Nicaragua, Covid-19 e scuola, la spia di un disagio

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3 Luglio 2020

Reticenze, stime opache:. cresce la preoccupazione per lo stato centro americano

Paulette, direttrice della scuola di lingue La Mariposa, a San Juan, una località a due ore da Managua, in una comunicazione ai propri studenti via Skype, ha annunciato che le lezioni online, anche se a malincuore, sono sospese. La maggior parte delle persone sta adottando rigide misure volontarie per cercare di controllare la diffusione del Covid-19 e spera che possa essere una misura efficace.

E aggiunge: “Una settimana fa un ottimo amico, Manuel, è morto per il virus. Era il direttore di una scuola elementare di El Rodeo, un barrio di San Juan e il membro più attivo del consiglio di amministrazione della nostra ONG, As Tierra. Ha sempre avuto un interesse particolare per Chispa de Vida (il nostro progetto per bambini disabili) e ogni anno organizzava un evento sportivo per bambini e giovani disabili. Anche Guillermina, mia figlia con difficoltà di apprendimento, lo conosceva bene. Gli mancavano solo pochi anni alla pensione. Abbiamo anche lavorato parecchio con lui nella sua scuola, ad esempio sistemando il serbatoio dell’acqua in modo che i bambini avessero un po’ d’acqua di tanto in tanto. Non posso esprimere quanto sia triste. Anche una delle nostre insegnanti, Rosa, si è messa in quarantena volontaria poiché ha il virus anche se si sente abbastanza bene. Anche il padre di Ismael, il mio vicino, ce l’ha (lo sappiamo perché una delle sue nipoti è un’infermiera in un ospedale di Managua e ha rubato il test).
Quindi, tutto considerato, ho deciso con riluttanza di chiudere la scuola Mariposa e tutti i progetti il ​​più possibile fino alla fine di giugno, quando esamineremo la situazione”.

Dopo giorni di silenzio, a fine maggio, il ministero della salute nicaraguense ha annunciato che il numero dei casi confermati di Covid-19, in Nicaragua, era passato da 25 a 279 in una sola settimana – ha scritto Confidencial, giornale indipendente.

Ma i numeri dei morti e dei contagiati sono sicuramente molto più alti di quelli ufficiali. E sono il frutto anche dell’irresponsabilità dimostrata dal presidente Ortega e dalla vicepresidente, nonché sua consorte, Rosario Murillo, di fronte alla pandemia; così, a due anni dalla ribellione civica dell’aprile 2018, alla crisi politica ed economica provocate dal regime, si aggiunge ora un’emergenza sanitaria.

La rivista Envìo, un mensile di analisi sul Nicaragua e il Centroamerica, ha fatto il punto della situazione degli ultimi mesi (ringraziamo per la traduzione Marco Cantarelli della onlus ANS-XXI).

In maggio, la prestigiosa rivista medica britannica The Lancet ha pubblicato un articolo sulla situazione sanitaria in Nicaragua, che cominciava con queste parole: «La risposta del governo nicaraguense alla pandemia è stata, ad oggi, forse la più irregolare fra tutti i Paesi del mondo».

L’insensibilità e l’ermetismo con cui la dittatura affronta la crisi sanitaria comportano nuove e logoranti incertezze e sofferenze, che si aggiungono a quelle che gran parte della popolazione sopporta a causa della risposta criminale del governo alla ribellione civica di due anni fa.

Ortega e Murillo, con l’arroganza di chi detiene il potere assoluto, continuano a reprimere quanti si sono ribellati nell’Aprile 2018, che sono ormai maggioranza sociale, mentre il loro atteggiamento nei confronti della pandemia resta di negazione e negligenza criminale.

