La Csi agli Europei 1992

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10 Dicembre 2021

Storia di una nazionale senza nazione

Il 13 novembre 1991 l’Unione Sovietica batte 3-0 Cipro a Larnaca e si qualifica per la fase finale degli Europei del 1992, in Svezia. Il girone non è stato affatto facile e la nazionale in maglia rossa adesso sopravanza l’Italia e la Norvegia. La nazionale di Mosca è un’ottima squadra.

Nonostante abbia faticato al Mondiale di due anni prima, è vice-campione d’Europa in carica e campione olimpico e continentale Under 21. Tutti si aspettano una partecipazione da protagonista a Euro 92 . L’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, però, cessò di esistere il 25 dicembre 1991.

In poco tempo molti aspetti della vita quotidiana dei suoi cittadini mutarono. Si era di fronte all’inizio di una nuova epoca e anche il calcio fu travolto dal cambiamento.

Nei primi giorni di gennaio 1992 la Mosca del pallone era nel caos: c’erano due federazioni, due presidenti, due commissari tecnici e due proposte di campionato. Ma la partecipazione all’Europeo svedese non sembrava essere in pericolo. L’ex presidente della Federazione sovietica Vyacheslav Koloskov, ora in carica in quella russa, rassicurò:

“Abbiamo già ricevuto l’invito ufficiale per il sorteggio del 16 gennaio a Göteborg. La nostra squadra sarà formata dalla selezione dei migliori giocatori dei club di tutta la Comunità degli Stati Indipendenti. In Svezia ci saremo”.

Sembrava una rapida soluzione a un problema piuttosto ingombrante, ma non fu proprio così.
Infatti, in quei giorni la figura di Koloskov non era riconosciuta e accettata da tutti. L’ex nazionale sovietico Anzor Kavazashvili aveva fondato una federazione russa parallela su base nazionale, raccogliendo l’appoggio delle squadre russe ad eccezione di quelle di Mosca e Pietroburgo.

Aveva anche nominato un suo ct, l’ex calciatore della Torpedo Mosca Valentin Ivanov, e promesso la partenza di un campionato solo nazionale, in alternativa a quello unificato promosso da Koloskov.

Nel frattempo soltanto undici delle quindici repubbliche avevano sposato il progetto unitario: Lituania, Lettonia ed Estonia se n’erano già andate, così come la Georgia, e l’Ucraina stava creando la propria federazione.

Tuttavia Koloskov aveva il suo asso nella manica. Era lui la figura riconosciuta dalla Uefa. Probabilmente fu proprio questa la carta vincente che fece rimandare di qualche tempo la decisione di indipendenza calcistica dei singoli stati e propendere per una soluzione unitaria, per quanto transitoria.

In modo sicuramente molto simbolico, la prima partita della neonata nazionale venne disputata a Miami il 25 gennaio contro gli Stati Uniti d’America, l’antico nemico. Nonostante tutti i cambiamenti in corso la Csi si presentò con la bandiera dell’Unione Sovietica e fece risuonare il vecchio inno.

Non c’era stato tempo per pensare a un’alternativa. La partita finì 1-0 per gli ospiti grazie a una rete di Akhrik Tsveiba, mentre gli americani sbagliarono un rigore causato da Kakha Skharadze.

Erano entrambi georgiani (il primo nato in Abcasia), nonostante Tbilisi non facesse parte della Csi. Insomma c’era grande confusione sotto il cielo. La tournée americana continuò con una partita in El Salvador e poi nuovamente contro gli Usa, che stavolta vinsero la loro storica prima affermazione contro le genti di Mosca. Poi si andò in Israele per onorare la 400esima partita dell’Unione Sovietica. I due piani continuavano a sovrapporsi.

I risultati però non stavano arrivando e la nazionale che affrontò Spagna, Inghilterra e Danimarca, vinse solo contro i tedeschi dello Schalke 04. Ad aggiungere ulteriore complessità ci fu un nuovo viaggio oltreoceano per affrontare la rappresentativa messicana. Stavolta però la rosa era formata unicamente da calciatori russi: non c’erano né ucraini, né georgiani, tanto che qualcuno considerò quell’incontro la prima partita della nuova nazionale russa. Ma Mosca non era l’unica a muoversi.

