Normalità – 34

di

15 Aprile 2020

Contagio delle storie – 34

Convinti, quando le cose vanno bene e quando le cose vanno male, che ciascuno deve fare il suo lavoro, ci troviamo come redazione di fronte a un evento globale, che concorre a mettere a nudo quelle paure che saranno l’argomento del terzo numero del nostro semestrale cartaceo.

Partendo dal testo di Angelo Miotto, abbiamo deciso – nostra vecchia passione – di lanciare un Decameron online, nella vecchia tradizione, di fronte alle paure, di riunirsi attorno al fuoco (della passione narrativa) e di raccontarsi storie.

Mandateci il vostro racconto di questi giorni di Corona virus, tra allarmismi, improvvisati esperti, legittime paure e doverose cautele. Va bene, al solito, qualsiasi linguaggio: audio, testo, video, foto. Inedito o citando altri. Scrivete a redazione@qcodemag.it e noi vi pubblicheremo.

Il contagio delle storie – 34

Normalità – Tommaso Rebora

 

Prologo: un mese prima

Il padre di P. ha il virus.

Me l’ha detto lui al telefono, nel momento e nel modo peggiore che potessero capitarmi.

Adesso si trova in terapia intensiva, in un ospedale della provincia di Torino. È intubato.

  1. invece, insieme a sua madre, è in quarantena per i prossimi quattordici giorni. Ai domiciliari, ha detto lui.

Loro non sono risultati positivi al test, come il padre. È tornato una sera da lavoro, stanco e con qualche linea di febbre. Il giorno dopo ha avuto una crisi respiratoria e lo hanno ricoverato.

Quando ho letto il messaggio di P. che mi diceva di non avere tempo per rispondermi ho pensato subito che qualcosa non andasse. Non è da lui. Al secondo messaggio ho intuito subito di cosa si trattasse, prima ancora di farmelo dire.

– Posso chiamarti?

Merda.

Il mio mondo si è fermato.

Sono un idiota. Testa di cazzo che non sono altro.

E dire che ero preparato all’eventualità, me l’ero detto più volte. Può succedere. Succederà.

Nei giorni precedenti, sui social, diversi contatti avevano iniziato ad avanzare qualche perplessità sul modo in cui stavamo reagendo all’epidemia. Eravamo tutti tranquilli, troppo tranquilli.

Cosa potrà mai succedere a noi, che siamo giovani. Che siamo forti.

Che siamo intelligenti.

Che abbiamo una risposta pronta per tutto.

Una battuta pronta per tutto.

Un meme.

Come quello che mi aveva mandato P. qualche giorno prima. Da diversi mesi avevamo iniziato a sentirci così, inviandoci foto e video via whatsapp, e basta. Pochissime parole e tantissima meta-ironia.

Il meme che gli avevo inviato ieri aveva a che fare col l’epidemia, P. non mi aveva risposto.

Anche quello di oggi era simile, a me ha fatto sorridere e P. mi ha risposto, ma non con le parole che mi sarei aspettato.

Nel momento in cui realizzo tutto sono su un treno per Genova, sto raggiungendo la mia compagna. Immediatamente mi sento stupido a voler fare quel viaggio, sono a disagio. Ho paura che gli altri passeggeri abbiano sentito la mia telefonata con P. e che ora mi credano un untore, vorrei tornare indietro ma non posso.

  1. mi ha detto che anche N., un nostro amico, è in quarantena perché aveva avuto contatti con suo padre. Lo chiamo subito per sapere come sta e per capire cosa fare. Ci siamo visti con altri amici meno di una settimana prima, mi sembra strano che non ci abbia avvisati.

Lui al telefono sembra tranquillo, non ci ha detto nulla per non farci agitare. Ci mettiamo d’accordo per sentire almeno le persone che ha visto più di recente, in ogni caso la sua quarantena scade dopo due giorni e non dovrebbero esserci complicazioni.

Arrivo a Genova ancora confuso, non so come comunicare tutto a M. senza andare nel panico. Lei dovrebbe partire per un viaggio di ricerca dall’altra parte del mondo tra cinque giorni, è passata da casa per salutare i parenti. Sembra tutto così normale e allo stesso tempo così assurdo.

