I guardiani della foresta

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30 Settembre 2021

“Anamei: I guardiani della foresta” è l’ultimo lavoro del regista Alessandro Galassi e racconta come il popolo degli Harakbut cerchi di salvarsi dalla distruzione del territorio in cui vivono e del suo tessuto sociale.

Quando si parla di cambiamenti climatici non si sente parlare di resistenza. Si sente parlare di mitigazione, adattamento, resilienza ma difficilmente di resistenza. Da una parte i cambiamenti climatici e le loro conseguenze sono inevitabili, come collettività e come singoli, possiamo trovare un modo per mitigare ed adattarci – per l’appunto – ma non possiamo “vincere” contro i cambiamenti climatici. Dall’altra non sempre sappiamo cosa significhi resistere ai cambiamenti climatici perché non siamo abituati a conoscere e vedere raccontate le storie di chi si impegna per contrastare in maniera efficace il prodursi di determinati effetti – la definizione di resistenza.

Ed è proprio la resistenza ai cambiamenti climatici il centro di “Anamei: I guardiani della foresta (2021, 63’)” l’ultimo lavoro del regista Alessandro Galassi.

Il trailer di “Anamei: I guardiani della foresta (2021, 63’)”.

Il documentario, presentato a Roma lunedì 27 settembre, parte dalla regione di Madre de Dios e racconta come il popolo indigeno Harakbut cerchi di salvarsi dalla distruzione.

“Quando ormai la terra sarà sul punto di distruggersi, quando l’umanità si troverà sull’orlo dell’abisso, quell’albero verrà. Un albero ci salverà. E sarà l’albero di Anamei”.

In un antico mito, Anamei è l’albero della salvezza. A lui, nel passato, si rivolsero gli Harakbut di Madre de Dios per trovare la forza di resistere ai danni causati dal caucciù. A lui, nel presente, si rivolgono gli Harakbut per resistere alle conseguenze ambientali e sociali delle miniere d’oro clandestine.

“Anamei: I guardiani della foresta” racconta come gli indigeni continuino a curare le ferite di entrambi questi capitoli della nostra storia perché secondo gli Harakbut, i guardiani della foresta, la guarigione  è possibile, per il pianeta come per gli esseri umani.

Le miniere illegali hanno ingoiato oltre 50mila ettari di foresta, trasformando gran parte della riserva della Tampobata in una landa di terra screpolata. Insieme agli alberi, il metallo prezioso divora le vite di centinaia di migliaia di donne e uomini, ostaggio del lavoro schiavo e della prostituzione forzata.

Il territorio mutato a causa delle miniere d'oro clandestine. Tratto da “Anamei: I guardiani della foresta”.

È stata questa storia di resistenza e di cura che ha spinto Papa Francesco ad aprire, nel gennaio 2018, proprio a Madre de Dios, il Sinodo sull’Amazzonia del novembre 2018, proseguito in Vaticano nell’ottobre di un anno dopo. Un Sinodo il cui slogan è “Amazzonia: Nuovi Cammini per la Chiesa e per una Ecologia Integrale” e che pone ulteriormente l’accento sui temi della cura della terra già toccati dal Papa nell’enciclica Laudato Si’.

Una foto di Papa Francesco durante il Sinodo in Amazzonia. Dal sito del Vaticano dedicato al Sinodo.

Il mito di Anamei è l’asse del documentario, raccontato in audio dalla poetessa Ana Varela Tafur, in video dai disegni realizzati da bambini Harakbut e citato nei versi di Querida Amazonia, esortazione apostolica di papa Francesco.

Attorno a questo asse il regista Galassi racconta la febbre dell’oro e le sue devastanti conseguenze sull’ambiente e sulla popolazione; il viaggio di Papa Francesco a Puerto Maldonado, capitale di Madre de Dios; la celebrazione del Sinodo a Roma, nel 2019 e il dialogo della Chiesa con Yesica, Delio e gli altri Harakbut che hanno portato la loro testimonianza.

La regione Madre de Dios vista dall'alto. Tratto da “Anamei: I guardiani della foresta”.

“Questo vissuto umano, prima che professionale, non poteva terminare con la conclusione del Sinodo – ha raccontato Galassi – Ho sentito la necessità di visitare e vivere i luoghi e le storie che mi erano state raccontati. Ho viaggiato, così, fino a Puerto Maldonado, in Amazzonia peruviana. Se sono potuto entrare, però, davvero in questa terra è grazie a Yésica, energica insegnante Harakbut e vera guardiana della foresta”.

Yesica della popolazione indigena Harakbut dell'Amazzonia peruviana. Da un articolo del giornale Nuova Ecologia.

“Come tale ha voluto mettermi alla prova per capire se i miei occhi di bianco occidentale erano disposti a vedere oltre il facile esotismo – continua Galassi – Sono partito con un’idea del lavoro che volevo realizzare. La realtà, però, mi ha preso  in contropiede. Il Covid ha modificato abitudini consolidate, previsioni e progetti. Sono tornato a Roma in pieno lockdown […] Da questo è nato Anamei. Ho cercato di non indulgere al piacere del sensazionalismo. Di narrare, in modo sobrio e vero, lo scempio di risorse, di natura e di vite. E poi di raccontare di alberi e di uomini. La parte forse più difficile è stata trovare la chiave giusta per descrivere il Papa: il suo carisma e il suo valore profetico”.