L’unica partita è quella dell’identità

di

8 Ottobre 2021

Su Transagonistica di Gabriele
Galligani

Se c’è un ambito in cui il binarismo e le discriminazioni di genere si rivelano con maggior efferatezza, è quello dello sport. Basti pensare alla multa di 1500 euro inflitta alle giocatrici della nazionale norvegese di beach handball, che alle Olimpiadi di Tokyo 2020 si sono rifiutate di indossare il bikini attillato e scomodo previsto dal regolamento, sollevando così una questione controversa come l’abbigliamento femminile nelle competizioni sportive.

E che dire delle terapie ormonali che la World Athletics impone alle atlete intersessuali, a tutte le atlete, cioè, che possiedono naturalmente livelli di testosterone superiori alla norma?

Con le sue rigidità, e una certa ossessione per la femminilità o mascolinità di chi compete, lo sport agonistico raramente coincide con il microcosmo inclusivo e libero che tanta narrazione mediatica ci propone. E se nelle discipline individuali qualche traguardo è stato raggiunto, immaginare un calciatore che faccia coming out o si sottoponga a un cambio di sesso sembrerebbe, allo stato attuale, un ottimo spunto per un romanzo di fantascienza.

Fantascienza, appunto. Il romanzo d’esordio di Gabriele Galligani, Transagonistica (Battaglia Edizioni, 2021, prefazione di Wu-Ming 2), un racconto di formazione transessuale, irriverente ed elettrico sin dal titolo, ha come protagonista Devis Moraschino, giovane promessa del calcio, soprannominato «l’Alieno» per il talento fuori dal comune ma anche, ci viene suggerito già dalle primissime pagine, per una stranezza di fondo che lo allontana dagli altri giocatori.

Devis non esulta per i gol che puntualmente mette a segno in ogni partita, ai giornalisti rilascia dichiarazioni arroganti e svogliate, non si cura dell’ammirazione dei tifosi. A soli diciotto anni gioca in una delle squadre più prestigiose, ha una fidanzata bellissima e soldi a volontà – tutto ciò che ogni altro calciatore desidera.

Ma cos’è che lui, Devis, desidera davvero? Per rimarcare da subito questa stranezza, il romanzo si apre proprio con la scomparsa di Devis: nel bel mezzo di una partita, mentre giocatori e tifosi sono distratti dall’irruzione in campo di una manifestante, «l’Alieno» sembra svanire nel nulla.

La sua divisa «quasi galleggia sulla punta delle lame d’erba (…) giace non vista a bordo campo», ed è da questa abdicazione che prende avvio la vicenda, una sorta di un’indagine scombinata, sviluppata su più piani temporali, in cui ripercorriamo ogni tassello della vita di Devis: dai precoci tiri in porta al rapporto complicato con il padre, che vede nel talento del figlio il rimedio a tutti i sogni infranti, dalle amicizie con i compagni dell’Accademia di calcio in cui Devis viene reclutato fino alla scoperta, e poi alla riscoperta, della sessualità, con tutte le sue meravigliose e difficili conseguenze.

C’è un gusto ironico e amorevolissimo nel modo di raccontare di Galligani, e se di molti episodi veniamo a conoscenza attraverso una narrazione in terza persona, altri li scopriamo attraverso rapporti dei carabinieri, trascrizioni di interviste, spassosi verbali di un circolo trans – profili diversi che si sommano come in un ritratto cubista, regalandoci un Alieno sempre meno alieno, anzi, umanissimo nell’ostinata ricerca di sé stesso.

Pur restando su un piano realistico, Transagonistica ammicca volutamente a un immaginario fantascientifico, con tinte post-umane.

Così Galligani descrive l’inizio di una partita di calcio: «Quando l’arbitro fischia, una cinquantina di gambe s’animano sull’erba verde-fluo. Il cielo sopra lo stadio è una pozza nera ispessita da riflettori al neon che voltano le spalle agli astri.»

E poco prima, descrivendo gli ambienti del centro estetico Second Nature, uno dei luoghi chiave del romanzo: «Appena accesa, la luce del bagno rintrona. Non ci sono finestre e i fotoni rimbalzano tra lo specchio e il bianco di mattonelle e sanitari». In questo mondo sintetico e traslucido, gli ultracorpi sono i nostri corpi, o meglio, i corpi dei bizzarri personaggi che popolano questo romanzo – calciatori, estetiste, «showgirl afone», cacciatori di talenti con occhiali specchianti, tutti alla ricerca del corpo perfetto, vitaminizzato, depilato, in una ossessiva ostentazione della mascolinità o della femminilità che non ammette vie di mezzo.

Come nota Wu Ming 2 nella prefazione, Transagonistica è «un romanzo che parla di pallone, con competenza non ostentata, ma con l’obiettivo di parlare di tutt’altro, come fa la migliore letteratura sportiva». Il cuore del romanzo, insomma, non è lo sport in sé, ma il feroce sistema che lo sorregge, con le sue discriminazioni, i suoi stereotipi – «un enorme dispositivo che funziona da decenni solo perché i suoi meccanismi girano impeccabili», come confida Spinella, presidente della società calcistica per cui Devis è assoldato.

Ed ecco che il calcio diviene una preziosa lente di ingrandimento per scrutare le difficoltà, che tutti silenziosamente conosciamo, quando davvero cerchiamo le parti più vere e durature di noi stessi, in un mondo che sembra avere in serbo solo ruoli prefissati.

Galligani non usa il romanzo per pontificare sui diritti civili, non ha teorie da spartire con i lettori: al contrario, le fluttuazioni di genere gli sono congeniali per confezionare un insolito romanzo di formazione, che ci sorprende anche quando credevamo di averne intuito il finale.

Maschi o femmine, vincenti o perdenti, dotati o non dotati (anche sessualmente): in un mondo di feroci binarismi, la transizione è forse la vera conquista, e l’autore ce lo suggerisce nel migliore dei modi, abiurando la retorica del talento per cui siamo al mondo per essere una cosa e una soltanto. Perché che succede se invece vogliamo essere altro, molto altro, se quel benedetto talento non ci corrisponde o non ci basta, o se la disciplina che richiede per essere mantenuto in vita si rivelasse nient’altro che una fuga?

La particolarità di Devis è proprio che usa il proprio talento calcistico per evadere, anziché per rivelarsi o per entrare in intimità con sé stesso. Le partite, i sudori e l’allenamento continuo, le urla dei tifosi, l’attenzione dei giornalisti persino il sesso – il mondo del calcio non è che una scenografia in cui potersi camuffare, e la fatica e la confusione con cui Devis
letteralmente “sta al gioco” sono un po’ anche le nostre.

A questa confusione Galligani non offre risposte definitive, ma ci dice che c’è un momento in cui possiamo smettere, possiamo sfilarci la divisa e abbandonare il campo – specialmente se scopriamo che il gioco a cui partecipiamo non ci diverte più, o forse non ci ha mai divertiti.

«Ho imparato a dare calci a pallone nello stesso giorno in cui ho iniziato a camminare» confida Devis in un’intervista. «È come un lungo sogno che dura finché dura il gioco. Se smettessi, mi sveglierei e troverei la vita vera, ma chi ha il coraggio di svegliarsi?»