Epicrisi

di

5 Dicembre 2019

Pubblicata la seconda raccolta delle poesie del saudita Ashraf Fayadh in Italia

Ashraf Fayadh, il giovane artista condannato ad un doppio esilio, quello interiore in quanto non si sente appartenere a nessuna condizione umana e quello fisico in quanto nato sul suolo saudita da genitori immigrati, sta ancora scontando la sua pena di 8 anni e 800 frustate in uno dei carceri sauditi.

Nato il 15 luglio 1980, Fayadh è un poeta, regista, pittore e curatore di mostre di origini palestinesi, nato e cresciuto nel regno Saudita. E’ uno degli artisti eminenti di Abha, la città in cui è nato e vissuto. Ha persino partecipato alla Biennale di Venezia, rappresentando in tale occasione l’Arabia Saudita e la sua arte.

Come ormai noto, nell’estate del 2014, Fayadh è stato processato per accuse di apostasia relative alla sua raccolta di poesia, che da allora è stata ritirata dalla
circolazione, pubblicata in Libano nel 2008 dall’editore Dar al-Farabi.

Dopo lo scandalo della condanna che ha scosso l’opinione pubblica, l’opera è stata tradotta in diverse lingue come l’inglese, lo spagnolo e il francese. Anche In Italia è stata tradotta e pubblicata con il titolo Le istruzioni sono all’interno (Terra d’Ulivi, 2016).

Si tratta di una raccolta di poesie che commenta soprattutto delle questioni sociali nel mondo arabo, dell’esilio e delle sue conseguenze, della situazione dei profughi, dell’amore, con toni non privi di coraggio e ironia.

Essendo il poeta stesso una persona che si è sempre sentita nello status di profugo, ovvero un estraneo su una terra ostile e poco accogliente, in questo libro egli esprime i disagi della sua generazione dando una definizione molto cruda all’esilio:

“L’asilo: è star in piedi in fondo alla fila…
Per ottenere un tozzo di patria.
Star in piedi: è una cosa che faceva tuo nonno…senza sapere il perché!”

(L’ultima stirpe dei rifugiati. Le istruzioni sono all’interno)

Nel febbraio del 2019 vede la luce, da dietro le sbarre, la sua seconda raccolta poetica, in arabo sīra maraḍiyya, pubblicata dalla casa editrice tunisina Diyar Edition di Hadi Danial.

Nel settembre dello stesso anno, ho tradotto in italiano la raccolta che è stata pubblicata in Italia dalla casa editrice Di Felice Edizioni di Valeria di Felice. Hanno scritto le prefazioni al libro i professori Paolo Branca e Massimo Campanini.

Si tratta di una raccolta di 26 poesie che l’artista decide di dedicare alla propria malattia, l’ulcera. Infatti nella dedica si legge questa frase molto amara: “All’ulcera che mi accompagna fin dalla nascita!!”.

L’attenzione all’analisi della malattia è subito chiara sin dalla stessa scelta del titolo, in italiano Epicrisi.

Il linguaggio che attraversa questi 26 testi, che iniziano con separazione automatica e si concludono con ictus cerebrale, il poeta rivela una grande sensibilità influenzata senz’altro dal fatto che egli è anche artista grafico dotato di uno sguardo teso verso il modernismo e il post- modernismo.

Lo stile di Ashraf Fayadh è inconsueto, provocatorio, privo di metafore e si discosta nettamente dal classicismo tradizionale e dai suoi canoni e si apre costantemente a nuovi orizzonti e sperimenti. La sua scrittura è coraggiosa, non ha paura di osare e di rinnovarsi, cercando di andare oltre il possibile, ma senza perdere per questo la sua poeticità.

È una scrittura dura e cruda, che arriva al punto senza troppi ornamenti linguistici. La si potrebbe quasi quasi definire una scrittura visiva, sa descrivere il corpo, la malattia e gli spazi come uno scatto fotografico.

Sono un animale…
nudo… di debole struttura, cammino su due zampe.

(Separazione automatica. Epicrisi)

oppure:

Resta qui ancora un po’, il tuo profumo è ancora fresco
e stavo per dichiararmi al tuo corpo in modo molto verbale!
Non parlerò dei problemi dell’universo, né della sigaretta
che si consuma tra le tue dita senza essere fumata, mi accontenterò
di sbagliare a contare i peli biondi di velluto
che circondano il tuo ombelico, supponendo che la notte
non finisca!
Afferra una nuvola che si adatti alla morbidezza del tuo
palmo, stringila forte tra le dita e lascia cadere la pioggia
sui petali di gardenia.
Metti l’orecchio qui. Lascia che i tuoi capelli mi coprano
e ignora il disturbo dei miei sospiri.
Saprò da solo come misurare di baci il tuo collo, e quale
neo assaggiare prima.
E come trattare da chitarrista zingaro i tuoi seni aristocratici!


(Soleggiato e caldo. Epicrisi)

Lo spazio è molto presente in questa raccolta ed è spesso uno spazio chiuso, buio, malinconico e origine di depressione come si legge in questi esempi:

Dentro il cielo
Il profumo della noia riempie la stanza,
il mio cuore, un libro marcio coperto da uno spesso strato
di polvere,
il posacenere è troppo familiare
e i pensieri si attaccano alle pareti come mosche stanche.
Un ragno disoccupato si affaccia su alberi assonnati,
alcuni rumori all’esterno
e il freddo padroneggia sulla situazione.

oppure

Lascia che lo specchio ti spieghi quanto sei bella!
rimuovi le mie parole ammassate come polvere,
respira profondamente, e ricorda quanto ti ho amata…
e come ora la nostra storia si sia trasformata in un semplice
contatto elettrico
che stava per causare un incendio enorme… in un magazzino
vuoto!

(I baffi di Frida Kahlo. Epicrisi)

Queste poesie che provengono da uno spazio buio, chiuso e triste sembrano al tempo stesso gridare che la poesia è la salvezza, è l’unico mezzo di riconciliazione con il mondo e con se stessi.

Come scrive Adonis: “Hegel ha detto che l’arte era divenuta una faccenda del passato. Mi piace affermare al contrario che la poesia è una questione che riguarda il futuro, al punto che il futuro stesso appartiene alla poesia, è la poesia. Senza poesia non ci sarà futuro. Il tempo che vedrà morire la poesia sarà anch’esso un’altra morte. La poesia non ha tempo: è il tempo.” [1]

NOTE

[1]Adonis, La Preghiera e la Spada, Guanda editore, 2002, Parma p. 148.