Ustica, una ricostruzione storica

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19 Dicembre 2020

Il libro di Cora Ranci

 

 

Cora Ranci, Ustica: una ricostruzione storica, Bari – Roma, Laterza, 2020

Per chi è appartiene alla generazione nata negli anni ’80 la strage di Ustica è stato un sottofondo ricorrente dei ricordi dell’infanzia, un toponimo che rimandava a fiumi di discussioni, perizie, ipotesi. Le indagini sulla strage si insinuarono nei decenni successivi, tra nuove verità, piste, un mutato clima interno e internazionale. Le parole, che furono esse stesse protagoniste della vicenda, tra tentativi di depistaggi, criptiche dichiarazioni, e appelli alla verità, formano un magma all’interno del quale è facile perdersi. Il libro di Cora Ranci, storica milanese che ha conseguito un dottorato di ricerca a Bologna, aiuta a mettere ordine in questo intrico, ricostruendone le vicende processuali, ma anche mettendone in luce la lunga parabola giudiziaria, nonché i risultati delle inchieste parlamentari. Ad un approccio top down, l’autrice affianca un’attenzione alle spinte dal basso, dal Comitato per la verità su Ustica alle associazioni delle vittime, per arrivare al coinvolgimento dell’opinione pubblica, stimolata in quegli anni dal giornalismo d’inchiesta.

Il libro esordisce con una ricostruzione dettagliata dei fatti che circondarono l’”incidente” che coinvolse il DC9 Itavia, in volo da Bologna a Palermo, intorno alle 9 di sera del 27 giugno 1980, quando le sue tracce scomparvero dai radar e l’aereo si portò a fondo nel mare 81 vittime.

Inizialmente la strage fu categorizzata come “cedimento strutturale” che avrebbe coinvolto una compagnia aerea regionale, la Itavia, messa all’indice per le sue scarse condizioni di sicurezza, nel turbine di una campagna denigratoria che l’avrebbe portata al fallimento. Successivamente ad essere in auge fu l’ipotesi della bomba scoppiata a bordo dell’aereo, a sostegno della pista del terrorismo. A tale tesi fu sempre più contrapposta l’ipotesi di un corpo esterno all’aeromobile, che lo avrebbe colpito, il che implicava il coinvolgimento degli alleati nominali dell’Italia che dominavano lo spazio aereo in quella notte di giugno, impegnati in una battaglia non solo diplomatica contro il colonnello Gheddafi.

 

Fino al settembre del 1986, tuttavia, a prevalere fu l’incertezza, dal momento che il governo italiano non aveva ritenuto doveroso investire una pur ingente somma di denaro per recuperare il relitto del DC-9. Fu solo successivamente, nel corso degli anni ‘90, che la ricostruzione oggi ritenuta ufficiale prese consistenza: il DC-9 sarebbe caduto in seguito alla collisione con un missile nell’ambito di un’operazione militare, avvenuta, paradossalmente, in tempo di pace. Una condizione di guerra nei cieli italiani che si sarebbe rivelata non episodica e che altre volte avrebbe rischiato di coinvolgere aerei civili.

Pur nella sua eccezionalità, la vicenda del DC9 risulta profondamente radicata nel contesto all’interno del quale si svolse e del quale si nutrì. A livello internazionale il nuovo decennio si aprì in uno stato di “seconda guerra fredda”, in cui il Mediterraneo tornava a una condizione di drammatica centralità. Fu proprio la Libia del colonnello Gheddafi a porsi in contrasto, per il suo attivismo, con i vicini, e a contrapporsi a Stati Uniti e Francia. Alle due potenze non si allineò del tutto l’Italia, legata al paese africano da pervasive relazione economiche, sebbene i rapporti tra Roma e Tripoli si fossero ulteriormente raffreddati alla vigilia della strage, sullo sfondo dell’imbarazzo italiano rispetto agli omicidi dei dissidenti libici avvenuti sul suo suolo e della questione coloniale, utilizzata strategicamente dal colonnello libico.

In questo scenario internazionale si inserisce quello italiano, dei governi balneari e del pentapartito, delle relazioni ambigue tra le forze armate e quelle politiche, delle dichiarazioni ambigue di molti attori e dei silenzi di altri. In cui la difesa degli interessi nazionali fu da molti concepita come la negazione della verità sulla morte assurda di decine di cittadini italiani.

Se il libro presenta il punto fermo a cui la verità giudiziaria è arrivata, quella storica guarda al coinvolgimento di due paesi nell’ambito dell’alleanza atlantica, Stati Uniti o Francia.

A mancare tuttavia in sede giudiziaria sono gli imputati, sebbene i vertici dell’Aeronautica siano stati riconosciuti responsabili di avere occultato la verità e i Ministeri del Trasporti e della Difesa di non avere tutelato la sicurezza di un volo civile e aver concorso al fallimento della compagnia Itavia.

Il lavoro di Cora Ranci tiene insieme con chiarezza tutti questi fili e porta il lettore, con una scrittura agile, a interrogarsi sulla storia recente del nostro paese.