Le sirene del capitalismo, la necessità di una svolta

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21 Agosto 2019

Un documento importante e a suo modo storico dalle grandi multinazionali Usa e la necessità di sostituire un capitalismo ormai decotto

Si chiama The Business Roundtable ed è una associazione che riunisce il gotha delle multinazionali statunitensi. Una tavola rotonda che potrebbe essere definita come l’anima del capitalismo che governa una gran parte del pianeta, con la sua logica di sfruttamento, in cui il profitto degli azionisti è sempre stato l’unico vero dio da venerare. Il documento reso pubblico con data agosto 2019 ha un sapore epocale, come notizia, perché descrive una inversione di rotta, perlomeno nell’enunciazione di come e cosa dovrebbe cambiare. Una cartella divisa per punti e altri due fogli e mezzo in cui seguono le firme pesanti del capitalismo delle multinazionali statunitensi.

 

Incipit.

Il documento si apre così: «Gli americani meritano un’economia che consenta a ogni persona di avere successo attraverso il duro lavoro e la creatività e condurre una vita di significato e dignità. Crediamo che il sistema del libero mercato sia il mezzo migliore per generare buoni posti di lavoro, un’economia forte e sostenibile, innovazione, un ambiente sano e opportunità economica per tutti.

Le imprese svolgono un ruolo vitale nell’economia creando posti di lavoro, promuovendo l’innovazione e l’offerta di beni e servizi essenziali. Le aziende producono e vendono prodotti di consumo; fabbricazione di attrezzature e veicoli; sostenere la difesa nazionale; crescere e produrre cibo; fornire assistenza sanitaria; creare e fornire energia; e offrire servizi finanziari, di comunicazione e altri servizi alla base dell’economia crescita.

Mentre ciascuna delle nostre singole società serve al proprio scopo aziendale, condividiamo un fondamentale impegno a tutti i nostri stakeholder»

We commit

Il preambolo non fa che rafforzare l’identità e il ruolo dei soggetti del nostro capitalismo contemporaneo, ma l’assunzione di una diversa finalità viene nel ‘we commit’ che segue.

I quasi 200 firmatari si impegnano a (citiamo testualmente):

  1. Offrire valore ai nostri clienti. Promuoveremo la tradizione delle aziende americane aprendo la strada per soddisfare o superare le aspettative dei clienti.
  2. Investire nei nostri dipendenti. Questo inizia compensandoli equamente e fornendo importanti benefici. Include anche il supporto attraverso la formazione e l’educazione che aiutano a sviluppare nuove competenze per un mondo in rapido cambiamento. Promuoviamo la diversità e l’inclusione, la dignità e il rispetto.
  3. Trattare in modo equo ed etico con i nostri fornitori. Siamo impegnati a servire come buoni partner le altre società, grandi e piccole, che ci aiutano a soddisfare le nostre missioni.
  4. Supportare le comunità in cui lavoriamo. Rispettiamo le persone nelle nostre comunità e proteggere l’ambiente adottando pratiche sostenibili in tutte le nostre attività.
  5. Generare valore a lungo termine per gli azionisti, che forniscono il capitale che consente alle aziende di investire, crescere e innovare. Ci impegniamo per la trasparenza e l’impegno efficace con gli azionisti.
  6. Ciascuno dei nostri stakeholder è essenziale. Ci impegniamo a fornire valore a tutti loro, per il successo futuro delle nostre aziende, delle nostre comunità e del nostro paese.

 

Etica e ambiente.

I punti 3,4 sono decisamente interessanti in questa rivoluzione di scopo. La sostenibilità viene assunta fra gli impegni a pari importanza del profitto degli azionisti, il rispetto delle comunità territoriali e dell’ambiente viene indicato in un punto a sé stante.