“Siamo ancora in tempo per cambiare rotta”

Ortega e Murillo hanno abbondantemente dimostrato di voler restare a tutti i costi al potere. A colpi di repressione e ripetutamente nei loro discorsi hanno fatto capire di non essere disposti a rischiare il loro potere, pur di risolvere la crisi politica scoppiata nell’Aprile 2018. Oggi, dimostrano di non essere nemmeno disposti a rettificare il loro erratico comportamento di fronte alla pandemia.

La dittatura non solo non ha sospeso le lezioni nelle scuole pubbliche, ma al contrario ha organizzato centinaia di eventi festivi in occasione della Settimana Santa – tutti affollati di gente – ed inviato brigate sanitarie e attivisti politici nei quartieri e contrade di tutto il Paese per dare consigli su come affrontare l’epidemia; paradossalmente, questi inviati erano privi di alcuna protezione contro il virus, rischiando così di diventarne vettori loro malgrado.

In quel contesto, l’Istituto Centroamericano di Amministrazione di Impresa (INCAE), think tank del grande capitale a livello regionale, ha presentato al governo e al Paese uno studio tecnico sul grave impatto che la pandemia potrebbe provocare su una popolazione stimata in circa 6,5 milioni di persone «qualora si continuasse nel solco avviato».

Per ribadire che si sarebbe ancora in tempo per «prendere misure per mitigare tale impatto»: «È necessaria un’azione immediata, con la partecipazione di tutti. Solo in questo modo saremo in grado di contenere la diffusione del contagio», hanno dichiarato il presidente e il rettore dell’INCAE.

Una grande alleanza nazionale

Lo studio INCAE elenca le misure raccomandate e adottate in altri Paesi: distanziamento sociale, vari livelli di quarantena, test di massa per conoscere il comportamento e la progressione dell’epidemia, protezione sanitaria ed economica per la popolazione a maggior rischio.

Quindi, l’INCAE ha proposto di discutere e valutare l’attuazione di misure simili in Nicaragua per poi, «al momento opportuno» – sulla base di dati accurati –, decidere «una riduzione strategica delle attività produttive e del traffico non essenziale per tre settimane».

Prima dell’INCAE altre voci – l’Unità Medica Nicaraguense, l’Accademia delle Scienze, il Comitato Scientifico Multidisciplinare creato per far fronte all’emergenza globale – avevano già formulato proprie raccomandazioni e proposte. La priorità, per tutti, è decidere quale percorso seguire nel quadro di un vasto consenso nazionale; di una «grande alleanza nazionale» nelle parole dell’INCAE.

Consenso nazionale, no “tregua”

Poche ore dopo la pubblicazione dello studio dell’INCAE, la rappresentanza del settore privato – il Consiglio Superiore dell’Impresa Privata (COSEP), la Camera di Commercio Americana in Nicaragua (AMCHAM) e la Fondazione Nicaraguense per lo Sviluppo Economico e Sociale (FUNIDES) – ha rivolto un appello per uno «sforzo unificato» di tutti i settori nazionali, mettendo da parte le differenze.

Secondo alcuni media e osservatori, tale appello si traduceva nella proposta di una “tregua” politica.

Respinta immediatamente, però, dai leader sociali e della Coalizione Nazionale dell’opposizione, per i quali l’attuale congiuntura di emergenza sanitaria non è il momento adatto per avanzare tale proposta: «Non può esserci tregua per i diritti umani», ha rincarato il Centro Nicaraguense per i Diritti Umani (CENIDH). «Concedere una tregua in questo momento non è corretto; ciò di cui il Paese ha bisogno è un consenso nazionale sulle politiche pubbliche per affrontare la pandemia», ha aggiunto José Pallais di Alleanza Civica.

Tuttavia, dato il peso politico dei promotori dell’iniziativa ad un certo punto è sembrato che la proposta dell’INCAE potesse aprire un nuovo spazio di “dialogo” con il governo. In altri termini, è parso che gli imprenditori stessero offrendo al regime l’ennesima opportunità di rettificare il suo corso “erratico di fronte alla pandemia”.

