Il modello ‘ndranghetistico delle mafie foggiane

di

14 Marzo 2022

 

Egemonia violenta, infiltrazioni nell’economia e nelle istituzioni della “Quarta Mafia”.

Le mafie foggiane si stanno modellando con un processo di «’ndranghetizzazione» denunciò già due anni fa il sociologo Leonardo Palmisano, autore di importanti libri e inchieste sui sistemi criminali presenti in Italia, «la ‘ndrangheta è il modello organizzativo entrato nella testa dei mafiosi di Foggia e del Gargano. Un modello che si fonda su tre gambe: crimine, economia e politica».

Un’analisi confermata da vari fatti, a partire dalloperazione Decimabis, dalle relazioni semestrali della Direzione Investigativa Antimafia e dagli atti relativi allo scioglimento di 5 comuni negli ultimi anni. Ultimo in ordine di tempo quello di Foggia lo scorso 5 Agosto. L’operazione Decimabis, che segue la precedente Decima Azione di due anni prima, nel novembre 2020 ha disarticolato una cupola mafiosa che vedeva protagonisti i tre clan della «Società foggiana»

«Moretti-Pellegrino-Lanza, Sinesi-Francavilla e Trisciuoglio-Tolonese-Prencipe che – sottolineò in un comunicato la Polizia di Stato – con la forza dell’intimidazione e dell’assoggettamento, avevano controllato le attività economiche della zona, ai danni di commercianti e attività economiche». Dopo questa maxi operazione Palmisano sottolineò che «l’esistenza di un direttorio evidenzia il salto di qualità compiuto da questa organizzazione e ci porta indietro di decenni, quando Cosa Nostra siciliana,dominata dai sanguinari corleonesi di Riina, si impose come modello organizzativo per tutte le mafie. A Foggia c’è una cupola, questo il dato più significativo, che allunga i suoi tentacoli dentro la tecnocrazia privilegiando il soffocamento dell’economia di prossimità con le bombe e con il racket, a vantaggio di una tendenza oligopolistica nell’economia cittadina ben rappresentata dalla turbativa d’asta, dalla corruzione, dall’incuria verso la cosa pubblica».

La «Società foggiana», sottolinea il procuratore aggiunto di Foggia Antonio Laronga e autore del libro Quarta mafia. La criminalità foggiana nel racconto di un magistrato sul fronte”, è stata riconosciuta come organizzazione mafiosa «con sentenza definitiva della Corte di Cassazione nell’ottobre 1999». Un processo nato dopo le inchieste e le operazioni successive tra gli altri all’omicidio di un imprenditore edile, che si rifiutò di sottomettersi al racket, e del direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia Francesco Marcone.

Marcone fu assassinato il 31 marzo 1995, pochi giorni prima aveva inviato un esposto in Procura per denunciare truffe perpetrate da falsi mediatori che garantivano, dietro pagamento, il disbrigo repentino delle pratiche di competenza del suo ufficio. Furono processate 68 persone, la sentenza definitiva della Corte di Cassazione arrivò il 13 ottobre 1999 con il riconoscimento della natura mafiosa della Società foggiana. La società foggiana, racconta il magistrato, «è passata nei decenni da forme di gangsterismo urbano, di lotte tra bande criminali ad organizzazioni che sono in grado di dialogare anche con esponenti delle pubbliche amministrazioni».

Le “Quarte mafie” sono diventate «strutture multi business, non si occupano più solo di economia illegale – narcotraffico, estorsione – ma hanno attaccato anche alcuni settori dell’economia legale in cui re-investono i proventi illeciti – sottolinea il magistrato – hanno infiltrato l’economia legale e soffocato alcuni settori economici».

