Tra etica e finanza

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12 Febbraio 2021

Interrogarsi su come operano gli istituti bancari e finanziari è importante per sapere orientare le proprie scelte – 1^ parte

È possibile comprendere quali siano i fondi sui quali i soldi di ciascuno di noi vengono investiti? È possibile capire in maniera più approfondita il mondo della finanza etica e del suo impatto sociale? La finanza etica pone la stessa domanda: cosa succede coi nostri soldi?

Per iniziare occorre capire cosa si intenda per finanza etica. L’idea che sta alla base è quella del recupero della funzione originaria della finanza, intesa come strumento che doveva e deve servire ad attivare l’economia reale, e non come semplice produttore di soldi dai soldi, come invece è diventata nel tempo.

Simone Siliani, Direttore Fondazione Finanza Etica, e Stefano Barazzetta, Consulente nel settore Energie Rinnovabili e Impact Investing per United Nations Capital Development Fund (UNCDF), fondo di sviluppo delle Nazioni Unite, risponderanno a queste domande, per capire quanto sia possibile che ogni investimento abbia dei significati non solo in termini di quanto produce a livello monetario, ma anche di quale sia il suo impatto sociale e ambientale.

È questa la ragione per la quale tutti gli istituti di finanza etica condividono dei criteri di base che consentono loro di individuare quali aziende o progetti possano essere finanziati. Vi sono ad esempio interi settori esclusi dal finanziamento, tipicamente la produzione di armi, le imprese che investono sul fossile, sul gambling (scommesse) o  sulla pornografia.

Ma molti altri sono i criteri e gli elementi di valutazione di impatto che la finanza etica prende in esame per definire la finanziabilità di una impresa, tipicamente la valutazione di impatto sociale e ambientale.

In particolare per Banca Etica, questa fotografia dell’azienda viene fatta attraverso lo strumento dei soci valutatori e si basa sostanzialmente sull’analisi di 95 indicatori che forniscono un quadro di impatto piuttosto esaustivo. Gli indicatori prendono in esame diversi aspetti dell’azienda che chiede il finanziamento, non solo l’impatto ambientale, sociale, ma anche il rapporto interno con i lavoratori.

Come mi spiega Simone Siliani, capita dunque di avere un soggetto bancabile, ovvero che finanziariamente potrebbe accedere al finanziamento, che però non riceve il finanziamento  cosi come soggetti deboli non bancabili, che hanno progetti di impatto ambientale o sociale talmente positivi da essere sostenuti, tipici in questo caso gli interventi di microcredito.

Tra le altre peculiarità di un istituto finanziario etico, vi è l’impegno alla totale trasparenza nel rendere pubblico ogni finanziamento verso ogni soggetto giuridico, questo punto rientra tra l’altro tra le clausole definite dalla legge italiana per i soggetti di finanza etica, l’unica legge a livello europeo che norma le caratteristiche per essere definito operatore di finanza etica.

Secondo la legge italiana, inoltre, per potersi definire operatore di finanza etica, il  rapporto tra retribuzione massima in azienda e la retribuzione minima non deve superare le 5 volte (per altri paesi leggermente più alta). Un rapporto assai basso se si considera che in banche come la Santander questo rapporto è 200 volte circa. Infine gli enti di finanza etica sono impegnati o obbligati a investire una percentuale nei soggetti del terzo settore o no profit (per la legge italiana il 20%).

Ci sono certamente dei settori controversi, non platealmente negativi ma sui quali avvengono delle riflessioni di impatto, parlando ad esempio di settori come l’artificial intelligence o l’agroalimentare esistono delle linee etiche guida che la finanza etica si dà.

Per quanto concerne l’agroalimentare industriale, ad esempio, l’utilizzo di pesticidi è pratica molto comune, e non sono considerate finanziabili tutte le attività con impatto negativo sull’ ambiente, così come le aziende che operano nel settore delle risorse fossili sono spesso attive anche nel campo delle rinnovabili; in questo caso viene stabilito un tetto massimo consentito all’azienda di produzione in risorse considerate non consone.

