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23 Agosto 2019

Qui non si parla di ministri, non si parla di minori, non si parla di figli minori di ministri. Qui si parla di poliziotti e di giornalisti. Si parla di costituzione e di diritto di cronaca

Qui non si parla di ministri, non si parla di minori, non si parla di figli minori di ministri. Qui si parla di poliziotti e di giornalisti. Si parla di costituzione e di diritto di cronaca.

Pochi giorni fa un poliziotto su una spiaggia ha intimato a un giornalista di smettere di filmare una moto d’acqua della polizia in un luogo pubblico, con fare intimidatorio. Non ci interessa chi fossero i soggetti in questione, non ci interessa neanche il perché è stata posta una simile richiesta. Ci basta il contesto: la situazione si è svolta in luogo pubblico, affollato per giunta. Il giornalista non si è fatto intimorire e ha proseguito nel riprendere. Bene ha fatto, perché – prima di continuare il racconto dell’episodio – occorre precisare una questione che in Italia pare non sia stata recepita dai cittadini, tanto da dare adito a dicerie e idiozie: l’impianto legislativo sul diritto all’immagine delle persone riprese e sulla loro privacy è composto da una serie di leggi, decreti legislativi e sentenze che non prendono mai in considerazione il momento della ripresa, dello scatto, della realizzazione di un video o di una fotografia. E ci mancherebbe altro, viene da aggiungere. La ripresa di un’immagine (fotografica, cinematografica o televisiva) in luoghi pubblici o aperti al pubblico appartiene a quel sacrosanto diritto, costituzionalmente garantito a qualsiasi cittadino, di esprimersi o di informare o di manifestare il proprio pensiero ( art. 13 , art. 21 , art. 33 , art. 9 ). Le norme costituzionali non parlano mai di tutela del volto o del corpo dall’essere visti, guardati, osservati, ripresi, disegnati, purché siano in luogo pubblico (in luogo privato sono protetti dall’inviolabilità dello stesso).

In un paese democratico, in pubblico, per strada, non può esserci privacy (parola diffusissima e abusata), ma c’è e ci deve essere publicity (termine pochissimo utilizzato che sarebbe il caso di recuperare) ovvero uno spazio dove i cittadini possono stare a viso aperto, senza timori di esercitare i propri diritti inalienabili, come quello di manifestazione e diffusione del pensiero, di informazione, di creazione artistica, di professione e propaganda religiosa, di circolazione, di riunione, di associazione e così via.

In altre parole, come il madonnaro rappresenta immagini sacre sui marciapiedi, come il mimo si esibisce nelle piazze o come il caricaturista esercita la sua capacità di disegnare difronte ai musei, così il fotografo può realizzare le sue immagini in luoghi pubblici, nei quali – dunque – qualsiasi interferenza nell’atto della ripresa di un’immagine è fuori luogo e fuori legge.

I divieti di ripresa in Italia riguardano solo installazioni militari, edifici carcerari (per ovvie ragioni di sicurezza) e le persone in stato di detenzione. Mentre la possibilità di riprendere le forze dell’ordine nell’esercizio delle loro funzioni è stato ribadito già nel 2012 dal Garante della Privacy .

Troppo lungo – anche se prima o poi toccherà farlo – sarebbe spiegare perché in Italia il fotografo è invece considerato uno spione e quindi perché davanti a una telecamera le persone fanno il diavolo a quattro per farsi riprendere, mentre davanti a una fotocamera le stesse persone si innervosiscono ed elencano inesistenti divieti.

Qui ci si limita ad aggiungere che chi viene legittimamente ripreso in un luogo pubblico o aperto al pubblico, se non ha nulla da nascondere non ha nemmeno nulla da temere, perché lo stesso impianto legislativo di cui sopra fornisce tutti gli strumenti necessari per tutelare la privacy, la dignità, la reputazione e l’incolumità di ogni cittadino, che sia operatore di ripresa o soggetto della stessa, che sia dilettante o professionista, che sia civile o militare.

Fin dal 1941 la legge 633 sul diritto d’autore tutelava e tutela (essendo ancora in vigore) la dignità dei soggetti ripresi, impedendo la pubblicazione di immagini “quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritratta”.

Non solo, la stessa legge (frutto della lungimiranza del legislatore dato che è sopravvissuta a quasi ottanta anni di rivoluzioni economiche, sociali e tecnologiche) sanciva e sancisce la profonda differenza tra la realizzazione di un’immagine e la pubblicazione della stessa. Ovvero, il fatto che io abbia il diritto di realizzare un’immagine in un luogo pubblico non mi da automaticamente il diritto di pubblicarla, in qualsiasi modo ciò possa avvenire. Anzi, teoricamente dovrei avere il consenso del soggetto ripreso per farlo, senza il quale la resa pubblica dell’immagine sarebbe un illecito. Ma ci sono delle eccezioni e sono i casi in cui questa liberatoria non è necessaria perché gli interessi della collettività sono più importanti dell’interesse o dell’immagine di un singolo cittadino. Questi casi riguardano principalmente la possibilità di espressione artistica e culturale, le finalità di giustizia e di polizia, la divulgazione scientifica e soprattutto l’esercizio del diritto di cronaca.

Il giornalista dell’episodio citato all’inizio – per concludere il racconto – non solo ha legittimamente ripreso una moto d’acqua della Polizia, ma ha anche legittimamente pubblicato il video sul sito del quotidiano con cui collabora. I contenuti di questo infatti si sono svolti in pubblico, riguardavano un personaggio pubblico, sono da ritenersi un fatto di cronaca e – forse – potrebbero pure riguardare questioni di giustizia. Tutti casi tutelati dalla legge 633 del 1941, confermati nel 1996 dall’abrogata legge sulla privacy e ribaditi da decreti e sentenze successive, tra le quali spicca quella della Corte di Giustizia dell’Unione Europea .

Se qualcuno la pensa diversamente ha tutti gli strumenti per far valere le sue ragioni in sede giuridica, ma sicuramente non deve e non dovrà mai più accadere che sia un poliziotto a decidere se un’immagine stia violando la sua privacy o se invece rientri nel diritto di cronaca.

Soprattutto non può essere un poliziotto a censurare preventivamente un’immagine impedendone illecitamente la sua realizzazione. La questione non è di poco conto, essendo un caposaldo della democrazia, e va tutelata.

Quindi bene hanno fatto il presidente dell’Ordine dei Giornalisti e il presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana a protestare veementemente dalle pagine di vari quotidiani, ricordando che l’informazione, la stampa e il giornalismo sono per i governati e non per i governanti.