A pagina 278 dell’ultima relazione semestrale della DIA si legge, nel capitolo relativo alle mafie cerignolane, che «per quanto attiene alle forme d’infiltrazione dell’economia legale, uno dei settori che continua  a catalizzare l’interesse dei clan è quello della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, come sembrano confermare gli atti intimidatori e i danneggiamenti consumati in danno di aziende concessionarie dei servizi, in particolare della gestione delle discariche. Nel semestre in esame, due importanti operazioni hanno dato ulteriore riscontro al fenomeno». «Il 18 febbraio 2020 l’indagine “Black Cam” eseguita dai Carabinieri tra Manfredonia (FG) e Vico del Gargano (FG), scaturita dall’inchiesta sulla cd. “strage di San Marco in Lamis”, ha riguardato, tra gli altri, un soggetto legato al clan LI BERGOLIS, coinvolto nella strage per aver fornito supporto logistico all’esecutore materiale degli omicidi – prosegue la relazione – Le indagini hanno evidenziato una continuativa attività di scarico di rifiuti (inerti da demolizione, materiale ferroso, bidoni in plastica, piastrelle, mattoni, amianto friabile, misti a terreno da scavo, provenienti da cantieri edili della provincia di Foggia) smaltiti in un’area protetta del “Parco Nazionale del Gargano” in agro di Manfredonia. D’altro canto, l’operazione “Bios”134 eseguita il 3 marzo 2020 dalla Guardia di finanza, ha, invece, riguardato il traffico e lo smaltimento illecito di tonnellate di rifiuti provenienti anche dalla Campania a cura di una impresa di Lucera (FG)».

Il 5 agosto dell’anno scorso il Ministero dell’Interno ha disposto lo scioglimento del Comune di Foggia ai sensi della normativi antimafia. Si è così insediata una commissione prefettizia che guiderà l’amministrazione pubblica per 18 mesi. Foggia è il secondo capoluogo di provincia ad essere sciolto per infiltrazioni mafiose, dopo Reggio Calabria, nella storia ed è il quinto comune sciolto nella zona in pochi anni, dopo Monte Sant’Angelo, Mattinata, Manfredonia e Cerignola.

Ingerenze dei clan accertate, imparzialità degli amministratori compromessa da «pesanti condizionamenti», all’interno della «compagine di governo e della struttura burocratica» si contavano diverse persone con «relazioni di parentela o di affinità» con «elementi delle famiglie malavitose», «logica spartitoria» con la conseguenza di «privatizzazione dei beni pubblici» evidenziò nel 2018 la relazione al Ministero dell’Interno che portò allo scioglimento per mafia del comune di Mattinata.

«Sono state  riscontrate  forme di ingerenza  da  parte  della  criminalità  organizzata  che  hanno compromesso la libera determinazione e l’imparzialità  degli  organi eletti nelle consultazioni amministrative del 31 maggio 2015  nonché il  buon  andamento dell’amministrazione  ed  il  funzionamento  dei servizi» scrisse il ministro dell’Interno Lamorgese l’11 ottobre 2019 motivando lo scioglimento del comune di Manfredonia.

«Un  quadro  fattuale  ancorato  a   prassi   amministrative decisamente illegittime che denunciano  una  obiettiva  permeabilità dell’ente alle pregiudizievoli ingerenze delle locali  organizzazioni criminali – si legge nel documento – un’area caratterizzata dalla presenza di sodalizi violenti ed agguerriti  che esercitano un forte  potere  di  intimidazione  nei  confronti  delle comunità locali,  contrapponendosi  spesso,  anche  di  recente,  in sanguinose faide sfociate in episodi di lupara bianca ed in  efferati omicidi,  portati  ad  esecuzione  con  modalità spregiudicate   ed eclatanti. Più nel dettaglio, in quel territorio  è  stata  giudizialmente accertata  la  consolidata  ingerenza   di   una   potente   famiglia malavitosa, dotata di una capillare  capacità  di  penetrazione  nel tessuto economico e sociale, la quale opera in stretta  sinergia  con le  consorterie  radicate  in  altri  comuni   della   provincia   e, segnatamente, con una delle cellule –  c.d.  batterie  –  in  cui  è strutturata l’associazione di  tipo  mafioso  comunemente  denominata società foggiana».

