In Polonia la filologia batte il potere

di

27 Gennaio 2022

Lo scrittore e giornalista Jakub Żulczyk vince il primo confronto in tribunale per aver dato del deficiente al presidente della Repubblica Andrzej Duda

Si è appena concluso in Polonia il primo atto di uno dei processi seguiti con maggiore interesse dalla stampa locale, e non soltanto, degli ultimi anni. Il verdetto ha prosciolto da ogni accusa lo scrittore e giornalista Jakub Żulczyk, citato in giudizio per aver apostrofato con il termine debil (deficiente, idiota, proveniente dal latino debilis per il tramite del tedesco) il presidente della Repubblica Andrzej Duda su Facebook.

Le ragioni di tanta attenzione, che hanno portato persino la BBC e The Guardian a occuparsi più volte dell’iter processuale, vanno ricercate su più fronti: c’è anzitutto una motivazione politica, laddove lo scontro incarna la contrapposizione tra governo e opposizione, ma c’è anche la riproposizione della storica diatriba tra potere e cultura, che raramente amano sedersi allo stesso tavolo.

Ebbene, in questo caso, dopo una lunga serie di episodi in cui il governo ha potuto liberamente esercitare forti pressioni sull’ambiente, il mondo degli intellettuali si è schierato al fianco di Żulczyk garantendogli un aiuto concreto e spingendolo verso un verdetto di innocenza.

Jakub Żulczyk, classe 1983, è un autore e giornalista piuttosto noto in Polonia. Ha scritto su riviste importanti come Tygodnik Powszechny e Wprost; ha condotto sul canale televisivo nazionale TVP2 il programma Redakcja kultury (Redazione culturale); il suo libro Ślepnąc od świateł (Accecato dalle luci, 2014) è stato in lizza per uno dei premi letterari più prestigiosi nel Paese, il Paszport Polityki, e da questo testo è stata tratta una serie per HBO.

Tutto ha inizio con la vittoria elettorale di Joe Biden, in seguito alla quale il presidente Duda twitta: “Congratulations to Joe Biden for a successful presidential campaign. As we await the nomination by the Electoral College, Poland is determined to upkeep high-level and high-quality PL-US strategic partnership for an even stronger alliance”.

Żulczyk contesta quanto scritto da Duda, premettendo: “Sono ricercatore di americanistica all’Università Jagellonica di Cracovia. In realtà, oggi la politica americana e le questioni legate a tale Paese rappresentano per me soltanto un hobby; tuttavia, non ho mai sentito che – all’interno del processo elettorale americano – esistesse qualcosa come l’Electoral College”. Quindi, arriva l’affondo: “Il presidente-eletto degli Stati Uniti viene annunciato dalle agenzia di stampa: non esiste alcuna istituzione nazionale federale, né alcun ufficio cui spetti le gestione di tale comunicato.[…] Joe Biden è il 46° presidente degli Stati Uniti; Andrzej Duda è un idiota”.

All’inizio del marzo 2021 Żulczyk viene dunque accusato dalla procura di aver contravvenuto all’articolo 135, comma 2 del Codice penale: “Chi insulti pubblicamente il Presidente della Repubblica di Polonia potrà subire una pena detentiva fino a tre anni”, scatenando il dibattito intorno al concetto di libertà di espressione.

In tema di offese pubbliche la Polonia prevede addirittura nove articoli di legge differenti, incluso quello per chi insulti i simboli dello Stato, la bandiera nazionale o quella degli altri paesi.

Per ognuno di essi, al termine del processo può profilarsi anche il carcere. In un documento pubblicato nel 2017 dall’OSCE dedicato allo studio delle leggi su diffamazione e insulto in 57 paesi differenti, la Polonia è risultata quella con il numero – congiuntamente – più elevato.

Prima e dopo l’esplosione del caso-Żulczyk, come detto, risultano una serie di episodi in cui il governo – di cui Duda è diretta emanazione – aveva allungato la propria ombra sul campo dell’arte e della cultura. Michał Rusinek, filologo e letterato coinvolto da Żulczyk per testimoniare durante il processo, racconta ad esempio: “In Polonia il potere occupa le istituzioni culturali e le riempie di persone vicine al proprio sentire, non necessariamente competenti. Limita o sospende i sussidi alle imprese culturali indipendenti e agli autori critici nei confronti del governo. Cerca anche di censurare gli eventi culturali: ad esempio, il sovrintendente scolastico della regione della Piccola Polonia ha vietato ai dirigenti delle scuole di portare gli studenti a teatro per un determinato spettacolo (Dziady di Adam Mickiewicz al Teatro Słowacki di Cracovia), in quanto impegnato politicamente e critico nei confronti di cosa sta accadendo attualmente nel Paese. In effetti, la decisione della Corte nel caso-Żulczyk dimostra che i tribunali restano ancora indipendenti dal potere; tuttavia, proprio per questo essi si trovano attualmente sotto il pesante attacco delle autorità”.

Il caso citato da Rusinek della censura ai danni di Dziady è, effettivamente, il più recente di una lunga lista. Altrettanto inquietante fu l’episodio nato intorno alla canzone di Kazik, Twój ból jest lepszy niż mój (Il tuo dolore è migliore del mio), che nel maggio 2020 venne censurata dal Terzo canale della Radio nazionale.