Uccelli del malaugurio

Pare che l’iniziativa dell’INCAE fosse riuscita a riavvicinare i rappresentanti della grande impresa privata e la coppia al potere. Tuttavia, la vicepresidente Murillo avrebbe condizionato qualsiasi dialogo alla richiesta pubblica di “perdono” da parte delle imprese per aver partecipato al presunto “colpo di Stato” dell’Aprile 2018, nonché ad una loro pressione su Washington perché gli USA revochino le sanzioni ai danni del regime. Solo voci?

Quasi simultaneamente, l’Assemblea Nazionale (il parlamento monocamerale, ndr) convocava i deputati a tre sessioni straordinarie a tenersi dal 31 Marzo al 2 Aprile, alimentando così le aspettative di un annuncio dell’Esecutivo, il cui controllo sul Legislativo è ferreo.

L’annuncio non è, però, arrivato. La prima riunione è stata sospesa a causa di guasti tecnici. La seconda per la malattia di tre suoi membri. Nella terza, il presidente della Camera, Gustavo Porras, ha pronunciato un aggressivo discorso che ha deluso coloro che si aspettavano qualche segnale di apertura.

Porras ha definito «uccelli del malaugurio» quanti chiedevano la chiusura delle frontiere.

Aggiungendo che se venisse imposta la quarantena, la gente «per sua natura» si comporterebbe al contrario, sostenendo che i Paesi che l’hanno fatto non tengono conto del «comportamento umano».

Del resto, secondo Porras, i casi di COVID-19 in Nicaragua erano «sporadici», il Paese si trovava ancora nella prima fase dell’epidemia ed era, quindi, più che sufficiente «lavarsi le mani». Neanche un accenno alla possibilità di emanare misure economiche di mitigazione del danno destinate alla maggioranza della popolazione, che sopravvive di lavori informali.

Basti pensare che, pochi giorni prima, il deputato del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN), presidente della commissione economica dell’Assemblea, Wálmaro Gutiérrez, aveva chiesto di spegnere il microfono a qualsiasi deputato del Partito Liberale Costituzionalista (PLC) che intendesse parlare della pandemia, bollando come «sorprendente opportunismo politico» e «follia» le proposte di alcuni deputati liberali favorevoli ad aiuti economici per alleviare la crisi della popolazione che lavora nel settore informale delle piccole imprese.

L’emergenza non sarà mai dichiarata

Il 2 Aprile, lo stesso Porras annunciava anche che in Nicaragua, da quando era stata dichiarata la pandemia, erano entrati 16 mila nicaraguensi provenienti da altri Paesi, i quali erano tutti tenuti «sotto vigilanza». Fino ad allora, i brevi e confusi bollettini quotidiani del Ministero della Salute (MINSA) avevano parlato, al più, di una dozzina di persone sotto sorveglianza. «Se le cose stanno così, non sapendo che tipo di vigilanza si applichi, è spaventoso il numero di persone che potrebbero diffondere il virus», ha commentato lo pneumologo Jorge Iván Miranda.

Ancora maggiore stupore hanno causato, due settimane dopo, le parole della ministra della Salute, secondo cui 36 mila persone che erano arrivate dall’estero e si trovavano «al sicuro nelle loro case». Senza usare la parola vietata “quarantena”, la ministra ha spiegato che il periodo cautelativo dura 21 giorni, pur senza spiegare chi assicuri il rispetto di tale misura, quali test siano stati fatti a tali persone e quali siano i risultati degli stessi.

Al termine della sessione dell’Assemblea Nazionale, il deputato e nuovo “portavoce” del regime Wilfredo Navarro ha precisato che «in Nicaragua non sarà dichiarato lo stato di emergenza».
Quel giorno, il regime ha perso l’ennesima opportunità di cambiare rotta, di rettificare, di imprimere, con misure simili a quelle prese nel resto del mondo, una svolta rispetto all’isolamento internazionale in cui versa. Ma, ancora una volta ha prevalso la negazione della realtà, l’ossessione per il potere e la volontà di accreditare una “normalità” recuperata dopo il “fallito colpo di Stato” dell’Aprile 2018.

