Dalla Guerra. Cronache di ordinaria oppressione

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20 Luglio 2019

Recensione del libro del giornalista e fotografo Luca Salvatore Pistone su guerre e conflitti contemporanei

Raccontare la guerra è delicato, complesso, doloroso. La guerra non si presenta come un flagello esterno, calato dall’alto, è piuttosto l’esasperazione di una lunga e continuata storia di soprusi, violenze, ingiustizie.

In “Dalla Guerra. Cronache di Ordinaria Oppressione” (Aut Aut Edizioni, Collana “Le colline a Sud di Hebron”) di Luca Salvatore Pistone riesce molto bene nell’intento di restituirci un intricato intreccio di storie di individui e comunità in diversi scenari di conflitto, spesso poco coperti dalla stampa.

Giornalista, fotografo e videomaker freelance, classe 1983, Pistone ha raccolto nel libro il suo lavoro degli ultimi anni dall’Africa al Medio Oriente, dalla Giamaica all’Asia passando per l’Ucraina.

Questa serie di dieci capitoli, accompagnati da narrazione fotografica, ci conduce attraverso la quotidianità della sopraffazione e della violenza in vari angoli di mondo, offrendoci un multiforme panorama umano fatto di miliziani, foreign fighters, membri di gang criminali, notabili corrotti.

In “Le Nuove Guerre. La violenza organizzata nell’età globale” (versione italiana edita da Laterza, 1999), la studiosa Mary Kaldor introdusse l’idea di conflitto come un insieme dai confini sempre meno distinti tra fazioni nazionali o politiche, crimine organizzato e violazioni dei diritti umani su larga scala a danno della popolazione civile.

“Dalla Guerra” è senza dubbio un’ottima ricostruzione giornalistica delle teorie dell’accademica britannica, una narrazione di quanto complessa e pervasiva sia l’oppressione violenta e di come queste dinamiche influenzino i destini individuali di oppressi e oppressori.

Il punto di partenza è Virgilio, il nonno dell’autore. Ardente sostenitore del fascismo, il giovane decide di arruolarsi inseguendo ideali e sogni di gloria. Come si racconta nell’introduzione, Virgilio fu internato dai tedeschi dopo l’armistizio del ’43 e, come decine di migliaia di commilitoni, accettò lunghi mesi di prigionia, stenti e sevizie anziché arruolarsi nella Repubblica di Salò.

I suoi diari di prigionia hanno ispirato il lavoro e il libro del nipote Luca, che amaramente si pongono in continuità tra vecchie e nuove forme di brutalità.

 

 

In questi “diari di guerra contemporanei” si racconta ad esempio la quotidianità dei thuwar (rivoluzionari) libici di Misurata e la violenza della loro repressione contro la popolazione nera di Tawergha, rea di essere stata favorita da Gheddafi in cambio di lealtà.

La cronaca del conflitto in Ucraina è popolata da personaggi dai profili più disparati: da neopagani filorussi alla “incredibile accozzaglia di umanità” dei foreign fighters del Donbass, accumunata solo dalla lotta contro l’imperialismo a stelle e strisce.

Si descrivono tensioni e fratture in Gambia all’indomani della fuga del dittatore Yahya Jammeh dopo decenni di cleptocrazia, tra grandi speranze, nostalgici e nuove corruzioni.

Si rende conto delle sofferenze della popolazione cambogiana, che dopo cinquant’anni ancora sconta gli effetti devastanti delle armi chimiche statunitensi, in un generale disinteresse.

Le pagine sulla Repubblica Centroafricana offrono strazianti immagini di una popolazione schiacciata dalle efferate vessazioni tanto dei miliziani Séléka quanto di quelli Anti-Balaka. Nessuno è al sicuro, proprio come sfollati e profughi al confine tra Niger e Nigeria, vittime dei soprusi di Boko Haram.

La liberazione di Mosul dall’ISIS solleva il velo su una serie di terribili violenze che probabilmente lasceranno spazio ad altra brutalità. Lo spietato giro di vite del presidente filippino Rodrigo Duterte contro spacciatori e tossicodipendenti mostra un miserevole quadro di persecuzioni e soprusi contro i più emarginati della società.

Centrale nel capitolo sul Congo e trasversale a tutti i racconti è l’oppressione delle donne. In guerre combattute da uomini, il corpo delle donne è un altro campo di battaglia: violentato, mutilato, mercificato, in un seguitarsi di episodi e descrizioni che ricorrono con nomi e volti diversi per tutto il libro.

È doveroso a questo punto sottolineare come lo stile narrativo e fotografico dell’autore renda giustizia alla complessità e al dolore di tutte le storie che trovano posto nel libro. Non solo per le descrizioni e il racconto incalzante, ma anche e soprattutto per la cura e il pudore delle storie. La brutalità delle violenze viene resa con misura ed equilibrio.

Quando raccontati individualmente, miliziani e delinquenti si delineano come esseri umani sfaccettati, sempre senza alcuna intenzione di ridimensionarne i misfatti: crudeli, ma anche capaci di piangere sulla foto dell’amato cagnolino morto; spacconi che difendono il proprio quartiere, eppure pronti a uccidere o a far prostituire senza alcuno scrupolo la propria sorella, proprio come i sicari e gli spacciatori dei ghetti di Kingston in Giamaica dell’ultimo capitolo.

Rimanendo sempre defilato, l’autore offre un quadro complessivo in cui ogni capitolo, ogni tassello, aggiunge una riflessione su cosa sia la “guerra” dei nostri giorni e sulle differenti forme in cui si manifesta l’oppressione dell’essere umano su altri esseri umani.

Una lettura da cui si esce ancora più consapevoli che rispetto a ogni conflitto, anche quando non apertamente armato, occorre schierarsi dalla parte degli oppressi e delle vittime. E continuare a raccontare.

 

Foto di copertina di Luca Salvatore Pistone