Subito dopo l’annuncio che il brano di Kazik si trovava al primo posto della classifica votata dagli ascoltatori stessi, all’interno del programma Lista przebojów (Lista dei successi), l’elenco delle canzoni scomparve. “Gentili ascoltatori, durante la votazione elettronica della nostra classifica, il 15 maggio 2020, il regolamento è stato infranto ed è stato introdotto nella votazione un brano non inserito in lista.

Inoltre, ci siamo accorti che il numero di voti espressi per le singole canzoni è stato manipolato, il che ha distorto il risultato finale. Pertanto, la redazione ha deciso di annullare questo voto”, dichiarava Tomasz Kowalczewski, all’epoca direttore del canale radio; mentre Marek Niedźwiedzki, storico presentatore di Lista przebojów per più di 35 anni, dal canto suo rassegnava le dimissioni.

Il brano di Kazik era un’aspra critica nei confronti di Jarosław Kaczyński, capo del partito di governo PiS (Diritto e giustizia), che – malgrado le restrizioni legate alla pandemia lo impedissero – di recente era andato al cimitero per far visita alla tomba della propria madre. Da qui il titolo della canzone.

Durante il governo targato PiS si sono registrati anche casi di censura in campo artistico immediatamente rientrati a causa della reazione della popolazione.

Uno dei più famosi è quello del cosiddetto bananagate, dal nome dell’hashtag che caratterizzò la protesta. Nell’aprile del 2019 il direttore del Museo nazionale di Varsavia decise di eliminare dalla collezione esposta i lavori di alcune artiste per preservare la sensibilità di bambini e adolescenti turbati dalla visione delle loro opere. Tra queste c’era anche Consumer art di Natalia LL del 1973.

Consumer art è una serie di filmati in cui le modelle rappresentate mangiano e mordono banane, salsicce, angurie: affatto casualmente, l’hashtag prescelto si richiamava al video in cui la protagonista, nuda, sbuccia e mangia una banana, e poi due assieme.

L’Artista gioca ambiguamente con l’oggetto, simbolo fallico, ma anche di lusso e di scarsa reperibilità nella Polonia degli anni Settanta, per cui l’opera suscita scandalo già a partire dai tempi della sua prima esposizione. La lettura comune è quella della lotta al fallocentrismo e al maschilismo attraverso la sottolineatura dei loro tratti più evidenti, attraverso un’arte che consuma e si fa consumo (non solo di oggetti).

Grazie alla manifestazione convocata proprio attraverso #bananagate, assai più che per merito della lettera aperta firmata da vari artisti, l’esclusione delle opere decisa dalla direzione del Museo dura poco più di una settimana: i partecipanti, che si autoconvocano nei pressi dell’istituzione, portano con sé una banana e la sbucciano al momento opportuno. Ne nasce una performance socialmente impegnata, una forma di artivismo che modifica il destino della lotta cui partecipa.

La peculiarità legata alla questione Żulczyk risiede nel supporto concreto che il mondo della cultura decide di spendere.

Non ci si limita alle lettere di sostegno generico, dunque, ma si conviene di impattare direttamente sul giudizio. A questo scopo viene per l’appunto coinvolto Michał Rusinek, chiamato ad esprimere la propria opinione di filologo e linguista in aula.

Debil è, ovviamente, un termine offensivo. Tuttavia, nel contesto dell’intera affermazione di Żulczyk, il vocabolo rientra nell’ambito dell’opinione, cui tutti dovremmo avere diritto, per quanto tagliente e schietta. In altre parole, se Żulczyk scrivesse su Facebook (o altrove): “Andrzej Duda è un idiota” – la questione sarebbe scontata: si tratterebbe di un insulto. Tuttavia, poiché ha scritto una sorta di articolo, che ha poi concretizzato attraverso questa opinione, la parola idiota dovrebbe, secondo me, essere intesa in maniera specifica, ovvero atta a descrivere un incompetente che non dovrebbe ricoprire la carica più importante dello Stato. Le sue azioni, come ha mostrato Żulczyk, si sono rivelate irresponsabili e dannose per la politica estera polacca”.

Dal canto suo, durante l’ultima seduta in seduta in tribunale Żulczyk retoricamente domandava: “Cosa possiamo fare quando il potere agisce in modo errato, stupidamente, quando mente? Il potere può forse istruirci su come criticarlo? A stare in tribunale per le parole che ho scritto su Facebook mi sento come un suddito, come membro di una popolazione oscura che debba solo adorare il potere, perché il potere esiste per questo. Credo invece che in una società democratica il potere sia lì per noi, per rappresentarci e aiutarci, e abbiamo il diritto, persino il dovere, di reagire quando questa autorità opera contro i nostri interessi, anche a spese del bon ton, del savoir-vivre, di una lingua polacca elegante e delle buone maniere”.

Per quanto l’accusa abbia già annunciato ricorso, e il giudizio non sia dunque definitivo, il tribunale distrettuale di Varsavia ha accolto le obiezioni di Żulczyk, affermando che nessun reato è stato compiuto e il danno sociale legato alla questione può considerarsi trascurabile.

L’articolo 135 comma 2 non dovrebbe escludere il diritto di formulare valutazioni critiche, anche molto dure, purché al servizio del dibattito pubblico” – ha sottolineato il giudice Tomasz Grochowicz. “La mera tutela dell’onore del Presidente non è una giustificazione sufficiente per ritenere una persona penalmente responsabile anche quando una dichiarazione ingiuriosa vada al di là di determinati standard, ma con lo scopo di valutare il modo in cui il Presidente svolge i propri compiti pubblici”.

Lo scrittore polacco Jakub Żulczyk