Banca Etica, ad esempio, esclude totalmente la possibilità di finanziare chi opera nel settore delle risorse fossili anche marginalmente, in altri casi se non non si supera il 15% di fatturato in petrolio l’azienda viene considerata finanziabile. Lo stesso principio vale per lo sviluppo delle intelligenze artificiali, la valutazione che viene attuata è sulla tendenza del settore, i droni sono finalizzati prettamente al settore militare con intenti di controllo dichiarati, la tendenza è dunque su un utilizzo non etico, e dunque non finanziabile.

Su altri temi la valutazione è spesso più complessa. Solo per fare un esempio, anche le aziende che producono pannelli solari possono avere un impatto negativo, utilizzando risorse di terreno, sono dunque una tecnologia che viene finanziata ma comunque dopo specifica analisi sull’impatto ambientale.

Nella normativa italiana il riferimento per l’indicazione dei soggetti che si possono definire operatori di finanza etica è l’articolo 111 bis del testo unico bancario, che definisce per la prima volta le caratteristiche dell’operatore di finanza etica, testo molto importante perché, prima della sua ratifica ci si poteva identificare come “etici” anche semplicemente investendo una piccola parte dei propri fondi in asset strategicamente etici.

La normativa italiana è invece molto stringente, tant’è che per ora solo Banca Etica rientra in quegli standard. La legge era nata anche prevedendo incentivi per gli istituti che avessero avuto voglia di convertirsi. La realtà è che gli incentivi risultano così microscopici da non avere avuto alcun impatto sulle decisioni e sugli asset delle banche: si tratta di un totale di contributi di circa 1 milione di euro complessivi nella forma di detrazioni, assolutamente nulla se si considera che solo Banca Etica si aggira intorno 1,7 miliardi di euro di depositi e Etica sgr (Società di gestione del risparmio del gruppo Banca Etica) di 5 miliardi di euro di investimenti.

Per quanto invece riguarda la normativa europea in materia, bisogna sottolineare che ad oggi non esiste una norma unica che identifichi dei parametri europei in merito alla definizione di finanza etica, spesso anzi si tende a confondere finanza sostenibile con finanza etica, dimenticandosi che la finanza etica prende in esame indicatori ben più vasti rispetto al solo tema della sostenibilità ambientale.

Al di là di questo caos normativo a livello europeo che non consente a presente di creare degli standard, esistono però delle reti di banche etiche, sia a livello europeo (FEBEA), sia a livello globale (Global alliance for banking and value) di cui la stessa Banca Etica fa parte, pur rimanendo appunto delle differenze fra questi istituti.

In  queste stesse reti, come FEBEA, esistono realtà diverse, tanti istituti di microcredito insieme a istituti bancari veri e propri, il che crea una discrepanza a livello di percezione generale, ma mantiene alcuni capisaldi di azione propri della finanza etica, come abbiamo visto sin qui. Viene a questo punto abbastanza naturale cercare di capire quali siano i gruppi e le banche che invece investono in maniera copiosa proprio in quei settori nei quali la finanza etica non investe.

Come racconta Simone, anche le banche sono imprese e anche esse hanno dei settori di riferimento. Le grandi banche italiane, come Banca Intesa o Unicredit hanno alcuni clienti forti, in particolare laddove c’è lo Stato. Un esempio lampante è quello di Leonardo (ex Finmeccanica), azienda in cui è lo Stato Italiano l’azionista di riferimento, e che produce armi; è chiaro che una grande banca dove c’è lo Stato non solo investe volentieri, ma è invitata a farlo, e cosi per Eni, Enel, etc.

Tipicamente questi settori (armi, fonti energetiche fossili) vedono gli investimenti dei grandi gruppi bancari, anche se ci sono delle storie curiose, come quelle della Banca della Valsabbina, diventata leader nel settore di investimento delle armi, e inserita infatti nell’ elenco delle banche cosiddette armate.

Nel caso della Banca della Valsabbina, si tratta di una piccola banca locale nella valle tra la bergamasca e il bresciano dove ha sede la RWM, impresa di proprietà della tedesca Rheinmetall che negli anni scorsi ha avuto commesse per oltre 400 milioni di euro attraverso l’impresa madre, per la vendita di armi all’Arabia Saudita.

