Un altro gelido inverno in Bosnia-Erzegovina

di

12 Gennaio 2022

Le dichiarazioni del leader dei serbi di Bosnia rinfocolano l’idea di un nuovo conflitto nella regione

“Nell’ultimo mese circa la Bosnia Erzegovina, dapprima con esitazione, via via con sempre più insistenza, è tornata alla ribalta sui media internazionali. Stando a quanto si legge, sta per scoppiare una nuova guerra. O almeno, questo è quello che si desume dai titoli: “La Bosnia è ad un passo dalla dissoluzione”, “Una nuova crisi sta covando in Bosnia- Erzegovina”, “Se abbandoniamo i Balcani a se stessi esploderanno di nuovo”, e così via. Ma in tutta questa cacofonia di voci inneggianti alla guerra, sapete chi non ha la minima intenzione di prendere in considerazione questa opzione? La popolazione del paese interessato.
I bosniaci si stanno chiedendo se per caso queste élite siano a conoscenza di qualcosa che loro non sanno, o se tutto ciò rientri nella nuova tendenza che consiste nel creare dubbiose verità ricorrendo a fake news. Non siamo ingenui nel muovere queste insinuazioni. Abbiamo imparato la nostra lezione negli anni ’90, quando la guerra esplose nonostante la nostra convinzione che ciò fosse impossibile. Ma questa volta semplicemente non sussistono ragioni sufficienti che possano motivare le persone ad andare in guerra.

Gorana Mlinarević e Nela Porobić Isaković sono due tra le tante voci interessanti che si possono leggere su Kosovo 2.0, una delle testate più interessanti che agitano il dibattito culturale nella regione della ex-Jugoslavia. Le parole tratte dall’articolo che hanno firmato sono una polaroid perfetta della situazione attuale.

In effetti, da molto tempo, questione migranti a parte, la Bosnia-Erzegovina è completamente scivolata a margine del discorso politico europeo e internazionale. Ed è proprio da questo punto che bisogna partire, per meglio comprendere le esternazioni di Milorad Dodik, satrapo a capo della Repubblica Srpska, che con la Federazione croato – musulmana forma la Bosnia-Erzegovina.

Trent’anni fa il conflitto venne congelato lungo la linea del fronte, che divenne demarcazione politica e istituzionale. Quel confine, quel conflitto, sono stati per decenni l’assicurazione sulla vita politica di una classe dirigente nazionalista – bosgnacca, croata e serba – che basava la sua stessa esistenza sul retaggio del conflitto.

Oggi quel retaggio è finito, superato dal tempo e dalla disperazione dei cittadini della Bosnia-Erzegovina, stanchi di un sistema corrotto e che ha reso le loro vite sempre più dure. La questione dei migranti poi – dove lentamente dal 2015 a oggi è stato innescato un meccanismo che scarica in pratica sulla Bosnia-Erzegovina il problema che l’Ue non vuole risolvere, ma solo rendere letale e feroce a colpi di muri – è l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Perché l’Ue e le organizzazioni internazionali non hanno fatto mancare l’unica politica estera in materia di migrazioni che praticano da anni (pagare qualcuno per bloccare le rotte e tenersi i rifugiati e i migranti), ma i soldi son svaniti nei circoli politici e alla gente è rimasta solo la rabbia.

Ed ecco che Dodik, al potere praticamente dal 1998, usa quel che ha per attirare l’attenzione dei media e delle organizzazioni internazionali e dei leader mondiali: la minaccia di secessione e, come non detto, quella del conflitto.

Giocando su un tavolo che è sempre pieno di giocatori: quello dello stereotipo balcanico, quello di chi della Bosnia-Erzegovina conosce solo i film di Kusturica e la musica di Bregovic, quelli che citano la citazione di Churchill (“I Balcani producono più storia di quanta ne possono digerire”) e via orientalisteggiando.

Il video di 'Dosta', brano dei Dubioza Kolektiv

Attenzione, Dodik e consorteria nazionalista son tutt’altro che personaggi affidabili e responsabili, sia chiaro. Ma è come se nel disagio, si tornasse a parlare di Bosnia-Erzegovina solo in chiave del ‘conflitto latente tra tribalismi che solo il buon Tito teneva sedati con la forza’. Non il problema che va negato, anzi, è la chiave di lettura dei media mainstream che pare ancora una volta totalmente inadeguata.

E Dodik, come altri, lo sa e la cavalca, all’inseguimento del consenso che il nazionalismo può ancora garantire nella popolazione e di quell’attenzione internazionale – e dei suoi fondi – che sono ogni giorno di meno.

Il 9 gennaio scorso, ad esempio, oltre 800 poliziotti, tra cui membri delle unità antiterrorismo, ma anche veterani della guerra in Bosnia Erzegovina, atleti e studenti, hanno sfilato per le strade di Banja Luka, la capitale amministrativa della Repubblica Srpska, per commemorare il 9 gennaio del 1992, quando la Srpska dichiarò la propria indipendenza dalla Bosnia Erzegovina, alla vigilia della sanguinosa guerra civile che portò ad almeno 100mila vittime nel paese. Ricorrenza ritenuta incostituzionale già nel 2015 dalla Suprema corte bosniaca, che la ritiene discriminatorie verso i cittadini non serbi dell’entità.

Questa forzatura arriva dopo che Dodik ha portato negli ultimi mesi la Bosnia Erzegovina alla più grave crisi dalla fine del conflitto degli anni ’90 dopo la decisione dell’ex Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina, Valentin Inzko, di sanzionare il negazionismo sul genocidio di Srebrenica.