«Le vicende analiticamente esaminate e  dettagliatamente  riferite nella relazione del prefetto di Foggia hanno evidenziato una serie di condizionamenti dell’amministrazione comunale di Manfredonia, volti a perseguire fini diversi da quelli istituzionali, che  determinano  lo svilimento e la  perdita  di  credibilità  dell’istituzione  locale, nonché il pregiudizio degli interessi della collettività,  rendendo necessario l’intervento dello Stato  per  assicurare  il  risanamento dell’ente» una delle conclusioni della ministra Lamorgese. «Legami diretti tra alcuni esponenti dell’Amministrazione comunale e soggetti di spicco della criminalità organizzata, anche di stampo mafioso – si legge nella relazione della commissione d’accesso che ha portato allo scioglimento – Quindi, la presenza di numerosi legami societari e affaristici sussistenti tra famigliari di esponenti dell’Amministrazione comunale e soggetti della criminalità organizzata, anche di stampo mafioso».

La relazione finale della commissione di accesso, insediatasi il 9 marzo scorso, ha portato al provvedimento. «Un sistema di asservimento ai propri interessi personalistici dei soggetti politici», emersione «di una devastante solitudine civica», «un sistema illecito davvero organizzato con meticolosità che si è potuto pregiare di un passaparola vincente e capillare e che ha coinvolto un numero importante di personaggi, ovviamente garantito da un rilevante investimento economico da parte di qualcuno e/o di coloro che avevano interesse alla vittoria elettorale di un determinato candidato» sono solo alcuni dei passaggi evidenziati dalla testata Foggia Città Aperta.

La commissione ha analizzato quanto accaduto dal 2014, anno di insediamento della prima amministrazione Landella, ad oggi e le conseguenze sono state inequivocabili: questo periodo, «stando alla suddetta commissione, sarebbe stato caratterizzata da ben sette anni di infiltrazioni mafiose».

La commissione motiva lo scioglimento con «concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti e indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata di tipo mafioso e su forme di condizionamento degli stessi». Acclarata, si legge, la presenza di «numerose e articolate organizzazioni malavitose di stampo mafioso, finalizzate ad assumere il controllo del territorio e capaci di infiltrarsi nelle attività economiche della pubblica amministrazione».

I commissari hanno sottolineato anche l’esistenza di «legami affettivi» tra un consigliere comunale e «un esponente della locale organizzazione criminale, pregiudicato, il quale è stato costantemente tenuto informato di questioni politico-amministrative che interessano l’ente locale potendole in tal modo influenzare negativamente nel corso del loro iter decisionale» mentre un altro consigliere comunale dopo aver ricevuto minacce «ha ricevuto direttamente dalle mani del predetto amministratore un contributo economico di natura sociale erogato dal comune di Foggia», «c’è poi il caso del consigliere comunale che all’anagrafe risiedeva in una casa che, di fatto, era abitata da un esponente della “locale consorteria criminale”: a quanto si legge nella missiva, il detto consigliere avrebbe trascorso tra quelle mura il periodo degli arresti domiciliari» ha sottolineato Foggia Città Aperta. Due dipendenti comunali fornivano «informazioni utili per le attività estorsive nel settore dei servizi funebri». La relazione evidenzia affidamenti ad imprese prive di certificazione antimafia, «“inammissibile commistione tra poteri di indirizzo politico-amministrativo e poteri gestori», «amministratori con legami societari e cointeressenze economiche con ditte contigue alle locali consorterie mafiose e destinatarie di interdittive antimafia» nei settori della riscossione dei tributi, del verde pubblico, dei servizi cimiteriali e della pulizia dei bagni comunali, assegnazione di case popolari con pratiche decise senza eseguire alcun criterio, nemmeno quello cronologico» in favore di esponenti delle cosche o di persone con cui avevano rapporti di parentela e «frequentazione» e avvenute in totale «assenza di controlli sulle autocertificazioni attestanti i requisiti richiesti per la partecipazione al bando».

Lo scioglimento del Comune di Foggia nell’agosto scorso è giunto dopo altri quattro scioglimenti in pochi anni: Monte Sant’Angelo, Mattinata, Manfredonia e Cerignola. Le conclusioni delle relazioni delle commissioni d’accesso documentano spaccati con una narrazione pressoché identica.

