2 marzo, una data fondativa

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3 Marzo 2019

Una manifestazione pro o contro? Il 2 marzo ho sfilato e fermato diverse persone, di diversa estrazione politica e sociale, durante la marcia #People. Curioso di capire se la violenza dell’odio di governo avesse trasformato la risposta di #Primalepersone in uno scontro diretto. La risposta è stata pressoché unanime: un corteo ‘pro’. E la risposta, per nulla scontata, è indicativa di come si vivono determinati valori e soprattutto che i pozzi non sono stati ancora tutti avvelenati. Avremmo avuto una piazza solo bellicosa contro. Abbiamo avuto una festa dei diritti per.

Certo, tutti gli intervistati puntualizzavano: con la politica dell’odio non si scende a patti, siamo contro. Ma la prima risposta era propositiva, citando spesso la pericolosità di un confine che non si deve, non andava, oltrepassato.

Tempo di radicalizzarsi, ho scritto su Kratos poche settimane fa, e il corteo del 2 marzo era così. Radicale, nel senso che rivendicava i valori che stanno alla base della nostra umanità.

Questa maturità non è merito di qualche partito, anzi. Ma di una esperienza milanese degli ultimi anni, declinata anche on altre realtà geografiche, sì. Milano nel ciclo della partecipazione, che oggi prosegue in maniera ancora più matura, guarda avanti in maniera diversa dalle altre città italiane perché ha sperimentato la bellezza non degli hastag (#bellamilano è puro marketing, legittimo), ma della rigenerazione dal basso, con un accompagnamento amministrativo ancora insufficiente, ma espresso e presente con entusiasmo.

Portare in piazza 1000 associazioni significa, prima di tutto, che ci sono. E che si mobilitano, che lavorano ogni giorno e che hanno un DNA ben chiaro, che non si mette in discussione, e che anzi sentono di voler difendere.

Le 30 realtà organizzatrici sono interessanti da analizzare: ci sono veri e propri brand del terzo settore, con grandi capacità di spesa e organizzative. Eppure, avendo visto internamente come si è strutturata l’organizzazione dell’evento, qui abbiamo a che fare con persone che da pochi anni stanno dedicando gran parte del loro tempo a organizzare i corpi in piazza. Insieme senza Muri, quasi uno spin-off dell’Assessorato alle Politiche Sociali (cui va dato il merito di essere testardamente sempre proattivo), è un motore che macina chilometri con una organizzazione interna femminile che è stata capace di tessere la tela insieme a poche grandi realtà e poi sempre più numerose, fino ad arrivare alla massiccia adesione.

Il drammaturgo Renato Sarti, che ho incontrato lungo il corteo, era appoggiato a un palo. Il volto scavato dalle rughe, gli occhi celesti, la sua parlata del Nord-Est, un fazzoletto a strisce bianco azzurre a ricordare le stragi dei nazisti. Ridendo mi ha detto che “Gente ce n’è, gente pronta, che aspetta…”, mentre Francesco, un signore sui 35 con barba e un sorriso aperto mi parlava di un tappeto di umanità. Bella immagine. Questi due aspetti per dire che i partiti non si possono intestare nulla.

Semmai i partiti dovrebbero imparare, ma non ci conto, perché non imparano mai. Ma questo è pessimismo personale.

Milano in questo ha avuto la sua fortuna; nel fatto di avere una maggioranza che non era schiacciata solo su un partito e che la partecipazione sociale era ampia e – opinione personalissima – figlia ancora della bella stagione politica dei movimenti, dove aveva appreso a organizzarsi per portare avanti le tematiche dell’inclusione, dell’ecologia, della condivisione, della cultura orizzontale, della solidarietà.

Allora la domanda su cosa fare adesso è una domanda che non va posta solo a chi ha sfilato il 2 marzo. Ma da porre ai partiti progressisti, progressisti davvero però.
Per intenderci chi chiude i migranti in Libia e poi dice che non arrivano in Italia non è progressista. La dottrina Minniti, per essere esplicito, per me non è essere progressisti. Ma fuor di polemica, sono i partiti che devono pensare che cosa dovranno fare per meritarsi la gente del 2 marzo. Mentre alla rete di associazioni che si è creata compete una domanda ancora più importante.

Perché come ha dimostrato tutta questa storia i 200mila o più che hanno sfilato sono stati chiamati da una rete di associazioni e realtà che vivono una contemporaneità che è già oltre i partiti e la politica nazionale, che è a corto di visione, ma anche a corto di temi importanti di cui discutere e si perde nel chiacchiericcio interno o nei fendenti di comunicazione senza capire che stiamo affogando. Per questo sarà una bella primavera, comunque.Milano dice che si può fare, i partiti ci pensino e ci provino, in ogni caso la maturità della società civile e dell’associazionismo è un dato.

Proprio a essere precisi, in questo esercizio che riguarda il potere, ci sarebbe da proseguire sulla strada del finale della manifestazione: senza i comizi finali.

C’è spazio per un movimento che si autorganizza – e autofinanzia a questo punto – o dobbiamo sempre aspettare che arrivi una sigla e un leader?

C’è spazio per continuare a costruire per questa rete di oltre mille soggetti sociali?

Nelle risposte c’è un pezzo, rilevante, del futuro che ci aspetta.