Che ne faremo delle camicie nere

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14 Ottobre 2021

Ma se la Costituzione è antifascista, e l’apologia del fascismo un reato, come accade che da troppi anni  la sagra italica ci ripropone saluti romani, pestaggi e accoltellamenti, manifestazioni manovrate da Forza Nuova, Casa Pound e altre sigle della galassia nera?

Nella quasi-contemporaneità, cioè negli ultimi venti anni almeno, ci siamo adagiati come discorso comune sulle note smorzate di moderatismo e riformismo.

I colori primari son diventati pastello, mentre si preannunciava un tempo di erosione dei diritti da far impallidire i nostri predecessori che lottarono, morirono o si giocarono la vita per ottenere un diritto in più, uno alla volta. Diritti sociali, certo, ma soprattutto i diritti del lavoro, così tragicamente in ritirata.

La disintermediazione perseguita con cinica lucidità nell’era Renzi, le molte colpe di un passato recente, hanno portato il sindacato a diventare l’ombra di sé stesso. L’atomizzazione della società ha fatto il resto, con lavori e conseguenti stili di vita (mai una volta che si provi ad adeguare il lavoro alla vita delle persone) che hanno rinchiuso la voce collettiva, che era quella che otteneva, nel far massa, l’attenzione di chi gestisce il vapore.

Dentro le fabbriche, come dentro la società, si sono aperte praterie per il pensiero debole, egoistico, razzista non solo sul colore della pelle, ma anche nell’eliminare nel discorso comune chi sta peggio, visto come nemico del proprio benessere. Eppure, un diritto conquistato non ha mai tolto diritti ad altre persone, semmai privilegi.

È qui che si è fatto strada il percorso che oggi consegna i sondaggi di cosa siano gli italiani a una grande maggioranza di consensi e simpatie per le demagogie straccione e sovraniste: quelle della Lega di Salvini, quelle di Fratelli d’Italia, che da apparire uno pseudo titolo di un film natalizio dei Vanzina è diventato un ospite ingombrante al tavolo del potere e delle sorti del Paese.  A questo tavolo, infatti, non ci dovrebbe stare.

Chi ha qualche anno si ricorda dei passaggi degli Almirante boys per sembrare meno fascisti di quel che erano. L’elegante Gianfranco Fini, che si spese anche in critiche e si mise addirittura la kippah, ma che aveva nel suo partito gli Alemanno e gli Storace. Ricordo anche un cambio di look da arruffati capipopolo a capelli ben tenuti, nuove montature e nuovi completini rispettabili. Il marketing personale era sbarcato nel cerone della politica del re delle televisioni.

Dall’avvento dell’estrema destra, poi, siamo rimasti senza strumenti veri di contrasto, che non siano le manifestazioni sempre partecipate e una identità antifascista che è ancora sentita e molto. Prova ne è che le iscrizioni all’Anpi crescono. Non è poco.

Ma se la Costituzione è antifascista, e l’apologia del fascismo un reato, come accade che da troppi anni  la sagra italica ci ripropone saluti romani, pestaggi e accoltellamenti, manifestazioni manovrate da Forza Nuova, Casa Pound e altre sigle della galassia nera?

Si cercò di rispondere con il decreto Mancino, era il 1993!, per cancellare la presenza dei neofascisti. Perché il fascismo non è un’opinione, ricordiamocelo, è un delitto. Eppure, anche nei momenti più concitati il Viminale ha sempre nicchiato: Beppe Pisanu, vecchio Dc moroteo prestato alla banda Berlusconi, non ne approvò l’utilizzo per un motivo semplice: se metto fuori legge le formazioni neofasciste – era la tesi – le potrò controllare di meno e rischio che nella clandestinità siano più imprevedibili. Opinabile.

Fatto sta che la Repubblica italiana anti-fascista ha sempre concesso questo gran dono che è la libertà di espressione e di riunione e di rappresentanza anche a formazioni che dovevano essere stroncate sul nascere. Perché sul fascismo non ci sono ragionamenti che tengano: non esistono i meme falsamente attribuiti peraltro a Voltaire sul dare la vita e altre scemenze simili per permettere all’altro di poter esprimere il proprio pensiero.

Certe cose non si possono dire e certe cose non si possono proprio fare, specie in un Paese che ha vissuto una dittatura fascista e che ha dovuto pagare con tanto sangue partigiano.

