Cosa e chi fa notizia. Alla fine è una questione di intendersi su un concetto così semplice da sembrare scontato e banale. Eppure. Alcuni anni fa, e non sono così tanti come sembra, l’Italia era sotto la cappa di Berlusconi e del berlusconismo.

Ricordo come se fosse ora un senso di pressante fastidio nel sentire testate giornalistiche indipendenti allinearsi nella scelta delle notizie e nelle citazioni, nella notizia di apertura, alle sparate di Silvio Berlusconi.

Era il premier – che non esiste in Italia, si badi -; questa era la giustificazione per far prevalere qualsiasi boutade o mediocre dichiarazione del signor TV sulla realtà di interi continenti.
Cosa vuol sentire la gente? Se trova quel che cerca, compra.

L’uso della cronaca, politica o di costume, sociale, piegata alla pancia dei lettori è cosa antica e però quello che stupisce è come dal mainstream si sia poi propagandata fra molti giornali o emittenti indipendenti, per non parlare della capacità del ‘fare agenda’ di temi ininfluenti alla fine rispetto a questioni ben più importanti.

Renzi e il suoi tweet. Ci hanno aperto radiogiornali ed edizioni on line dei grandi quotidiani nei momenti di massimo potere del rottamatore trombato al referendum. 140 caratteri valevano una crisi umanitaria o una notizia di esteri ben più importante per la nostra vita.

Eppure: pancia, interesse, curiosità, denaro.

E veniamo così al signore delle felpe, Matteo Salvini, capace di una retorica propagandistica piuttosto insulsa e banalotta, ma che piace a molti giornalisti perché c’è quasi sempre un titolo e soprattutto uno scandalo da rilanciare nel gioco delle dichiarazioni a commento e nel ping-pong politico fra le forze parlamentari. Anche perché quelle extra-parlamentari (ahimé) non ci sono più.

E però ci si sente, spesso, come nella metropolitana di Milano, o alla stazione Termini di Roma, dove io che sto per prendere un treno e ho pagato un biglietto sono obbligato a sorbirmi le pubblicità dagli schermi ossessivi e ossessionanti che hanno piazzato dappertutto. Spot a pioggia dentro ai miei occhi.

Io sono il target.

Io, voi, siamo in migliaia, siamo la merce da vendere alla pianificazione media, che ci guadagna due volte. Una perché ho pagato il mio biglietto, la seconda perché mi usa come target e pubblico che crea la quotazione degli spazi.

Gli spot di Salvini fanno bene a Salvini, che ha modo di diffondere le grottesche trovate di propaganda condite da un fare e un linguaggio basso e popolare per presentarsi come un anti-casta dalle maniche rimboccate (quello ci aveva provato anche Bersani…) e i giornali e le televisioni mi inondano in un circolo vizioso di Salvini Matteo dappertutto perché giocano al ping-pong, o a costruire la tensione che poi sfocia in manifestazioni, in cui viene raccontato solo lo scontro, quindi il dibattito nazionale deve preoccuparsi della libertà di espressione di chi ha sostanzialmente giocato su quel diritto per riuscire a farsi uno spot elevato al cubo.

Qualcosa, evidentemente, non va.

Mi pare davvero chiaro ed è difficile dire altrimenti: una volta appurata la linea politica della Lega Nord, il gioco della ripetizione e dello scandalo urlato dai giornali a ogni frase dove il Salvini cerca sostantivi e aggettivazioni sempre più titolabili e ipocrite è un cane, o un gatto, che si morde la coda.

Ma l’effetto è quello di alzare continuamente la pressione del termometro di sopportazione da una parte e di esacerbare le pulsioni razziste e xenofobe dall’altra. Insomma, un moltiplicatore di eccitazioni nefaste per la convivenza. Laddove chi ne trae vantaggio è quello che chiamiamo populismo di destra, quell’agglomerato di politiche retrive e razziste che alla fine – proprio in virtù di questa continua ripetizione e dell’accordare credibilità di forza e presa sulle persone – diviene una realtà. C’è un qualcosa di vicino alla post-verità, ma il gioco qui è vecchio e non è necessario ricorrere alle parole nuove.

La proposta è semplice: Salvini, tutti i Salvini, OFF.

Non è censura, si riportano le dichiarazioni che fanno notizia, non quelle che fanno propaganda. Amici giornalisti siete capaci a discernere?

Quanti click ci perdo senza le tensioni che aumentano, il botta e risposta, le foto di scontri, le manifestazioni, le trasmissioni televisive con una parte della società che ripete a scimmia le non notizie, anzi spesso le bugie, distillate dai campioni della propaganda e dai mezzi di informazione distratti, confusi, approssimativi, ma nel nome del marketing?

Già ai tempi di Silvio: quanto ne avremmo guadagnato, in informazione e in tempo e freschezza di sguardo, se i mezzi di informazione avessero saputo dosare, concentrare, valutare una strategia politica che è quella solita, continuare a far parlare di sé, avere il prime time, avere l’occhio di bue puntato comunque addosso, parlare sopra gli altri, urlare, riempire ogni interstizio in una onnipresenza da incubo imposta all’audience?

I Salvini, semplicemente OFF. Se c’è una notizia, si pubblica. Ma una volta che hai detto ruspa, le altre cinquanta volte che dici ruspa non sono più notizia, il disprezzo per gli stranieri non è più notizia dopo aver scritto e dato per assodato che siamo di fronte a un partito xenofobo e razzista.

Il resto diventa propaganda pro Salvini. Anche nei mezzi di informazione che sono i più lontani. Dobbiamo avere il coraggio di dire, di affermare, che si è capaci di fare delle scelte, in punta di diritto e dovere di cronaca.

La strategia del Salvini, la crisi economica, quella dei populismi che spingono e soffiano su tutta Europa e vengono dipinti come orde barbariche invincibili (perché mai poi?) hanno spianato la strada alla Lega dal 4% del 2013 al 6% delle europee e ora i sondaggi dicono poco meno del 13%. Certo con tutte le analisi sulla mutazione del centrodestra, l’affondamento di Forza Italia e tutto quello che abbiamo conosciuto negli ultimi cinque anni.

E però nulla toglie dalla testa che una fetta di quel consenso sia arrivato anche grazie alle continue ospitate, perché Salvini provoca litigio e quindi audience in tv, quindi tagliuzzato finisce sulle webTv dei media on-line, quindi sui giornali e quindi provoca reazioni e si impone nel dibattito nazionale, ove non avrebbe spazio in condizioni di normalità di sereno giudizio sulle notizie.

Per questo: off.