Ci sono norme, regole, regolamenti che già sono in grado di offrire un avanzamento su questi due punti, ma quello che richiama la nostra attenzione è l’assunzione di una proposta dai confini così netti. Lungi dallo sconfessare il proprio ruolo e l’appartenenza a un sistema che sfrutta per l’accaparramento dei profitti, il fatto che una congregazione così elitaria e potente abbia giocato una carta così pubblica dà adito agli interrogativi del perché lo abbia fatto. Nessuno stupore ingenuo, autorevoli economisti lo avevano già elaborato come studio e proposizione negli anni ’80. ma se stiamo  al valore di un documento firmato, cioè al messaggio politico che porta con sé rispetto alle politiche esistenti, perlomento negli States, allora il discorso soi fa più interessante.

Perché.

Le prime speculazioni su questo documento sono di natura politico economica: una associazione Usa guarda la propria politica interna, reagisce all’interventismo spesso avventato della presidenza Trump e cerca di dettare una agenda ai candidati democratici che verranno, lanciare un segnale.

Ma anche nella sua strumentalità, cosa che va data per scontata, questo documento rappresenta, per altri analisti, una riconferma di un viaggio verso il capitalismo inclusivo.

Ammorbidire le ferree regole che reggono economia e finanza internazionali, mantenendo però non solo la cornice, ma tutte le leve del potere con parole più ‘dolci’.

C’è un messaggio chiaro, dicono altri analisti, al sovranismo e alle sue politiche autarchiche. Quindi un intervento diretto sul piano della strategia del potere e soprattutto del potere che verrà, come dicevamo sopra, in chiave elettoralistica e di messaggio.

Un’occasione per rianimare un dibattito.

Dopo i recenti documenti pubblicati sui cambiamenti climatici sappiamo che c‘è bisogno di una svolta che sia radicale, e nel contempo un sano realismo ci dimostra che un passaggio rivoluzionario è difficile da attuare, ma che si dovrà attuare per gradi. C’è un problema legato alla classe dirigente delle democrazie e a una impreparazione di fondo, nella sensibilità e concezione delle priorità della politica (che spesso sono diventate la mera sussistenza al potere di chi riesce ad arrivare nelle stanze di comando). L’affermazione di formazioni verdi alle ultime europee è un buon segnale, mentre il fonte dei sovranisti a livello internazionale è perlopiù negazionista sui temi del climate change.

Per un cambiamento a livello globale c’è bisogno di nuove sensibilità, di nuovi libri di economia, di nuovi teorizzatori politici, di controllo e regole rigide contro la speculazione finanziaria, di stravolgere il capitalismo e di impiantare un nuovo sistema.

Una voce autorevole, quella di Marianna Mazzucato, economista, docente di Innovation and Public Value all’University College di Londra, direttrice dell’Institute for Innovation and Public Purpose, è apparsa nei giorni scorsi sui giornali. La finanziarizzazione, sostiene, ha rotto il capitalismo e ora è tempo di cambiare rotta. E alla fine Mazzucato indica come si debba passare da un modello di estrazione del valore a uno di creazione del valore. Un punto su cui The Business Roundtable non sarà tanto d’accordo. Ma lasciamo la parola a lei e vediamo come, citando l’intervista.

“A un livello di politiche, significa letteralmente rendere più premiante “il lungo periodo” piuttosto che il breve. Un esempio semplice è una tassa che renda le transazioni finanziarie che avvengono in millisecondi meno profittevoli degli investimenti nell’economia reale. Questo coincide esattamente con l’idea di premiare la creazione di valore, e non la sua estrazione. Invece, per effetto della finanziarizzazione di cui parlavamo all’inizio, le aziende si preoccupano prevalentemente dei prezzi di Borsa, e non della ricerca e sviluppo, delle risorse umane, della formazione del personale in modo che non resti sopraffatto dalla rivoluzione tecnologica. C’è di più: molte corporation hanno ricevuto massicci benefici dai governi, senza che fossero condizionati all’impiegarli per fare anche il bene pubblico. Negli Usa per esempio l’industria farmaceutica riceve 40 miliardi di dollari all’anno di investimenti, che andrebbero utilizzati non solo per sviluppare i farmaci che servono ma anche per renderli disponibili a costo sostenibile per la popolazione. Purtroppo, siamo abbastanza lontani dal vederlo succedere: per lo più siamo ancora con un modello economico in cui le aziende “estraggono” valore dal pubblico, ma non lo creano”.