Una quarantena autoconvocata

In passato, la Settimana Santa ha sempre rappresentato un’occasione speciale per incrementare il turismo; e, si sa, le vacanze sono un’importante fonte di ossigeno per un’economia giunta ormai al secondo anno consecutivo di recessione. Tuttavia, questo 2020 è stato un’eccezione storica. Il turismo internazionale, che nel 2017 aveva lasciato al Paese 840 milioni di dollari, si era già notevolmente ridotto nel clima repressivo seguito alla rivolta dell’Aprile 2018. Nel 2019, il settore si era un po’ risollevato, soprattutto grazie al turismo nazionale. Che, però, nel 2020 ha brillato per la sua assenza.

In questo contesto, gran parte della popolazione, informata della critica situazione internazionale causata dalla pandemia e istruita attraverso i media indipendenti da medici ed esperti nazionali, non ha creduto alla normalità che il governo propagandava e ha deciso di rimanere a casa, in una sorta di quarantena autoconvocata.

Sebbene a Managua e Masaya il regime avesse messo a disposizione gratuitamente mezzi di trasporto e, persino, offerto del cibo per la gita, le spiagge del Pacifico, negli anni passati affollate, quest’anno sono rimaste vuote. Mentre gran parte degli eventi organizzati dal regime in quei giorni – concorsi di “miss estate” e gastronomia, spettacoli musicali, gare, festival e sagre – non hanno registrato il “tutto esaurito” che l’Istituto del Turismo si aspettava, anche se gli assembramenti che si sono verificati hanno certamente aumentato il rischio di contagi.

Disobbedienza civile

Le chiese evangeliche hanno proposto i loro culti tramite i social network per evitare raduni di persone. I vescovi cattolici, seguendo le indicazioni di papa Francesco, hanno fatto lo stesso con le messe e hanno sospeso processioni molto popolari e attese in quel periodo dell’anno. Questo il quadro in quasi tutto il Paese, tranne che a León e Chinandega (a Nord-Ovest della capitale, ndr), dove si sono svolte viacrucis e processioni tradizionali, alcune assai partecipate. «Nella chiesa, ci sono sempre stati sacerdoti disobbedienti», ha commentato il sacerdote Carlos Avilés, vicario dell’arcidiocesi di Managua, sottolineando come il comportamento di tali preti faccia il gioco del governo impegnato nel proiettare una immagine di normalità nel Paese.

Comunque sia, ai primi di Aprile, un “rapporto sulla mobilità comunitaria”, realizzato da­ ­Google per verificare come la popolazione centroamericana stesse rispondendo all’invito di “restare a casa”, riportava che in Nicaragua il 45% della popolazione adottava tale misura cautelativa. È significativo che in quelle date, nel resto dei Paesi dell’America Centrale la quarantena fosse già obbligatoria, mentre in Nicaragua non era nemmeno presa in considerazione dal regime. In altre parole, quel 45% di nicaraguensi in quarantena lo era su base volontaria.

Ha preso così il via un movimento di disobbedienza civile, di rifiuto della propaganda del regime, in crisi di legittimità crescente: “ormai, non gli crede più nessuno”, è il commento di molta gente.
Nella Settimana Santa, si è imposta, piuttosto, la saggezza popolare. Anche se, in seguito, il distanziamento si è allentato, dal momento che la maggioranza sociale che non crede al governo è fatta anche di persone che non possono stare a casa senza fare qualcosa per guadagnarsi il pane quotidiano.

Finalmente, parla la OPS

Il 7 Aprile, già iniziata la Settimana Santa, rispondendo alla domanda di una giornalista nicaraguense durante una conferenza stampa virtuale, la direttrice dell’Organizzazione Panamericana della Salute (OPS), Carissa Etienne, ha criticato la rischiosa indolenza del governo nicaraguense davanti alla pandemia. Fino ad allora, la OPS sembrava “guardare da un’altra parte”, atteggiamento per il quale era giustamente criticata in Nicaragua.

