Intro

di Martina Napolitano e Christian Elia

Alle 18.35 del 25 dicembre 1991 venne ammainata per sempre la bandiera sovietica sul Cremlino di Mosca, sostituita da quel momento in poi dal tricolore russo. Mezz’ora prima Michail Gorbačiov si era dimesso da presidente dell’Unione Sovietica, entità statale che sarebbe stata formalmente dissolta il giorno dopo.
Così finiva la storia dell’Unione Sovietica, esperimento politico e socio-economico che per tutto il Novecento aveva saputo incarnare per molti nel mondo un sogno realizzato, mentre per i suoi cittadini aveva significato una quotidianità fatta di esperienze diverse, spesso contraddittorie, quando non drammatiche.
La dissoluzione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (Urss) fu in realtà un processo graduale ma piuttosto repentino, durato almeno un biennio, dal 19 gennaio 1990 e il 26 dicembre 1991 (ma il suo inizio si può far risalire a eventi ben precedenti).

[…]

Questo speciale nasce in collaborazione tra Q Code Mag e EastJournal; è affidato alla curatela di Claudia Bettiol, Maria Izzo e Martina Napolitano, che ne coordinano i contenuti.

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Ereditare l'Urss
I problemi di memoria nella Russia di oggi

di Maria Baldovin

La Federazione russa è di fatto lo stato successore dell’Unione Sovietica e quindi erede dell’allora super potenza comunista.

Il passato sovietico deve inserirsi all’interno di una narrazione storica positiva, concepita dalle autorità per rafforzare l’identità nazionale russa e basata fortemente su una serie di vittorie e conquiste da celebrare.

La Russia, nel tramandare gli eventi del periodo sovietico, si trova a operare una selezione: le vittorie fanno parte di un comune bagaglio storico, mentre le pagine più controverse di settant’anni di regime sovietico vengono trattate in maniera ambigua.

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La rivoluzione sul granito
Il primo Maidan ucraino

di Claudia Bettiol

E’ innegabile che per comprendere quel “vento del cambiamento” – il Wind of Change acclamato e portato al successo dagli Scorpions – che ha portato alla dissoluzione definitiva dell’Unione Sovietica e alla nascita delle repubbliche post-sovietiche sia necessario fare un passo indietro e tornare agli anni Ottanta, quando si sono verificati i primi tentativi di riforma intrapresi da Michail Gorbačev.

Tuttavia, il disfacimento dell’intero sistema era già nell’aria molto prima che il colpo di stato rendesse irreversibile questo crollo.

Il nazionalismo galoppante e l’idea di indipendenza divennero indubbiamente punti di forza nelle diverse repubbliche sovietiche, dai Baltici al Caucaso, che iniziarono ad articolare richieste di maggiore autonomia nazionale già nei primi anni Ottanta, sebbene i primi movimenti popolari di massa ebbero luogo solo a ridosso del crollo del muro di Berlino.

In particolare, nella Repubblica Socialista Sovietica d’Ucraina, furono le prime elezioni semi-libere del Soviet Supremo del marzo 1990 a provocare l’indignazione di alcuni giovani studenti ucraini che si mobilitarono per portare il “vento del cambiamento” nel loro paese, in quella che passò poi alla Storia come la Rivoluzione sul Granito (Revoljucja na hraniti).

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Vodka Lemon
Vita nell’Armenia degli anni Novanta

di Aleksej Tilman

Quelli che portarono all’indipendenza furono anni di grande entusiasmo collettivo in Armenia seguiti, però, da un periodo di enormi difficoltà per la popolazione del paese, vittima di una vera e propria catastrofe economica e sociale.

Il film Vodka lemon (2003) del regista Hiner Saleem ci porta nell’Armenia del decennio che seguì il crollo dell’Unione Sovietica, raccontando tanti aspetti della vita degli armeni in quel momento storico: povertà, emigrazione, nostalgia del passato sovietico, ma anche una dose di ottimismo per l’avvenire.

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Come un archeologo nazionalista gettò le basi per il regime di Lukashenko
Un'analisi dell'ascesa del regime

di Anna Bardazzi

Per capire l’ascesa al potere di Aleksandr Lukashenko, considerato oggi l’ultimo dittatore d’Europa, non si può non fare un passo indietro e analizzare gli anni che hanno preceduto la sua prima vittoria alle elezioni presidenziali.