Quasi senza rendermene conto quella sera mi ubriaco e compenso così la mia agitazione.

Vorrei tornare a casa il prima possibile.

Non so ancora che quando ci rientrerò, tre giorni dopo, sarà per non uscirne più.

Intermezzo: l’altro ieri

Sono uscito per una commissione.

Un’amica mi deve dare un libro che avevamo ordinato oltre un mese fa, prima del lockdown, e nonostante non sia propriamente un bene di prima necessità è arrivato lo stesso a destinazione.

Sulla carta siamo chiusi da settimane, ma nella realtà alcune persone continuano a muoversi, a trasportare merci, ad aumentare profitti che non verranno redistribuiti a loro.

Dopo qualche incertezza sugli spostamenti io e C. ci diamo appuntamento al ponte sulla Dora, più vicino a casa mia che alla sua. A lei viene comodo fare una passeggiata assieme al figlio di due anni, a me fa davvero piacere prendere una boccata d’aria.

In realtà gli attimi prima di uscire li vivo con fatica. Non sono più abituato al rituale della vestizione, sono fiacco e allontanarmi da casa mi rende nervoso.

Le strade sono deserte come non lo sono mai state a quest’ora del pomeriggio.

Arrivo sul lungofiume, supero il ponte e mi incammino. Non mi sembra di scorgere C., ma procedo ugualmente spinto dall’euforia della passeggiata.

Dopo qualche secondo C. mi chiama. L’ho superata di quasi trecento di metri.

Ci ritroviamo sul ponte e decidiamo di sposarci poco oltre, sulla passerella pedonale che unisce le due sponde del fiume.

Il figlio della mia amica, N., è euforico. Corre, ride e indica le papere lungo gli argini.

Io e C. parliamo, a distanza, come una giornata qualsiasi. L’argomento è quasi solo uno, ma la situazione in cui ci troviamo è talmente paradossale che viene da chiedersi se ce ne siano davvero altri.

È tutto così normale che nemmeno i radi passanti sembrano fare caso a noi. Ci si guarda, si prendono le misure e si fa attenzione a non sfiorarsi neppure. Poi si prosegue per la propria strada.

  1. è ignaro di tutto, gioca con le bolle di sapone.

Vorrei avvicinarmi di più a lui per giocare insieme, ma ho paura. Mantenere la distanza è praticamente impossibile, ma me lo impongo. Ogni volta che una bolla mi vola vicino provo a soffiarla indietro verso N., ma è un’impresa.

Lui capisce, mi sorride e mi lancia un’altra bolla.

Io e C. decidiamo che è il momento di andare. Vorrei parlare ancora, ma siamo davvero molto esposti ed è giusto tutelarsi.

  1. alza il pollice destro e grida “Okay!” rivolto verso di me. Io gli rispondo, e ci salutiamo in questo modo per alcuni secondi.

Mentre torno a casa sono felice.

Conclusione: oggi

Stanotte ho pensato a lungo al racconto, e ho deciso che voglio finirlo.

L’ho iniziato senza pensarci, di getto, nei primi giorni di quarantena. Poi l’ho perso nei meandri dello smartphone, e quando l’ho ritrovato ho avuto la sensazione che non avesse senso.

Sono successe così tante cose da quando ho iniziato a scrivere che mi sembrava superfluo riscoprire un episodio così marginale, così personale.

Quando l’ho scritto ho pensato che fosse importante, significativo.

Oggi mi sembra una cosa banale, una delle tante in mezzo a questa banalità asfissiante. Sono solo uno dei tanti che potrebbe raccontare un episodio simile.

La verità è che nella monotonia di giornate tutte uguali ho la sensazione di perdere qualcosa. Ho paura di non ricordarmi tutto questo uno volta che sarà finito, chissà quando.

Voglio ricordare e voglio ricordarmi.

Oggi ho scritto a P., suo padre è uscito dalla terapia intensiva e sta molto meglio. Sono felicissimo.

Anche P. mi sembra più sollevato. Scherziamo un po’ sulla quarantena e ci prendiamo in giro.

Poi ci mandiamo un meme.