Del resto, la stessa Etienne era rimasta in silenzio quando gli ospedali nicaraguensi, su ordine del Ministero della Salute, si erano rifiutati di assistere i feriti nelle proteste dell’Aprile 2018. E in tutti i momenti ufficiali, l’OPS da lei diretta dal 2013 si è sempre schierata dalla parte del regime nicaraguense.

In questa congiuntura, secondo quanto dichiarato ad envío dal medico di biologia molecolare nicaraguense Jorge Huete, Etienne «non è intervenuta fino a quando non si è espressa la comunità scientifica internazionale. Due giorni prima, infatti, la rivista The Lancet aveva messo in guardia su quanto accadeva in Nicaragua. E già prima di allora, come Accademia delle Scienze del Nicaragua avevamo inviato un messaggio alle accademie della scienza del mondo spiegando cosa stesse succedendo qui. Tutte queste informazioni sono state prese molto sul serio dall’OPS e dall’OMS», l’Organizzazione Mondiale della Salute.

Su quale scenario scommette Ortega?

Per quale motivo il regime ignora tutte ­le misure preventive e suscita le preoccupazioni dell’OPS, cui, per inciso, a Managua nessun funzionario ha risposto? Perché il governo non fornisce dati reali e precisi? Perché si comporta così, rischiando di causare decine di migliaia di contagiati e centinaia di morti?

Secondo un rapporto elaborato dal MINSA, che doveva essere consegnato all’OPS, diventato pubblico solo perché qualcuno del MINSA lo ha filtrato alla rivista Confidencial, nei primi sei mesi di epidemia i decessi previsti sarebbero 813. Per il citato Jorge Huete, tale stima è conservatrice.

Altre proiezioni sono assai più drammatiche: secondo uno studio della Facoltà di Medicina dell’Imperial College di Londra pubblicata il 26 Marzo, se in Nicaragua non si applicheranno misure di prevenzione e distanziamento sociale, in un anno il 91% della popolazione del Paese, stimata in 6.013.045 persone, sarebbe contagiato; 145.502 persone sperimenterebbero condizioni gravi e dei 32.232 che raggiungerebbero condizioni critiche ne morirebbero 24.304. È questo lo scenario cui il regime punta?

Se così fosse, si spiegherebbe il ricorso massiccio a messaggi del tipo: “il coronavirus è come una qualsiasi influenza”, “il virus è arrivato per rimanere e si deve continuare la vita normale”, “il sistema sanitario è preparato ed è il migliore del mondo in quanto gratuito”, “le vaccinazioni che il governo effettua annualmente difendono anche dal coronavirus”, “la destra golpista vuole che ci siano molti morti per destabilizzare il governo”…

Ortega: il virus “avanza lentamente” in Nicaragua

Dopo un mese e mezzo di assenza, Ortega è riapparso, avrebbe potuto dichiarare, almeno formalmente, lo stato di emergenza in Nicaragua, al fine di ottenere risorse internazionali destinate a fronteggiarla. Avrebbe potuto annunciare la sospensione dell’anno scolastico nelle scuole e università pubbliche, dando così almeno un segnale di precauzione del rischio di contagio. Avrebbe potuto esprimere solidarietà a tante famiglie in crisi economica e annunciare misure per alleviarla… Tuttavia, l’unica cosa che ha detto è che se il Paese non lavora, «si estingue».

Un segnale divino

Con tono quasi ironico Ortega ha, poi, affermato che la pandemia sarebbe un “segno di Dio” che invita a “cambiare rotta”, svicolando però da qualsiasi responsabilità per ciò che accade nel Paese.