Poiché RWM ha sede in quella valle mette i suoi soldi in questa piccola banca che si trova ad essere nella lista delle banche armate, secondo quanto previsto dalla legge 185/90, nata sulla spinta dei movimenti pacifisti e per la finanza etica, e che obbliga il governo a presentare annualmente la lista di banche che sostengono imprese che facciano transazioni di armi.

In alcuni casi, come questo, è facile andare a recuperare cosa effettivamente viene finanziato dai nostri soldi depositati in banca, in altre lo è meno. Comunque con un po’ di buona volontà, è possibile almeno provarci poiché ogni banca presenta ai propri azionisti il bilancio e le voci di impiego.

Ci sono poi voci di investimento che non si trovano se non con ricerche molto particolari, ad esempio l’investimento sui diamanti o l’analisi sulle società del gruppo bancario in paesi paradisi fiscali o a fiscalità facilitata. Come Simone stesso mi racconta, ad esempio, su Generali è stata fatta una campagna di azionariato critico nel 2018-2020, in cui fra le altre cose si è indagato sulle sue 55 società satellite in giro, tra Singapore, Olanda, Isole Vergini Britanniche etc.

Esistono dunque diversi strumenti che il singolo cittadino può utilizzare per comprendere dove vadano ad incidere i propri soldi depositati in banca, ma spesso semplicemente non ci poniamo il problema. Certamente non ha molta potenza la domanda del singolo; è necessario un  movimento di consapevolezza collettiva che vada a chiedere conto di questi investimenti.

Solo a titolo esemplificativo, proprio in riferimento a questo,  è recentemente partita l’iniziativa di un’associazione fiorentina, chiamata Ecolobby, che ha preparato una lettera indirizzata, da parte di ciascuno, alla propria banca o alla propria società di assicurazione, il cui intento è proprio chiedere conto delle operazioni di investimento nei settori di armi e fossile.

Risulta chiaro come ci sia ormai una rincorsa da parte di tutte le banche a presentarsi green, ma sono i cittadini che hanno il diritto e forse anche il dovere di chiedere e capire in che cosa ciascuna banca sia realmente etica, e la quota parte di investimento in questo settore, che spesso è minima ma solo molto pubblicizzata.

Per continuare con gli esempi tramite i quali possiamo incidere sulle scelte di investimento dei nostri soldi, dobbiamo ricordare che molti lavoratori sono iscritti ai sindacati, i quali hanno anche dei fondi pensione. Sappiamo dove investono questi fondi pensione? Grazie a una campagna degli ultimi anni il fondo pensione più grande, Cometa, della FILCAM-CGIL, ha fatto passi in avanti notevoli in relazione ai suoi investimenti. In altri paesi europei è una pratica già assai sviluppata. Il più grande fondo pensioni del mondo, quello norvegese, si è dato un comitato etico, e procede spesso con disinvestimenti in aziende non etiche; il “divestment movement” ha portato a togliere i propri investimenti da questi settori.

Un altro strumento molto incisivo di cui ho accennato in precedenza è l’azionariato critico, ma come funziona nel dettaglio? Simone me lo spiega: Innanzitutto bisogna comprare qualche azione, a volte ne basta anche una, dell’azienda su cui si cercano risposte. A quel punto, in qualità di azionisti, si può partecipare all’assemblea. In sede di assemblea si può dialogare direttamente con il management dell’azienda e chiedere informazioni, ponendo le domande sia prima dell’assemblea e attenendosi all’ordine del giorno.

È proprio Simone a raccontarmi che lo scorso anno tramite il loro azionariato critico sono state poste oltre 80 domande a ENI. In assemblea poi si vota, chiaramente con poche quote non sposti alcun equilibrio, ma ci sono talvolta delle piacevoli sorprese, come nel caso di Generali, per cui l’azionariato critico è intervenuto quando l’azienda ha annunciato che avrebbe disinvestito 2 miliardi di euro di azioni dalle fossili, tranne in paesi in cui il passaggio alle rinnovabili non fosse alla portata, ovvero Polonia e Repubblica Ceca.