Ingerenze dei clan accertate, imparzialità degli amministratori compromessa da «pesanti condizionamenti», all’interno della «compagine di governo e della struttura burocratica» si contavano diverse persone con «relazioni di parentela o di affinità» con «elementi delle famiglie malavitose», «logica spartitoria» con la conseguenza di «privatizzazione dei beni pubblici» evidenziò nel 2018 la relazione al Ministero dell’Interno che portò allo scioglimento per mafia del comune di Mattinata. La relazione che due anni fa portò allo scioglimento del comune di Manfredonia è stata di ben 365 pagine.

«Sono state  riscontrate  forme di ingerenza  da  parte  della  criminalità  organizzata  che  hanno compromesso la libera determinazione e l’imparzialità  degli  organi eletti nelle consultazioni amministrative del 31 maggio 2015  nonché il  buon  andamento dell’amministrazione  ed  il  funzionamento  dei servizi» scrisse il ministro dell’Interno Lamorgese l’11 ottobre 2019. «Un  quadro  fattuale  ancorato  a   prassi   amministrative decisamente illegittime che denunciano  una  obiettiva  permeabilità dell’ente alle pregiudizievoli ingerenze delle locali  organizzazioni criminali – si legge nel documento – un’area caratterizzata dalla presenza di sodalizi violenti ed agguerriti  che esercitano un forte  potere  di  intimidazione  nei  confronti  delle comunità locali,  contrapponendosi  spesso,  anche  di  recente,  in sanguinose faide sfociate in episodi di lupara bianca ed in  efferati omicidi,  portati  ad  esecuzione  con  modalità spregiudicate   ed eclatanti.

Più nel dettaglio, in quel territorio  è  stata  giudizialmente accertata  la  consolidata  ingerenza   di   una   potente   famiglia malavitosa, dotata di una capillare  capacità  di  penetrazione  nel tessuto economico e sociale, la quale opera in stretta  sinergia  con le  consorterie  radicate  in  altri  comuni   della   provincia   e, segnatamente, con una delle cellule –  c.d.  batterie  –  in  cui  è strutturata l’associazione di  tipo  mafioso  comunemente  denominata società foggiana». Un contesto nel quale è presente un «intricato  intreccio di relazioni familiari, frequentazioni e convergenze di interessi che legano diversi esponenti della compagine di governo  e  dell’apparato burocratico dell’ente – alcuni dei quali  con  pregiudizi  di  natura penale – a soggetti controindicati ovvero ad elementi  anche  apicali dei sodalizi localmente egemoni».

«Le vicende analiticamente esaminate e  dettagliatamente  riferite nella relazione del prefetto di Foggia hanno evidenziato una serie di condizionamenti dell’amministrazione comunale di Manfredonia, volti a perseguire fini diversi da quelli istituzionali, che  determinano  lo svilimento e la  perdita  di  credibilità  dell’istituzione  locale, nonché il pregiudizio degli interessi della collettività,  rendendo necessario l’intervento dello Stato  per  assicurare  il  risanamento dell’ente» una delle conclusioni della ministra Lamorgese. «Legami diretti tra alcuni esponenti dell’Amministrazione comunale e soggetti di spicco della criminalità organizzata, anche di stampo mafioso – si legge nella relazione della commissione d’accesso che ha portato allo scioglimento – Quindi, la presenza di numerosi legami societari e affaristici sussistenti tra famigliari di esponenti dell’Amministrazione comunale e soggetti della criminalità organizzata, anche di stampo mafioso. Inoltre, la presenza di ulteriori cointeressenze, tanto dirette, che mediate con importanti personalità dell’imprenditoria locale. Infine, l’inopportunità di alcuni rapporti lavorativi in essere e l’attribuzione di determinati incarichi, che certificano, in taluni casi, la comunione di interessi economici tra amministratori locali e imprenditori aggiudicatari di commesse pubbliche e, in altri casi, la propensione al nepotismo».