Il leader dei serbi di Bosnia ha di fatto bloccato le attività del paese, che nei complessi meccanismi di ripartizione dei poteri dopo gli accordi di pace di Dayton del 1995 è un orologio complesso e spesso rotto.

Dodik ha promosso una serie di iniziative legislative volte a trasferire diverse competenze esclusive dello stato centrale in favore dell’entità della Republika Srpska (a maggioranza serba). Tra queste, la magistratura e l’agenzia delle entrate, ma anche la polizia investigativa e ha minacciato di ricostituire un esercito serbo-bosniaco. Il 5 gennaio scorso, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti d’America ha adottato nuove sanzioni contro Dodik, colpendo anche il canale TV Alternativna, passato sotto il controllo diretto della famiglia Dodik. Un segnale della comunità internazionale, sempre e comunque oramai lontana da Sarajevo e Banja Luka.

Dodik, nel 2017, era già stato colpito da sanzioni, quando vennero congelate le sue proprietà negli USA, gli venne negata la possibilità di ottenere un visto, così come di beneficiare di transazioni economiche provenienti dagli Stati Uniti. Anche in quel caso si menzionava l’ostruzione contro l’ordine costituzionale di Dayton. Man mano che il suo spazio politico si restringe, con Belgrado sempre meno interessata alla sua sorte politica, e con una cittadinanza sempre più esasperata, Dodik alza la posta contando sulla cattiva lettura che l’Europa e gli Usa continuano ad avere della regione, dopo aver fallito la carta di ‘baluardo contro il terrorismo islamico’ che pur tentò di giocare tempo fa.

E a ottobre 2022 si vota. Dodik deve muovere il tavolo, prima che sia sancito il suo tramonto. Con lui condividono l’agenda anche i ‘nazionalisti’ del resto della Bosnia-Erzegovina, anche se non lo dicono. Dopo Dayton, la Bosnia venne trasformata in un luogo di dominazione neo-coloniale. In questa dinamica, la comunità internazionale stessa si è inserita in ogni aspetto della società e si è appropriata di ampi poteri, sottostando però ad ogni capriccio delle élite etno-nazionaliste, in nome di una generica ‘pace’.

“Come in una performance ben collaudata, la comunità internazionale risponde con urgenza alla crisi costruita dagli etno-nazionalisti. Questa risposta, tuttavia, non fa altro che aggiungere ancora più tensioni. Queste tensioni, a loro volta, forniscono ulteriori pretesti alle élites etno-nazionaliste ed alla comunità internazionale per rimanere al potere a tempo indeterminato”, scrivono ancora – benissimo – Gorana Mlinarević e Nela Porobić Isaković.

La classica sevdalinka Da sam ptica, nell'interpretazione di Damir Imamović

Se non saranno altri i fattori in campo, è davvero difficile che queste élites potranno contare sull’appoggio popolare in caso di conflitto, mentre alla fine ne temono la rabbia. Ecco, è a quella rabbia e a quella frustrazione che bisogna prestare ascolto.

Dopo trent’anni dalla fine del conflitto, i parametri socio – economici della Bosnia-Erzegovina sono disperati: è al 58° posto della classifica di Reporter Senza Frontiere per la libertà di stampa, al 111° posto (su 180) della classifica della corruzione per Trasparency International, al 72° posto del Global Peace Index. Uno sfacelo.

Eppure sono tante le forme di resistenza artistiche, politiche, ambientaliste. Ed è da quelle che bisogna ricostruire, non parlando di Bosnia-Erzegovina solo quando si annusa la ‘guerra’, o con i reportage innevati che fanno notizia, ma sempre, tutto l’anno, nel paese europeo dove i cittadini sono abbandonati a loro stessi da trent’anni. Come hanno fatto le realtà della società civile, che in Bosnia-Erzegovina ci lavorano ogni giorno, da anni, che lunedì scorso hanno organizzato manifestazioni in contemporanea a Roma, Bruxelles, Ginevra, Oslo, Vienna, Birmingham, Stoccolma, Sarajevo, New York, Ottawa, Toronto per chiedere solo una cosa: il rispetto dei suoi cittadini.

«La Bosnia ed Erzegovina non è una comunità di tre tribù, né è composta da unità etno-territoriali, ma è un unico Paese i cui abitanti condividono la stessa storia, la stessa lingua e le stesse scritture», ricorda il comunicato stampa. «I Bosniaci-erzegovesi vogliono uno Stato democratico e sovrano, unito e indivisibile, uno Stato fatto di cittadini e popoli, tutti rappresentati nello stesso modo, uno Stato basato sulle libertà e sui diritti umani, sulla certezza del diritto e sulla giustizia sociale, sull’uguaglianza tra tutti i cittadini, indipendentemente da dove essi vivono, in patria o all’estero».

tratto dal comunicato delle associazioni promotrici della manifestazione dell’11 gennaio scorso

Foto di copertina tratta da Kosovo 2.0

Mi hanno detto in quale dio credere troppo a lungo
Non voglio arrendermi, continuo a recitare
Tutto ciò che mi rimane sono tensioni represse
Mentre la verità ha tre versioni diverse
Usciamo da questo tavolo, un’intera tonnellata di merda

tratto dalla canzone Dosta, dei Dubioza Kolektiv

Sei sempre stato gioioso, affascinante e verde, come lo sei ora
Che la tua canzone sia sempre parte della tua allegria
Ciao Bosnia, che tu possa essere benedetta per sempre

tratto dalla canzone Da sam ptica