Ritorno in apnea

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17 Settembre 2021

La recensione del reportage/diario “Ritorno in apnea”, di Anna Maria Selini, edito da Aut Aut Edizioni

Sono circa 18 mesi, giorno più giorno meno, che siamo entrati nell’era della pandemia da Covid-19. E sono circa 18 mesi, giorno più giorno meno, che siamo immersi a tutto tondo in un mare profondo di notizie di cronaca annunciate a bruciapelo, di comunicati e conferenze stampa, di numeri-numeri-numeri, un mare in continuo movimento, nel quale e’ difficile orientarsi, o galleggiare, poiché prima di capire bisogna anche cercare di non contagiarsi, e guarire, quando possibile.

Sono circa 18 mesi che lavoriamo di sottrazione. Ci mancano la socialità, la vitalità, la salute. Ci mancano le persone a cui non siamo riusciti a dire addio, e quelle che non vediamo da troppo tempo. Ci sentiamo svuotati, sgonfiati, appassiti e anche un po’ malconci, congelati in un’eterna convalescenza della quale non vediamo la fine. Si chiama ‘emergency mode’, modalità di emergenza. Siamo biologicamente programmati per risparmiare energie durante i momenti di grave crisi. Insomma, si pensa solo a sopravvivere.

Eppure.

Eppure questo vuoto esistenziale, individuale e collettivo, di cui noi non sappiamo (ancora) cosa farne, c’e’ chi pensa a riempirlo.

Questa persona e’ Anna Maria Selini – Anna, guai a chiamarla Anna Maria – giornalista specializzata in reportage da luoghi di conflitti, narratrice di tante (troppe) crisi umanitarie del nostro tempo, sempre capace di trovare la chiave di lettura necessaria a raccontare fedelmente i fatti in una modalità umana, generativa, confortante.

Ho letto il suo libro in pochi giorni, affamata di trovare una spiegazione alle cause di questo nuovo ordine esteriore ed interiore che da due anni abbiamo dovuto assimilare senza istruzioni per l’uso, ansiosa di trovare sollievo dal bombardamento di informazioni (la cosiddetta ‘infodemia’, trattata da Selini nel libro) che ormai seguo con poca attenzione, ancora arrabbiata e fresca della mia esperienza individuale e famigliare. E con un certo timore rispetto a ciò che avrei letto.

Incentrato sulla drammatica esperienza della provincia bergamasca, il reportage-diario e’ il viaggio in una comunità salita agli occhi della nazione – e del mondo – dolorosamente e di colpo. Uno shock nello shock, una crisi nella crisi, che risveglia nella giornalista, bergamasca di nascita e romana di adozione, molteplici sentimenti: la necessità di capire, prima, e raccontare, dopo.

E per farlo, occorre andare lì dove i fatti accadono.

L'autrice in viaggio sul treno per Bergamo durante il primo lockdown, marzo 2020

Selini inizia raccontando in maniera impeccabilmente giornalistica, accurata ed asciutta, i fatti avvenuti tra febbraio e la primavera del 2020 nella Val Seriana. Al lavoro di inchiesta si inframmezza la raccolta di pensieri, il flusso di coscienza, il diario con il quale elabora il suo vissuto rispetto ai fatti. Il diario e’, in questo caso, anche la storia di chi di solito racconta “le storie degli altri”, in paesi terzi, e invece si trova a raccontare la storia di casa propria, senza nascondere la fatica fisica, emotiva, o l’impatto sulle due Anna, la giornalista e la bergamasca.

Anna rientra a Bergamo in punta di piedi, intabarrata nella sua doppia mascherina, in ‘apnea’, come lei stessa si descrive, e chiede, osserva, fa domande scomode. Prende note, gira filmati. E la sera, rielabora, scrive, monta, sempre in apnea. Il Covid-19, abbiamo dolorosamente imparato sulla nostra stessa pelle, avvolge come una piovra, stritola le nostre vite, e se le prende senza troppi scrupoli

Le distanze cadono, perché di fronte all’imprevedibile siamo tutti e tutte ugualmente impotenti.

E’ un libro che fa male, quello di Anna. Risveglia ricordi dolorosi che avevamo provato a chiudere in un cassetto. Riporta alla mente immagini faticose, come quella dei mezzi militari necessari a trasportare le centinaia di bare dagli ospedali al cimitero di Bergamo, immagini che abbiamo imparato a dimenticare come se servisse a cancellare il dolore. Riaccende la rabbia per chi avrebbe dovuto fare e non ha fatto. Stringe il cuore e ci fa ripiombare nel lutto collettivo. Narra i fatti per come sono avvenuti, senza filtri di comodo né’ edulcoranti. E’ davvero andata così. Non ce lo siamo immaginato. Non era un brutto sogno.

Eppure.

Eppure e’ un libro che fa bene. Tanto.

Perché attraverso la narrazione – mai superficiale, invadente o retorica – delle storie individuali, Selini ci porta per mano, e ci sostiene nel (ri)affrontare, nelle pagine come addosso, la storia recente. Ci fa entrare in ogni casa, in ogni testa, in ogni camera d’ospedale. Porta alla luce l’impegno di iniziative locali, trasmette la forza di chi ha provato a reagire e fare qualcosa per la comunità. Racconta le storie di piccoli eroi e eroine quotidianamente in prima linea, restituisce giustizia a chi ha subito, a chi e’ sopravvissuto, e a chi non ce l’ha fatta. Intervista persone competenti che spiegano concetti complessi con una semplicità disarmante. L’inchiesta diventa così un prezioso lavoro di restituzione. Ora sappiamo com’e’ andata davvero, e perché abbiamo provato quello che abbiamo provato. Ansia. Paura. Depressione. Rabbia. Felicità – per fortuna c’e’ stata anche quella.

Un anno dopo, i fatti di Bergamo ci sembrano estremamente lontani nello spazio e nel tempo, quasi estranei.
Non sapevamo, allora, l’entità del baratro che ci attendeva dietro l’angolo.

Eppure.

Eppure, un anno dopo, a pandemia non ancora conclusa e con ancora troppe negligenze, Selini riesce a ritagliare lo spazio narrativo e mentale per fornire una prospettiva d’insieme. Punta il suo obiettivo fotografico su un’inquadratura ristretta, per poi allargarla man mano, finché non ci siamo tutti dentro.

Ritorno in Apnea e’ un libro che va letto, per tanti motivi.

Perché tratta di temi di cui, nell’uragano dell’infodemia, non abbiamo mai sentito parlare, quali “trauma collettivo”, “lutto inibito”, “psicodemia” – vale a dire l’impatto della pandemia sulla salute mentale individuale e collettiva, tema chiave del libro. Perché parla di giustizia e cura, intese come assunzione di responsabilità e sutura delle ferite visibili e invisibili. Perché traccia una linea che connette fatti e (ir)responsabilita’, azioni e reazioni, un ‘deep dive’ nel microcosmo bergamasco, rappresentativo di come sarebbe potuta andare davvero male a tutti, affinché si tragga insegnamento per il nostro presente e futuro, siamo ancora in tempo.

Perché rimette insieme tutti i pezzi, e anche se nulla tornerà mai come prima – e forse deve essere così che si evolve – il nuovo corso non potrà non partire dalle cicatrici ancora presenti, quelle linee d’oro, come l’arte giapponese ci insegna, che sono il collante e il valore aggiunto tra i pezzi della nostra vita faticosamente ricomposti.

Infine, perché’ parla anche di una storia d’amore.

Questo articolo riflette il punto di vista dell’autrice, espresso a titolo personale.