Budapest, tra coloro che dicono no

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18 Dicembre 2018

Alle 7.30 del mattino di lunedì 17 dicembre si aprono le porte a vetri del modernissimo edifico della TV pubblica ungherese e il parlamentare indipendente Hadhazy Akos viene scaraventato da due energumeni a terra, sulle scale, come un sacco di patate, come nei film, poi le porte si richiudono.

La scena è ripresa tra mille scossoni da uno smarthpone, la parlamentare dei liberali Szèl Bernadett, anche lei a terra, grida contro le guardie.

Hadhazy è il classico ungherese coi baffetti, taciturno e meditabondo, una persona mansueta. I due hanno appena passato la notte in bianco nella enorme sala trucco della TV di stato in compagnia di una decina di altri parlamentari dell’opposizione, chiedendo di poter trasmettere sui media pubblici un loro comunicato, inutilmente.

E adesso tutti i parlamentari dell’opposizione hanno abbandonato il palazzo della tv, dopo quasi 24 ore, e molte intimidazioni, per unirsi alla folla di nuovo riunitasi sotto l’edificio.

I deputati dell'opposizione sdraiati per terra nella sede della tv di Stato ungherese di fronte alla sicurezza interna. Fonte 444.hu

Domenica si era svolta la quarta manifestazione di protesta in cinque giorni contro la legge-schiavitù approvata con mille forzature procedurali dal parlamento ungherese, che prevede la possibilità di richiedere ai lavoratori (a seconda del contratto collettivo) 400 ore di straordinario annuo, pagabili a tre anni di distanza, legge disegnata ad hoc per gli impianti produttivi dell’automotive tedesca (che ha aggiunto da settembre di quest’anno un grande stabilimento da mille operai a Debrecen, nell’est dell’Ungheria).

L’Ungheria è diventata negli ultimi anni un paese di grande emigrazione a causa dei bassi stipendi e delle cattive condizioni di lavoro, si parla di un 800mila ungheresi che vivono all’estero (su un totale di 10 milioni di abitanti) e si ritrova con una disoccupazione a livelli giapponesi (attorno al 3%) e la necessità di forzare in questo modo il ricorso allo straordinario.

Inaspettatamente però questa manifestazione, dopo il consueto lunghissimo percorso tra le vie di Budapest illuminata per Natale, non si è conclusa con il solito confronto tra forze di polizia e irriducibili a suon di rap sulle scale del Parlamento, ma una parte del corteo si è incamminata fino al secondo distretto, ad Obuda, ai piedi delle colline di Buda, a piedi con una folla inimmaginabile tra i palazzoni comunisti dell’era Kadar, o sui vagoni verdi della Hèv, la metropolitana di superficie, fino a via Kunegonda, dove il presidente Orban ha spostato la sede della riformata TV ungherese nel 2012.

La sede precedente, nello storico palazzo della borsa, era stata semplicemente presa d’assalto da una folla inferocita il 19 settembre del 2006, e io in quella piazza c’ero, a vedere i pugni stretti di Csurka Istvan, commediografo ex capo del Mièp, il partito si estrema destra degli anni Novanta, e le fiamme davanti al palazzo e la gente che inveiva contro l’ex ministro socialista Gyurcsany.

Lo stesso scenario del ’56, contro i sovietici sotto il palazzo della Magyar Radio, la radio ungherese, lo stesso del 15 marzo 1848, contro gli Asburgo, sotto la redazione del quotidiano.

Oggi invece si grida “Orban takarodj!” (‘pussa via’, quello che si dice ai cani), c’è poca gente, qualche migliaio, ma fa un freddo cane (massima -3, la gente grida “non abbiamo paura, non abbiamo freddo!”) e in fondo eran pochi anche nel 2006.

Si fanno avanti i parlamentari presenti nel corteo, una decina, entrano loro, esibendo il tesserino, penetrano tra le maglie del doppio cordone di polizia in assetto antisommossa, l’obiettivo è leggere la petizione in 5 punti, lo stesso del 2006, del ’56, del ’48.

Non riescono neanche a parlare con un dirigente, solo con le forze di sicurezza interna, che poi si verrà a sapere sono alle dipendenze dirette del ministero degli Interni. Nel frattempo la M1, la RAI 1, ungherese informa che anche il circo di Budapest aderisce a Jonak lenni, un po’ il telethon ungherese, sotto corre la scritta: ‘I partiti di opposizione contro il popolo ungherese’ (sic.), poi partono dalle 23 i telegiornali in russo e in cinese.

La TV di Orban è stata riformata nel 2011; hanno unificato le redazioni giornalistiche (una sola per tutti i canali tv, radio e l’MTI, l’agenzia di stampa).

Il tg è da anni soprannominato TG migranti, per tutti i minimi fatti di cronaca di migranti che snocciola da Stoccolma a Skopje. Hirado.hu, il sito del TG, aveva stamattina tra le notizie manifestazioni di protesta a Roma e Vienna, con messaggio di Soros, ma niente su Budapest. Questa è la TV di Orban, uno dei motivi per cui anche se le elezioni son libere, i media non lo sono e le elezioni, specie in provincia le (stra)vince lui.

Fa freddo, via Kunegonda è innevata. La protesta contro la legge schiavitù è diventata pian piano protesta contro tutto il regime, il sistema Orban che vede l’opposizione compatta.

I deputati entrati a vario modo nell’edificio sono lì dentro ormai da quasi 24 ore, potrebbe essere una lunga guerra di posizione, a suon di riprese col telefonino dall’interno del Palazzo e cori e manifestazioni fuori dal Palazzo o potrebbe accendersi una scintilla, come nel 2006.

Orban e il suo entourage non reagiscono, sminuiscono, la gente in piazza è poca, il popolo vero pensa a lavorare ed è con lui, ma intanto si parla di un ritiro della legge, come fece con la legge su internet nel 2014 o con la legge sulla domenica non lavorativa (un altro modo di risolvere il problema della carenza di lavoratori) del 2016 o ancora potrebbe far leggere quei 5 punti in pace, come se ci fosse la democrazia, invece di ripetere gli esempi del passato, che per gli ungheresi vogliono dire tantissimo.