il viaggio di Brahim Aoussaoui

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4 Novembre 2020

La strage di Nizza, fra separatismo, terrorismo ed immigrazione

Gli attentati di queste settimane, dalla Francia all’Austria, si inseriscono in un contesto globale complesso che non può essere banalizzato con il legame all’esodo degli sbarchi di migranti in Italia.

Procediamo con ordine per ricostruire l’attacco avvenuto a Nizza il 29 ottobre 2020, cercando di far emergere solo i fatti, scevri da ipotesi e illazioni, contestualizzati all’interno di uno scenario geopolitico instabile e precario.

Aouissaoui Brahim, a soli 21 anni, è partito dalla sua città, Sfax, in Tunisia, ed è sbarcato autonomamente a Lampedusa il 20 settembre. E’ stato poi trasferito a Bari il 9 ottobre, a bordo della nave quarantena Rhapsody. In tale data è stato emesso dal Questore del capoluogo pugliese un decreto di respingimento che gli intimava di rientrare entro sette giorni in patria.

Da questo momento si perdono le sue tracce, fino a giovedì mattina, quando riappare a Nizza, nella basilica di Notre-Dame de l’Assomption, luogo in cui ha accoltellato e ucciso tre persone: il custode della chiesa di 55 anni, una donna di 60 anni, che l’aggressore ha tentato di decapitare, e un’altra donna di 44 anni, morta in un ristorante vicino dopo essere stata accoltellata nella chiesa. Brahim è stato poi bloccato e ferito gravemente dalla polizia ed è attualmente ricoverato in prognosi riservata all’ospedale di Nizza.

Contrariamente a quanto riportato da alcuni media, il procuratore nazionale antiterrorismo francese, Jean-François Ricard, ha dichiarato che l’uomo non era noto né alla Polizia né all’Intelligence transalpina, e non era stato segnalato dalle autorità tunisine.

Quando è stato ferito, Brahim aveva con sé un documento della Croce Rossa italiana, una copia del Corano e un coltello usato per l’aggressione con una lama di 17 centimetri. Altri due coltelli non utilizzati sono stati ritrovati nella basilica.

Urlava: “Allah Akbar”, il giovane attentatore, mentre compiva la sua mattanza, in un giorno importante per le comunità musulmane di tutto il mondo che, proprio il 29 ottobre, si preparavano a festeggiare il “Mawlid”, l’anniversario della nascita di Maometto. Il Presidente del Consiglio Francese per il Culto Musulmano (CFCM), Mohammed Moussaoui, ha condannato fermamente il folle gesto e in segno di lutto e solidarietà con le vittime e i loro cari, ha chiesto ai musulmani di Francia di annullare tutti i festeggiamenti.

Ad oggi gli investigatori stanno indagando per ricostruire i contatti e gli spostamenti che hanno consentito al giovane di attraversare indisturbato la frontiera Italia/Francia.

Tre fermi in due giorni sono seguiti alle prime indagini: tre uomini di 33, 31 e 47 anni sono stati arrestati dalla polizia con l’accusa di aver aiutato Brahim nella giornata precedente l’attentato.

Anche la Procura di Palermo ha aperto un fascicolo ad Alcamo, nel trapanese, dove sono state eseguite perquisizioni alla ricerca di tracce del passaggio di Brahim.

Nel mirino degli investigatori sono finiti alcuni negozianti, tra cui un venditore di kebab, della zona da lui frequentata. Sembra infatti che il giovane tunisino sia tornato in Sicilia, nonostante il foglio di via ricevuto a Bari, alloggiando per almeno dodici giorni ad Alcamo da un amico. Quest’ultimo, ascoltato lungamente dagli uomini del Dipartimento Antiterrorismo, non è al momento in stato di fermo, ma è certo che il giovane sia partito da Alcamo il 26 di ottobre per raggiungere il giorno dopo la Costa Azzurra.

Anche in Tunisia si sono aperte le indagini per ricostruire i collegamenti tra l’attentatore e il sedicente gruppo estremista Ansar al-Mahdi, che ha rivendicato l’attacco, e che opererebbe nel sud del Paese nord-africano.

Due uomini sono finiti in manette, fra cui Walid Saidi che, in un video, ha proclamato la responsabilità dell’organizzazione. Intanto la radio tunisina Shems Fm ha reso nota la partecipazione di Brahim – nel 2012 e nel 2013 – ai raduni di Ansar al-Sharia, già inserita nella lista delle organizzazioni terroristiche dall’Onu e dagli Usa.

 

 

Quasi contemporaneamente all’attacco di Nizza, un uomo armato ad Avignone è stato ucciso dai poliziotti dopo aver tentato di aggredire delle persone per la strada; mentre in Arabia Saudita, all’ambasciata francese a Riyadh,  una guardia giurata fuori dall’edificio è stata aggredita da un uomo con un coltello, subito dopo arrestato dalle forze di sicurezza saudite.

Negli ultimi giorni in diversi paesi islamici ci sono state diverse manifestazioni e proteste contro il presidente francese Emmanuel Macron che, dopo l’uccisione di Samuel Paty, l’insegnante di scuola media decapitato il 16 ottobre nella periferia nord di Parigi, aveva annunciato un nuovo disegno di legge con misure dure contro il così detto «separatismo», termine usato da qualche tempo per indicare il fatto che molti membri della comunità musulmana vivrebbero in una «società parallela», incline alla radicalizzazione, al fondamentalismo islamico e contraria ai valori della Repubblica francese.

Ed ora veniamo alle polemiche di casa nostra rispetto all’attentato ed ai suggestivi rimbalzi di responsabilità.

Collegare quanto accaduto ai migranti in fuga attraverso il Mediterraneo è l’ennesima manifestazione di una interminabile sequenza di visioni mediatiche che hanno il potere di deviare l’attenzione pubblica dai “vuoti” del nostro sistema di accoglienza.

 

Infatti, come da prassi consolidata anche durante i precedenti mandati al Viminale, Brahim Aoussaoui non poteva essere trattenuto in un Centro per i Rimpatri (CPR), perché non segnalato da alcuna autorità e quindi considerato, al momento della identificazione, soggetto non pericoloso.

In suddetti centri vengono condotti, in primis, coloro che hanno precedenti penali, ritenuti pericolosi e per i quali si concretizza il pericolo di fuga. A tutti gli altri viene rilasciato, semplicemente, un Decreto di Espulsione con assegnato un termine entro il quale lasciare il territorio italiano.

L’ultimo accordo tra Roma e Tunisi garantisce due voli a settimana con 40 persone da rimpatriare per volta, per un totale di circa 320 rimpatri al mese che, senz’altro agevola l’espulsione degli irregolari, ma non basta.

Da Alfano a Minniti, da Salvini a Lamorgese, in tema di procedure di rimpatrio dunque non si evincono grandi migliorie, anzi, i Decreti Sicurezza hanno prodotto solo maggiore instabilità: oltre 20mila persone, prima all’interno di un sistema di accoglienza, sono ora fantasmi in libera circolazione sul territorio nazionale e i porti chiusi con le navi delle ONG bloccate, non hanno fermato gli sbarchi autonomi sulle nostre coste.

Questi atti terroristici non sono e non saranno certo risolvibili né con forme di controllo stringenti sui confini nazionali, né criminalizzando l’operato svolto dalle flotte civili delle ONG.

Occorrerà invece, prima o poi, colmare le lacune prodotte negli anni della gestione dei flussi migratori con l’apertura di canali d’accesso legali (chiusi da quasi 10 anni) e che differenzino la figura del profugo da quella di migrante economico.