Gli anni della perestrojka in Bielorussia

Nell’allora Repubblica Popolare di Bielorussia le aperture di Gorbačiov non erano ben viste dalla nomenklatura locale, considerata tra le più conservatrici di tutto il blocco sovietico. Furono altri, infatti, gli eventi che portarono la popolazione e ancor di più la classe intellettuale a capire che qualcosa doveva necessariamente cambiare. Il primo fatto, più conosciuto a livello globale, fu ovviamente l’esplosione, nel 1986, del quarto reattore della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina. L’altro evento, meno noto al grande pubblico eppure fondamentale per capire quegli anni e ciò che è avvenuto in seguito, fu il ritrovamento, nel 1988, di un’enorme fossa comune alla periferia di Minsk. A scoprirla fu l’archeologo Zianon Pazniak.

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Presto tornerà la neve
L’estratto di un romanzo, la storia di un incontro

di Yaryna Grusha Possamai

Brano tratto dal romanzo in stesura Presto tornerà la neve

Abstract del romanzo:

Una traduttrice si mette in viaggio verso l’entroterra ligure per concentrarsi sulla traduzione di un manoscritto, ma a ogni giorno che passa tra le montagne spoglie e riscaldate dal sole estivo, la sembra sempre di più di essere già stata in quel posto. Un incontro insolito con un vecchio soldato italiano la spinge a partire per un altro viaggio, questa volta attraverso il tempo, nel quale le sagome delle montagne e la calma del Mar Ligure assumono nuovi aspetti e diventano molto più di luoghi familiari.

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I ''500 giorni'' di Javlinskij
Il piano che doveva salvare l’economia sovietica

Quando, nel 1990, il blocco sovietico si stava iniziando a dissolvere, l’Unione Sovietica non cadde solo in una crisi politica, ma anche economica. Infatti, la produzione di gas e di petrolio russo era drasticamente calata verso la fine degli anni Ottanta e una combinazione di crescente inflazione e indebitamento estero stava mettendo pressioni sulla stabilità del rublo.

Sebbene la stragrande maggioranza degli economisti sovietici sostenessero la necessità di una transizione da un’economia sovietica pianificata a un’economia di mercato di stampo occidentale, essi si dividevano sulla metodologia da preferire. Da una parte, i radicali sostenevano che lo stato avrebbe dovuto lasciare le redini del sistema economico, la cui liberalizzazione avrebbe, di conseguenza, portato all’automatica allocazione delle risorse produttive e a una rapida crescita economica del paese.

Dall’altra parte, vi erano gradualisti, i quali ritenevano che la transizione necessitasse di un prolungato intervento statale non solo per rendere pronta l’economia alla transizione, ma anche per creare sostegno nella società alla riforma stessa. In questo contesto, Grigorij Javlinskij avrebbe giocato un ruolo cruciale.

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Tempo di seconda mano
Il tributo di Svetlana Aleksievič agli orfani dell'Urss

di Anna Bardazzi

on Tempo di seconda mano Svetlana Aleksievič congela un’epoca che non sarà raccontata dai libri di storia: quella in cui gli orfani dell’URSS si sono trovati a fare i conti con la disillusione.

Non era bastato La guerra non ha un volto di donna, libro del 1985 con cui Svetlana Aleksievič ha dato voce a un popolo che, di voce, ne aveva ben poca. Non era bastato perché di persone che avevano qualcosa da raccontare, e di storie da raccogliere e, appunto, voci da ascoltare, ce n’erano ancora tantissime: milioni.

È così, collezionando negli anni parole rubate nelle cucine di qualche kommunal’ka, nelle riunioni di famiglia, negli incontri con gli amici, nelle migliaia di interviste fatte percorrendo chilometri tra neonate repubbliche, che la scrittrice bielorussa ha saputo mettere nero su bianco, spiegare al mondo cosa volesse – voglia, probabilmente – dire vivere in Unione Sovietica.

E vivere in quel che è stato dopo.

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La CSI agli europei 1992
Storia di una nazionale senza nazione

di Gianni Galleri

Il 13 novembre 1991 l’Unione Sovietica batte 3-0 Cipro a Larnaca e si qualifica per la fase finale degli Europei del 1992, in Svezia. Il girone non è stato affatto facile e la nazionale in maglia rossa adesso sopravanza l’Italia e la Norvegia. La nazionale di Mosca è un’ottima squadra.