Lo sdoganamento in nome di una visione non conflittuale, alla Luciano Violante e i ragazzi di Salò, ci porta a pochi anni fa, in quella quasi contemporaneità spesso sconosciuta alle nuove generazioni. Berlusconi imbarcò tutto, a destra. E mentre un ex fascista diventava vicepresidente, e gironzolava per caserme dei carabinieri nel luglio del 2001 nel G8 genovese, abbiamo riammesso nel gioco una formazione che ha sempre avuto non frange, ma il cuore, i saluti tesi e i teneri ricordi per il ventennio. Alemanno la portava al collo, la celtica. La Russa, fiero di essere fascista.

I fascisti oggi negano, in tailleur, di essere fascisti. Ma sono stati lo stargate consapevole del rientro della destra estrema, quella che ha radici stragiste, quella che spesso, troppo spesso, è ben tollerata dalle forze di polizia. E che adesso cerca di infiltrarli per approfittare del loro consenso.

I fascisti non sono persone normali; sono fascisti. Per non parlare dei neo-nazisti. Ragionano, infatti, in maniera assolutista e violenta, e quanto siano manovrate, in parte, le manifestazioni No Vax non è difficile da capire. C’è poi il caso Fanpage e la galassia di una destra estrema che si infila nella Lega e che vorrebbe avere nuove leve in Fdi . O le inchieste sui finanziamenti.

La destra in giacca e cravatta guarda agli estremi pubblicamente come se vi fosse una distanza. Ma dal punto di vista tattico le formazioni Forza Nuova e Casa Pound, cane e gatto, sono funzionali socialmente e come miccia detonante per continue esplosioni.

La strategia della tensione.

Ha iniziato un vecchio fascista, ben noto nella Milano degli Anni 70, come Ignazio La Russa. Che è addirittura stato ministro di questa Repubblica, ci perdonino le madri e i padri costituenti. Subito dopo l’assalto alla Cgil a Roma, mentre la capopolo Meloni si chiudeva in un meme, affermando di non conoscere la matrice, La Russa ha ipotizzato su diversi media che era strategia della tensione. Che le forze dell’ordine avevano lasciato fare, per cercare di avere quella reazione da quelle persone. A sostegno, giorni dopo, arriva la stessa Giorgia Meloni, che torna su quelle tre parole ‘strategia della tensione’, che storicamente dovrebbero provocare non solo prudenza, ma anche qualche ritegno nel pronunciarle da chi viene da una storia che ha avuto camerati ideologici che ne furono protagonisti, sentenze o meno qui siamo nella verità storica.

E così non ci resta che aspettare: che cosa fa lo stato democratico di fronte a una recrudescenza del fascismo?

Quello nero ed eversivo, quello in doppiopetto, quello che si traveste e quello della Lega, con l’onnipresente Salvini che si prende la teatralità di un incontro con Draghi per dire che gli ha ricordato che non è certo il fascismo l’emergenza e avrebbe proposto al presidente del Consiglio, fa trapelare, una proposta di pacificazione nazionale.

Quale pacificazione nazionale? La Repubblica italiana è antifascista e non c’è nessuna pacificazione che tenga, a maggior ragione se questa strategia viene giocata per riguadagnare palco e riflettori, e chissà i grandi giornali quando si accorgeranno che hanno una responsabilità a ripetere a megafono le squallide trovate del leader leghista.

Il livello dello scontro non sta nel campo degli antifa. Semmai il grande mondo antifa si sta assumendo una responsabilità che dovrebbe essere repubblicana. E il fatto stesso, come si ricordava che l’Anpi stia tesserando oggi sempre di più ci dice una cosa, che sapevamo già, ma che proprio non si vuole ascoltare nelle segreterie dei partiti progressisti.

Se i militanti civili si rivolgono all’associazione dei partigiani e non trovano sponde nei partiti c’è un problema e anche bello grosso.

Ci sono i parlamentari e gli europarlamentari più sensibili e diretti: Emanuele Fiano, Pierfrancesco Majorino, in casa Pd, per esempio. Ma la sensazione è che si sia perso troppo terreno, nel Palazzo, nello stare comodi, nel sottovalutare, nel tollerare, nel non reagire, nell’avventurarci nelle ricostruzioni di pacificazione di una cosa che creò frattura, dolore e morte, violenza e censura.

Il fascismo non è un’opinione, giusto ripeterlo. Com’è giusto smetterla di pensare che chi propaga odio possa o debba avere un podio da cui fare propaganda.