Georgia e Lituania si erano già affrontate e di lì a poco anche l’Ucraina avrebbe disputato la sua prima partita, giocando in contemporanea alla Csi: un modo evidente per non riconoscere il nuovo soggetto.

La Csi arrivò in Svezia sorteggiata in un girone con Germania (per la prima volta unita) e Olanda, rispettivamente campioni del Mondo e d’Europa. Quarto incomodo, la Scozia. La grandiosità sovietica venne spazzata via in un istante. Niente bandiera rossa adornata con falce e martello, ma un anonimo vessillo bianco con la scritta in blu: CIS.

Quando partirono gli inni la sorpresa fu ancora più grande. Nessuna “unione indivisibile di repubbliche libere unite per sempre”, ma la Nona Sinfonia di Beethoven.

Tuttavia in campo le prestazioni non furono poi così male. Contro la Germania la partita finì 1-1, con i tedeschi che recuperarono solo nei minuti finali, mentre con l’Olanda fu uno 0-0, nonostante un netto predominio arancione. La partita con la Scozia divenne decisiva. Bisognava vincere e con due gol di scarto.

Dopo sedici minuti gli avversari erano in vantaggio per 2-0. La squadra ex-sovietica apparve svogliata e impotente. La classifica finale fu impietosa: solo due punti e differenza reti di -3. Quella con la Scozia fu l’ultima partita della Csi, la nazionale senza nazione, che visse dal 25 gennaio 1991, partita contro gli Usa, al 18 giugno 1992, ultima gara dell’Europeo.

Dopo quell’incontro la Fifa nominò la Russia come naturale prosecuzione dell’Unione Sovietica. In questo modo Mosca poté partecipare alle qualificazioni per il Mondiale di Usa 94, mentre le altre nazionali, ad eccezione delle baltiche, dovettero aspettare Euro 96 per scendere ufficialmente in campo.

C’è una sorta di bonus track nella storia calcistica della Csi. Dopo lo scioglimento della rappresentativa, ai calciatori venne chiesto di decidere per quale nazionale giocare: alcuni di loro scelsero la Russia a prescindere dal fatto che fossero ucraini o georgiani. Questo perché la nazionale erede dell’Unione Sovietica offriva molte più prospettive sia sportive che pecuniarie. Con questa rosa “rinforzata” la Russia si qualificò facilmente a Usa 94, ma perse l’ultima partita del girone
contro la Grecia. Negli spogliatoi scoppiò il caos.

Koloskov, ancora lui, accusò i giocatori di scarso attaccamento e disegnò un piano chiarissimo. I calciatori non si erano impegnati perché la Federazione aveva firmato un contratto per le maglie con la Reebok e non aveva previsto un rimborso per quegli atleti che avevano già in essere rapporti di sponsorizzazione con altri marchi sportivi.

Ci fu un vero e proprio ammutinamento. Quattordici giocatori firmarono una lettera in cui chiedevano la rimozione dell’allenatore Pavel Sadyrin e il ritorno dell’ex ct Byshovets, la rivalutazione dei bonus per la qualificazione alla fase finale e un miglioramento immediato dal punto di vista logistico-organizzativo.

L’aspetto economico della rivolta fu chiaro a tutti fin da subito. Firmarono: Dobrovolski, Ivanov, Kanchelskis, Karpin, Khlestov, Kiriakov, Kolivanov, Kulkov, Mostovoi, Nikiforov, Onopko, Salenko, Shalimov e Yuran. Mentre si rifiutarono di
prendere parte alla rivolta Cherchesov, Galjamin, Kharin, Popov e Radchenko. La Federazione fu irremovibile, la Fifa minacciò di chiamare l’Australia al posto dei russi. Alla fine solo in sette mantennero fede a quanto firmato e non ritrattarono, mentre altri cedettero, come il futuro capocannoniere del Mondiale Oleg Salenko.

In queste condizioni, a causa di una questione di soldi e sponsor, la Russia si presentò in America indebolita e uscì mestamente al primo turno. Erano davvero lontani i tempi in cui Lev Yashin, il più forte portiere del mondo nonché l’unico a vincere il Pallone d’Oro, dichiarava: “Non ho mai voluto due cose: soldi e vivere fuori Unione Sovietica”.