Nonostante abbia faticato al Mondiale di due anni prima, è vice-campione d’Europa in carica e campione olimpico e continentale Under 21. Tutti si aspettano una partecipazione da protagonista a Euro 92 . L’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, però, cessò di esistere il 25 dicembre 1991.

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Costruire una società civile dopo l'Urss
Intervista ad Armine Ishkanian

Il programma di ‘transizione’ avviato in seguito al crollo del comunismo in Europa orientale era fondato su due obiettivi: il passaggio all’economia di mercato e la promozione della democrazia.

In questo contesto, la costruzione dall’alto di una ‘società civile’ aveva un duplice significato per i donatori di aiuti internazionali: da un lato, in quanto alternativa al controllo pervasivo dello stato comunista, la società civile era considerata un presupposto fondamentale per la democratizzazione. Dall’altro, era un mezzo per istituire il libero mercato, attraverso l’indebolimento dello stato sociale e il trasferimento delle sue responsabilità in mano ad attori non-statali, tra cui le organizzazioni non-governative (ONG).

Nella pratica, questo progetto non ha avuto gli effetti sperati. Trent’anni dopo, la società civile in molti paesi dell’ex Urss si trova minacciata da politiche statali repressive, ma anche contestata da forme più radicali di attivismo che prefigurano un modello di sviluppo alternativo. Ne abbiamo parlato con Armine Ishkanian, professoressa associata nel dipartimento di Politiche Sociali della London School of Economics ed esperta di società civile, democrazia, sviluppo e trasformazione sociale in Armenia e non solo.

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L’ultimo cittadino sovietico (e le sua prima Coca-Cola in orbita)

di Martina Napolitano

Qualcuno lo ribattezzò il “cosmonauta abbandonato”, qualcun altro ha pensato di girarci un film (peraltro godibilissimo, Sergio & Sergei – Il professore e il cosmonauta, Cuba, 2017). Resta in ogni caso una storia incredibile, letteralmente “di un altro secolo”.

Sergej Krikalëv (classe 1958) non fu soltanto l’ultimo cittadino sovietico (assieme al collega Aleksandr Volkov), ma fu anche uno dei primi, tra i suoi concittadini, ad assaggiare una Coca-Cola, cosa che fece davanti a uno schermo nel suo isolamento cosmico. Aggiungiamo pure che fino al 2015 vantava il record assoluto di giorni trascorsi nello spazio: 803 (su sei voli totali). Dopo di lui il titolo è passato a due altri russi, Gennadij Padalka e Jurij Malenčenko. Ma andiamo per ordine.

Il volo sulla Sojuz TM-12

Il 18 maggio 1991 Sergej Krikalëv lasciava il cosmodromo sovietico di Bajkonur per il suo secondo volo nello spazio (il primo era stato di 151 giorni tra il novembre del 1988 e l’aprile del 1989). Assieme a lui, sulla Sojuz TM-12, due colleghi al loro primo volo: il concittadino Arkadij Arcebars’kij e l’inglese Helen Sharman, che sarebbe rientrata già la settimana successiva sulla terra.

Sebbene la missione di Krikalëv dovesse inizialmente durare cinque mesi, il cosmonauta acconsentì a rimanere oltre in qualità di ingegnere di volo e attendere il nuovo equipaggio previsto per l’ottobre. I problemi che stava attraversando l’Unione Sovietica infatti si riflettevano anche sul budget e le decisioni relative al settore della cosmonautica: i due viaggi previsti dopo quello della Sojuz TM-12 vennero accorpati in uno solo; non c’era modo di far rientrare Krikalëv sulla terra e inviare al suo posto un nuovo ingegnere di volo. Il cosmonauta sovietico accettò le nuove condizioni e si preparò a rimanere in orbita oltre il previsto.

Rukh, i nazionalisti e l'indipendenza ucraina
Cosa rimane di un movimento?

di Oleksiy Bondarenko

Tra le tante cause del crollo del colosso sovietico, la cosiddetta ‘questione nazionale’ è stata certamente una delle più importanti e, probabilmente, tuttora spesso sottovalutata.

Il Movimento Popolare dell’Ucraina (Narodnyj Ruch Ukraiiny) più conosciuto come Ruch, ha ricoperto un ruolo fondamentale nella lotta per l’indipendenza, ma le ambiguità ideologiche e il rapido cambiamento del contesto politico lo hanno condannato a giocare un ruolo marginale nella nuova Ucraina indipendente.

