La mia, la nostra. Nôtre Dame de Paris

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15 Aprile 2019

Il sesto acuto imperante e ricorrente è come uno stargate, un cancello, un insieme di linee e di pietre e legna, piombo e marmi, vetri che sale e si inerpica verso un assoluto. Laico, cristiano, ateo. Non importa

Il fuoco dentro il, grigio marmo gotico internazionale con quello scetticismo che ci siamo ritrovati negli occhi di fronte a visioni incredibili, inaspettate. La prima immagine che circola sui giornali on line italiani in apertura, i francesi che la tengono ancora fra le brevi della diretta, ma il giallo e il rosso del fuoco crescono e si mangiano tutto, la nube è alta nel cielo di Parigi, la flèche – la guglia alta in legno e piombo – corrosa dal fuoco che crolla. In un video mentre la guglia crolla dietro un tetto si sente il grido di dolore di un parigino: “Ah, non!” Oh noo, dice, ed è il tono che colpisce: quello di un affetto profondo e di un dispiacere così immerso nell’intimo che risuona e fa vibrare corde simili dentro molti di noi che stanno cliccando sui siti, sui social e cercano di capire e vedere. A bocca aperta, le maledizioni per gli stupidi e ottusi pre-roll pubblicitari che i grandi giornali non riescono a levare nemmeno di fronte a un evento così triste.

Brucia la nostra Nôtre Dame de Paris. Brucia la mia Nôtre Dame. Perché chi ha conosciuto la magia del fascino di Parigi si è incontrato almeno una volta con quell’architettura imponente ed elegante allo stesso tempo, nei gargolli che a centinaia si affacciavano dalle guglie, dalla struttura, dentro i colori del rosone e le vetrate caleidoscopiche che ci fanno tornare bambini in uno stupore primigenio.

La mia Nôtre Dame è una cattedrale che suona. Perché per me questo è sempre stato il gotico internazionale e quello di Parigi ancora di più rispetto ad altri. Un pomeriggio di inverno, una lezione di piano, una maestra con i capelli bianchi e il volto ricco di rughe, con le mani sempre inquiete e le dita deformate ormai dall’artrosi, una matita alla fine dell’ottantottesimo tasto e una gomma per la diteggiatura, seduta con le gambe sempre accavallate su una sedia di acciaio e pelle verde caimano. Vedi, mi diceva, questo è Bach. Bach costruisce, nota su nota, frase su frase come in un continuo rimando di sesti acuti, come in un grande gioco di archi dentro un gotico internazionale.

La nostra Nôtre Dame è più di una cattedrale o di un simbolo religioso o identitario, è una dimensione anche laica che, ne sono convinto, ha anche vedere così tanto con quel gotico internazionale bachiano. Le linee, le rampe, le guglie, i torrioni, il sesto acuto imperante e ricorrente è come uno stargate, un cancello, un insieme di linee e di pietre e legna, piombo e marmi, vetri che sale e si inerpica verso un assoluto. Laico, cristiano, ateo. Non importa. È la levità di quelle linee che disegnano curve e che si inerpicavano sulla freccia fino a pungere il cielo, con la senna che scorre, i giardini sul retro così tremendamente seducenti, là dove era un piacere comprare un giornale e sedersi su una panchina, fumando una paglia e disegnando – oddio chissà quanti schizzi – su un calepino con china quelle forme così belle, così attraenti. Con così tanta pace da sentirti anche solo per un momento la calma dentro e intorno.

Sono quelle magie, dal 1163 e per due secoli in costruzione con chissà quanti morti e feriti, chissà quali difficoltà e miserie, anche. Per arrivare al tempio compiuto. Chissà, vien da pensare sempre di fronte a queste linee in fiamme, cosa doveva essere arrivare in una città dalle case basse con un tripudio di altezze di frecce puntate verso l’alto.

Il saluto è l’augurio Nôtre Dame de Paris. Torna a ispirare il volo delle nostre anime, a farci respirare in alto. Anche se non sarà più, mai più come prima, non possiamo permetterci di perderti per sempre.