo ricordiamo con le sue parole

Quindici anni fa ho cercato Enzo Mari. Era forse febbraio del 2005. Per Radio popolare avevo disegnato una trasmissione che si chiamava Radiocronache, cinquanta minuti monografici su un fatto sociale, a più voci, spesso coinvolgendo il network nelle diverse città. Quella sul design fu una puntata milanese, ovviamente. E cercavo un padre del design italiano, una figura internazionale, critico rispetto a uno dei messaggi che avevo scelto di dare: la differenza fra il design e il mondo del fashion.

Enzo Mari viveva in Piazza Baracca.
Entro nel palazzo. Un ascensore antico di metallo, la porta che si apre una signora che mi accompagna da lui, il parquet che scricchiola, Mari stava ascoltando musica classica riprodotta da un lettore cd di Muji a muro, molti lo ricorderanno. Bloccò la musica e mi salutò.

È così. Ci sono interviste che si fermano dentro. Quella con Mari fu così; non era tanto il designer famoso, con quella barba candida, che bestemmiava e fumava raccontandomi del dopoguerra italiano e della magia di un design che era funzione, bellezza, materiale, spazio. Era un antico tronco con le radici nodose, come le sue nocche, che teneva testa a un vento che aveva spazzato via molto di quella magia: mi pateva di parlare con un campione, magro nella sua armatura di un tempo, ma inflessibile.

Poche cose ancora per questo grazie a Enzo Mari, doveroso. Gli chiesi che ne pensasse di questo design, quindici anni fa, che da industria coraggiosa del dopoguerra si era trasformato in una industria consumistica, con tanti designer da ammirare, ma con tanta fuffa e robaccia che durava la vanità di un soffio su un articolo sfogliato e già vecchio.

Lo chiedevo a lui, uomo dell’autocostruzione – che gran cosa davvero -, quindi era una domanda partigiana.
Ma per quello ero lì, in fondo.  E fu così che mi parò del vitello d’oro.

Infine. Ho intitolato questo ricordo affettuoso al Maestro citando le buone castagne. Me lo disse lui, in quello studio in cui ogni pezzo di carta, le matite, tutto attirava il mio sguardo come un luogo sacro dove le idee prendevano forma, o avevano preso forma, dove una persona non comune era riuscita a esprimere i suoi talenti e la sua capacità abrasiva di progetto e di polemica, anche.

Perché le castagne?

Ecco perché, buon ascolto.

E ciao Enzo, con infinita gratitudine.