Forse, nelle sue intenzioni, anche questo messaggio era diretto all’amministrazione Trump perché sia questa a cambiare rotta, dimenticando le sanzioni e riaprendo quel negoziato sostenuto con Managua per dare un “atterraggio morbido” alla crisi?

Nei fatti, quel dialogo è stato interrotto, non dalla pandemia, ma perché oggi la priorità di Trump è la sua rielezione e il presidente USA sa bene che per raggiungere tale obiettivo deve conquistare i voti della Florida, dove forti e numerose sono le comunità latinoamericane.

Indolenza irresponsabile

La riapparizione in pubblico di Ortega si è così rivelata soltanto una “prova di esistenza in vita”, per tranquillizzare la propria base, in ansia dopo un mese e più di assenza. Per il resto del Paese, per la maggioranza sociale azul y blanco che lo ripudia, è stata un’ulteriore dimostrazione della sua incapacità di guidare il Paese in momenti così critici per l’intero pianeta.

Giorni dopo, le organizzazioni della Coalizione Nazionale hanno chiesto le sue dimissioni e proposto un governo di transizione ed elezioni anticipate. Tutte richieste che suonano retoriche nell’attualità, nate più dalla disperazione che soffoca il Paese che dai rapporti di forza che le sostengono.

Dall’Aprile 2018, la ­coppia di dittatori al potere in Nicaragua ha fornito abbondanti prove di non essere disposta ad accettare negoziati politici seri con i nicaraguensi che la avversano.

Ha sempre sondato quali margini di negoziato vi siano con Washington e ha sempre giocato a “guadagnare tempo”, confidando nella relativamente scarsa importanza geopolitica del Nicaragua, sperando in congiunture più favorevoli e scommettendo sul fatto che nelle fila dell’opposizione prima o poi prevarrà il logoramento e la divisione sulle capacità di resistenza e restare uniti. È in questo contesto di irresponsabile indolenza che va compresa la condotta di Ortega e Murillo di fronte alla pandemia.

Economia e salute: “il peggio deve ancora arrivare”

Ortega e Murillo continueranno ad assegnare priorità all’economia sulla salute. Questo è ciò che ha dato ad intendere Ortega il 15 Aprile. Il COVID-19 è arrivato in Nicaragua dopo due anni consecutivi di recessione economica e quando si sperava che il 2020 portasse un po’ di sollievo all’economia nazionale. C’erano alcuni segnali di miglioramento e tutti gli economisti ed istituzioni internazionali calcolavano una crescita, leggera o più marcata a seconda delle fonti, del Prodotto Interno Lordo.

Oggi, tutti i calcoli fatti prima del coronavirus vanno rivisti alla luce del prevedibile crollo che sperimenterà l’economia del Paese più povero dell’America Latina, nonché uno dei più dipendenti dall’economia internazionale, in particolare dagli Stati Uniti.

Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) prevede per il Nicaragua una caduta del PIL del 6% nel 2020 e crescita zero nel 2021. Secondo economisti nicaraguensi la riduzione potrebbe essere ancora maggiore perché “il peggio deve ancora venire”, sia per quanto riguarda l’economia che la situazione sanitaria, qualora la pandemia si propagasse incontrollata.

Crisi nelle rimesse e nelle zone franche

In questi due anni di crisi economica, la responsabilità della crisi dei diritti umani in cui Ortega e Murillo hanno fatto precipitare il Paese dall’Aprile 2018 rifiutando qualsiasi soluzione politica, le uniche due fonti che hanno continuato a muovere l’economia sono state, da un lato, le rimesse, cresciute in ragione delle migliaia di esuli fuggiti dalla repressione, e, dall’altro, le esportazioni dalle zone franche, che sono persino aumentate, garantendo migliaia di posti di lavoro, salari e previdenza sociale.

Ora, la crisi economica globale che ha contratto la produzione, gli investimenti, il commercio e l’occupazione in tutto il mondo, ha gravemente colpito anche queste due fonti esterne di risorse. La Banca Mondiale stima una riduzione delle rimesse in America Latina e nei Caraibi di quasi il 20%: il Nicaragua dovrebbe sperimentare una caduta analoga.