La parabola di Ruch, però, rimane un passaggio importante nella storia del paese e offre una chiave di lettura per capire le dinamiche che caratterizzano il ruolo del nazionalismo nell’Ucraina di oggi.

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Bielorussia: la questione linguistica regalò il potere a Lukashenko nei primi anni Novanta

di Anna Bardazzi

Per tentare di raccontare gli anni della Perestrojka in Bielorussia è fondamentale analizzare il ruolo che la lingua e la coscienza nazionale hanno avuto nella transizione e che hanno portato, pur in maniera indiretta, alla vittoria e alla conferma di un outsider della politica, Aleksandr Lukashenko, considerato oggi l’ultimo dittatore d’Europa.

Descrivere il contesto della Bielorussia sovietica richiederebbe una lunga analisi, ma soffermandosi solo sulla questione linguistica si può affermare che, nonostante il paese fosse neonato e caratterizzato da confini molto labili ancora nella prima metà del Novecento, il bielorusso fosse considerato la vera lingua nazionale.

Questo sentimento identitario mal si coniugava con i piani dell’Unione Sovietica, e per questo la Bielorussia fu tra le repubbliche che subirono maggiori repressioni: non soltanto da parte dell’NKVD, con eccidi ed esecuzioni di massa in particolare negli anni Trenta, ma anche con una soppressione totale della cultura bielorussa, lingua compresa.

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Vite di confine: il viaggio di J. dal Caucaso a San Siro

di Maria Izzo

La storia di J. si nasconde qui, a Milano, all’ombra dello stadio San Siro.

Quello stesso stadio qualche mese fa ha accolto lo Sheriff Tiraspol, la squadra di calcio partita dalla Transnistria – un frammento di terra esploso dal crollo dell’URSS ignoto ai più e al diritto internazionale – e ascesa, fra lo stupore perplesso di tutti, al tetto del calcio europeo.

Anche la storia di J. arriva da una scheggia di terra sovietica, che, come la Transnistria, ha un nome suggestivo da universo fantasy, di cui non si trova traccia sulle carte geografiche.

Ma la vita di J. con gli allori e i clamori del calcio ha ben poco a che fare. E’ nata nel Caucaso, nella città di Gali, in Abkhazia, “che è una regione della Georgia”, dice, “come l’Italia ha la Puglia e la Lombardia”. Anche se molti sarebbero pronti a contestare questa precisazione geografica.

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La musica della perestrojka

di Martina Napolitano, Claudia Bettiol e Aleksej Tilman

Gli anni della perestrojka e del graduale ma rapido disintegrarsi dell’Unione delle 15 repubbliche sovietiche trovarono una loro eco anche in termini culturali e, non da ultimo, musicali. È in questo periodo che la musica rock e punk coltivata fino ad allora negli ambienti del fertile underground tardo-sovietico diviene un prodotto culturale a tutti gli effetti di successo ufficiale, guadagnandosi un pubblico non soltanto interno all’Urss, ma anche internazionale.

Proprio nel 1989 si svolse il primo festival rock internazionale in Unione Sovietica: a Mosca si esibirono su uno stesso palco sia stelle della musica internazionale (da Bon Jovi agli Scorpions) che gruppi made in USSR, come racconta questo documentario dedicato alla “Woodstock russa”.

Vi proponiamo di seguito degli ascolti selezionati di una serie di band di artisti provenienti da diverse repubbliche sovietiche, i cui brani sono utili a ricreare l’atmosfera musicale, culturale e concettuale di quegli anni. Per alcune di queste canzoni abbiamo tradotto anche degli estratti dei testi. Buon ascolto!

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La valle di Fergana a trent'anni dalla caduta dell'Urss

di Chiara Minora

Definito il “cuore dell’Asia Centrale”, la valle di Fergana è l’intersezione di tre Stati centrasiatici: l’Uzbekistan, il Tagikistan ed il Kirghizistan. Si tratta di un’area densamente popolata che conta circa 12 milioni di abitanti, tanto che un terzo della popolazione tagica e kirghisa e un quarto di quella uzbeka risiede nell’area.

La valle di Fergana racchiude stati e persone con un background storico e culturale comune, ma divise politicamente e linguisticamente.

Ciò ha portato con la caduta dell’Unione sovietica ad un deteriorarsi delle dinamiche securitarie regionali. Dispute sui confini, sull’uso delle terre e delle infrastrutture e tensioni etno-nazionali regolarmente causano incidenti transfrontalieri che a volte sono sfociati in conflitti.

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