Israele, l’ultima cena della democrazia

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8 Settembre 2020

L’istallazione dell’artista Itay Zalait contro il premier Netanyahu

Piazza Rabin, Tel Aviv. Una lunga tavolata apparecchiata con piatti dalle porzioni pantagrueliche e un unico commensale: la riproduzione in dimensioni reali del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che banchetta da solo, alla faccia della crisi economica che grava sul Paese.

È l’Ultima cena della democrazia dall’artista Itay Zalait, un’installazione che ha fatto infuriare il premier tanto quanto è piaciuta ai telaviviani, ma come dicono da queste parti, “Tel Aviv non è Israele”.

Telaviviano è anche Itay Zalait, 41 anni, Non si è formato direttamente nel mondo dell’arte, mi ci è arrivato per conto suo dopo una laurea in Psicologia: “Ho incominciato a interessarmi al rapporto tra arte e psicologia durante i tre anni, obbligatori, dell’esercito. Dopo il militare mi sono preso un anno sabbatico in India, per prendere le distanze dal mio Paese, e cercare di capirlo meglio. Crediamo che le nostre scelte, non solo quelle politiche, siano consce, mentre seguiamo le masse e ci facciamo manipolare dai politici e dai media, senza nemmeno rendercene conto…”

The Last Supper of Democracy, di Itay Zalait

Uno dei primi lavori di Zalait, del 2011, ha voluto riflettere proprio su questo, creando un enorme dibattito. Si tratta dell’icona, eseguita con la tecnica della foglia d’oro tipica della tradizione greco-ortodossa, di Gilad Shalit, soldato israeliano rapito a Gaza da Hamas, nel 2006, e tenuto in ostaggio fino al 2011 quando, per ottenere il rilascio, lo Stato ha accettato uno scambio di prigionieri: “Mille Palestinesi che in passato hanno eseguito attacchi terroristici e tolto la vita a migliaia di israeliani, motivo per cui in molti hanno fortemente criticato questo scambio. Gilad forse non è un eroe, ma rappresenta di sicuro il conflitto interno al Paese. Per questo ho voluto farlo diventare un’icona di questa crisi interna”.

A portarlo alla ribalta sulla scena internazionale è stato, nel dicembre 2016, King Bibi, opera site–specific, collocata sempre in Rabin Square, piazza in cui, con Rabin, venne assassinato per sempre anche il sogno di pace tra arabi e israeliani.

Qui Zalait ha posizionato una statua d’oro, in misure naturali, di Netanyahu. Dopo sei ore di forti discussioni, tra ammiratori e oppositori, uno di loro, con una sorta di operazione iconoclasta, l’ha rimossa.

All’epoca l’artista aveva deciso di rimanere anonimo, per non essere identificato come “di sinistra”, di opposizione al governo: “Lo scopo del mio lavoro non era giudicare Bibi (Netanyahu, ndr) ma osservare e filmare le diverse reazioni del pubblico. Non si trattava solo di documentare differenti opinioni politiche, ma anche estetiche, che sono uno degli aspetti più interessanti del rapporto tra l’arte e la sua fruizione”.

Gilad Shalit, di Itay Zalait

A proposito di questo, una delle opere più interessanti di Zalait è stata, nel 2018, In the Art of the Nation, un’altra riproduzione, su scala umana, dell’allora ministra della Cultura, Miri Regev, fortemente contestata, in patria come all’estero, per avere sfilato sulla passerella di Cannes indossando un abito con stampata l’immagine della Città Vecchia di Gerusalemme, territorio ancora oggi conteso tra israeliani e palestinesi.

La delfina di Bibi, oltre al cattivo gusto e allo scarso tatto diplomatico, durante la cerimonia aveva anche cercato di boicottare Foxtrot (di Samuel Maoz), il film che rappresentava Israele al Festival: una pellicola molto critica nei confronti dell’esercito israeliano.

Non si trattava, per altro, del primo caso di censura da parte della Ministra, nei confronti di artisti israeliani considerati troppo “schierati”. Cosi Zalait ha deciso di piazzarla, con il suo bel vestito, questa volta bianco candido, nel mezzo di Habima Square, la piazza del Teatro Nazionale (istituzione della cultura israeliana), davanti ad uno specchio: “per farla riflettere su se stessa”.

In the Art of the Nation, di Itay Zalait

Una retrospettiva delle sue opere più famose, assieme ai suoi nuovi lavori del 2020, è stata inaugurata sabato 5 settembre al Museo di Arte Contemporanea di Haifa, l’altra città, assieme a Tel Aviv, che, oltre ad essere uno splendido esempio di convivenza tra arabi e israeliani, guarda avanti verso l’arte israeliana di fama internazionale, di cui Itay Zalait è un degno rappresentante.

King Bibi, di Itay Zalait