Il virus sta “bloccando” il Paese

Alla riduzione delle rimesse e alla crisi delle zone franche, bisogna sommare la caduta dei prezzi di zucchero, caffè, carne, frutti di mare, praticamente di tutti i prodotti che il Nicaragua esporta, a causa della contrazione della domanda globale. Inoltre, il forte calo degli investimenti esteri, del turismo e della cooperazione internazionale sperimentato negli ultimi due anni, a seguito della crisi politica; ciò, ovviamente, non aiuterà ad affrontare l’emergenza sanitaria.

Negli ultimi mesi, il regime ha cercato in tutti i modi di impedire uno sciopero generale ad oltranza, che con ogni probabilità affosserebbe del tutto l’economia. Ora, è il virus a causare una sorta di blocco generale nel Paese.

La saggezza dei ceti sociali privilegiati, che hanno optato per l’auto-quarantena e il telelavoro, unita ai riflessi che la crisi pandemica internazionale ha su tutte le catene produttive nicaraguensi, ha fatto sì che il Paese sia entrato in una situazione di semiparalisi che si annuncia di lunga durata e che si sentirà di più quando la situazione peggiorerà.

L’unica boccata di ossigeno per la critica situazione economica è l’insolito crollo del prezzo del petrolio, che potrebbe compensare il calo dei prezzi delle esportazioni.

Difesa dell’economia o logica di potere?

Questo cupo panorama economico spiega il comportamento del regime che si sforza di mantenere a galla un’economia sempre più debole? È per questo motivo che il regime avrebbe optato, senza confessarlo, per la strategia cosiddetta della “immunità di gregge”, rischiando che il sistema sanitario collassi a causa di un contagio di massa? O, forse, la coppia al potere scommette sul fatto che le apparenti ridotte dimensioni del contagio finiscano per risultare credibili, in ragione della demografia del Paese?

Secondo il biologo e antropologo nicaraguense Jorge Jenkins, ex rappresentante dell’OPS in Venezuela, alcuni fattori spiegherebbero la ridotta quantità di contagi in Nicaragua (nei mesi di Marzo e Aprile, dal momento che in Maggio il numero di contagi e vittime da COVID-19 è cresciuto in modo esponenziale e preoccupante, anche se celato dalle fonti ufficiali, ndr): soltanto il 5,12% della popolazione nicaraguense ha più di 65 anni e sappiamo che questa fascia di età è più vulnerabile; la ­densità di popolazione­ in Nicaragua è di circa 50 abitanti per chilometro quadrato, il più basso in America Centrale dopo il Belize; inoltre, il 40% della popolazione vive in zone rurali, in località disperse e, dunque, distanziate; mentre la maggioranza della popolazione urbana vive in spazi orizzontali, consentendo una maggiore distanza tra abitazioni e persone.­

Questi fattori potrebbero aver spinto Ortega e Murillo a sperare in una sorta di “miracolo” in Nicaragua? O, più semplicemente, nella loro, perversa logica di potere, mettono in conto una tragedia umanitaria che trasformi il Nicaragua in un focolaio contagioso per la regione, per poi giustificare la proclamazione di uno stato di eccezione, con ancora maggiore controllo poliziesco, e magari cancellare pure le elezioni? La convocazione alle urne va fatta un anno prima e la data è già stata fissata: il 2 Novembre 2020.

Non una voce in difesa del governo

Dal momento il regime affronta seri problemi finanziari e necessita di risorse, appare contraddittorio che intenda affrontare la pandemia ricorrendo all’artigianale “modello di salute comunitaria”, disattendendo le raccomandazioni dell’OMS e, quindi, alienandosi le possibilità di ricevere aiuti. Ma può anche darsi che Ortega e Murillo si comportino così perché sanno che, anche disponendo di una buona strategia, non riceverebbero comunque alcun aiuto, stante il rifiuto di negoziare una via d’uscita alla crisi.