Contestualmente però Generali sosteneva di voler continuare ad assicurare gli impianti. È stata l’azione di azionariato critico a porre il problema che, lasciando l’assicurazione agli impianti e togliendo l’investimento, si toglieva agli azionisti tutto il vantaggio economico lasciando però in pendenza l’assicurazione su luoghi rischiosissimi per incidenti.

Anche gli altri azionisti a quel punto, colto il tema, si sono allineati, e Generali ha deciso di non emettere le nuove assicurazioni. L’azionariato critico non nasce dall’idea di contestare, ma da un confronto, è un azionista che va ad individuare anche i rischi finanziari dello sbilanciamento in investimenti non etici, un’interlocuzione che mira a raccontare come anche seguendo principi etici si possa generare profitto.

Occorre precisare che la finanza etica, un tema che sembra cosi di nicchia, appare invece in fortissima crescita.

Siamo già attualmente ad un flusso, tra i diversi prodotti di finanza etica e sostenibile (considerati assieme vista la mancanza di leggi comuni in UE), che si aggira intorno al 5% del pil europeo, in continua crescita. I prodotti di finanza etica e sostenibile hanno avuto un’impennata notevole nel corso dell’ultimo decennio: mille miliardi di dollari dal 2007. Nel 2019 il boom emissioni dei green bond è aumentato del 51% rispetto al 2018, mentre nei primi 6 mesi del 2020 hanno avuto una battuta di arresto a favore della crescita dei social bond, che riguardano la sanità e la sostenibilità.

Parlando in particolare di Banca Etica, e dei settori che ad oggi ricevono la maggior parte dei finanziamenti, la tipologia di società a ricevere i finanziamenti è in massima parte composta da imprese sociali, ong, cooperative sociali. D’altronde il terzo settore vanta in Italia una tradizione particolare e secolare, una fetta maggioritaria è  costituita comunque dai privati, dei 43.000 soci di Banca Etica l’85 per cento sono individui.

È utile porre l’accento sulla crescita del numero delle imprese negli ultimi anni, anche e soprattutto perché alcuni settori che un tempo erano marginali, come le start up di ricerca, oggi sono realtà molto più dinamiche. Di grande interesse poi è il tema delle energie rinnovabili e dell’ambiente in generale. È in previsione una grande crescita in settori dunque compatibili a finanziamenti etici, sia perché vanno a ridursi sempre più i sostegni diretti o indiretti alle imprese sociali, sia perché il settore green e sociale ha grandi potenzialità anche economiche. Se, infatti, la transizione dell’Europa al di fuori del carbone deve avvenire entro il 2030-2050 sarà probabile attendersi una ingente quantità di fondi destinati al settore.

Banca Etica è un unicum assoluto in Italia, poiché l’unica che ottempera nella totalità alla normativa italiana, è però giusto prendere in esame le altre realtà che non si identificano come etiche ai sensi dell’articolo 111bis del TUB, ma che hanno performance etiche di tutto rispetto. Si tratta perlopiù di piccole banche che fanno parte delle BCC e alcune anche socie di Banca Etica. Quello che traspare dai dati di monitoraggio e di ricerca è che le banche etiche hanno una performance sia in termini di ROE (return of equity) per il cliente e ROA (return of assets) migliori delle banche ordinarie nel medio o lungo periodo.

Pare dunque un bel balzo in avanti rispetto ai tempi in cui è nata Banca etica, la cui idea nasce durante gli anni 90 dal movimento per la pace, che si fa promotore di una grande iniziativa contro il commercio delle armi, quella campagna ad un certo punto cominciò ad avere grande seguito e dovette raccogliere risorse di denaro per sostenersi, si pose subito il tema di dove mettere queste risorse, proprio perché ogni banca era a sua volta un finanziatore di armi. Banca Etica nasce così nel 1999.

Fondamentale per le azioni di finanza etica rimane l’iniziativa dei cittadini, in particolare quella dei GIT, dei gruppi di iniziativa territoriale che hanno la funzione di creare movimento e attività di engagement verso la società e sensibilizzazione ai temi di finanza etica.

 

La seconda puntata è disponibile qui.