La Banca Mondiale, il Banco Interamericano de Desarrollo (BID) e, soprattutto, l’FMI hanno costituito un fondo eccezionale di miliardi di dollari per sostenere i Paesi più poveri di fronte all’emergenza sanitaria. La tendenza del regime a minimizzare la pandemia, senza nemmeno proclamare lo stato di emergenza e prendere misure concrete per mitigarla, oltre che a non fornire informazioni affidabili, fa sì che il Nicaragua non sia considerato eleggibile per accedere a tali fondi.

Del resto, la sfiducia internazionale nei confronti del regime di Ortega è crescente dall’Aprile 2018. Il regime non ha mai smesso di reprimere, neanche in questi giorni funesti di COVID-19. Più di una dozzina di suoi funzionari sono stati sanzionati per violazioni dei diritti umani e sul regime pesano anche accuse di corruzione. Tutto ciò conta più della negligenza nei confronti della pandemia ed è ben noto alla comunità internazionale e alle agenzie multilaterali.

L’ex ministro degli Esteri Francisco Aguirre Sacasa sottolinea come nei consigli amministrativi di BID, FMI e BM «non ci sia una sola voce che si erga in difesa del governo del Nicaragua, tanto isolato è. E questa situazione continuerà fino a quando esso non modificherà la sua posizione e cercherà un riavvicinamento con l’opposizione responsabile del paese».

L’unico “piano” di Ortega

Nei rapporti preparati da Banca Mondiale e BID si menziona l’assenza in Nicaragua di misure economiche e sociali per rispondere alla pandemia. Ma è proprio per piani che prevedono misure sanitarie e fiscali molto specifiche che tali istituzioni multilaterali approveranno i fondi ai Paesi che li richiederanno. Tuttavia, «l’unico piano di Ortega è quello di non averne uno», chiosa l’economista Luis Murillo.

L’FMI, l’istituzione multilaterale che dispone di maggiori risorse, ha lasciato una porta aperta al Nicaragua quando, nella sua ultima visita nel Paese, ha elogiato la gestione macroeconomica applicata in questi due anni di recessione. Incoraggiato da ciò e con la mediazione complice di Vinicio Cerezo, l’ex presidente guatemalteco ora alla guida del Sistema di Integrazione Centroamericana (SICA), Ortega ha chiesto fondi all’FMI, che però non si sono ancora visti, mentre l’FMI ha già concesso assistenza finanziaria a El Salvador, Honduras e Panamá.

Ortega ha chiesto 13 milioni di dollari anche al Banco Centroamericano de Integración Económica (BCIE) per «la prevenzione e il contenimento» della pandemia. Al 30 aprile, Daniel Ortega aveva ricevuto da questo istituto regionale una donazione di 1 milione di­ dollari e 26 mila test rapidi per rilevare l’eventuale contagio da coronavirus, che tuttavia il MINSA non ha ancora precisato come saranno utilizzati.

Da Taiwan, Paese che è riuscito a controllare l’epidemia, il governo nicaraguense ha ricevuto una donazione di attrezzature per rafforzare le capacità tecniche degli operatori sanitari che fanno i test per rilevare l’eventuale contagio. Secondo fonti anonime del MINSA, tali attrezzature sarebbero chiuse a chiave in qualche laboratorio, nei fatti inutilizzate.

Tutti negativi, grazie a Dio

A differenza dei dati forniti dai Paesi della regione e periodicamente documentati dal SICA, il numero di test condotti in Nicaragua è coperto di mistero, quasi fosse un segreto di Stato. Dagli stringati bollettini del MINSA sull’andamento dell’epidemia, si apprende solo che: «Sono stati realizzati i test che andavano fatti; tutti hanno dato esiti negativi, infinite grazie a Dio».