Come sono state le vostre rivoluzioni?

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18 Luglio 2020

Diario di Samira al-Khalil. Parole dall’assedio

Come sono state le vostre rivoluzioni? Che il mondo sviluppato ci spieghi come sono state le loro rivoluzioni”.

Salire in cattedra e insegnare agli “altri” come, quando e perché “scendere in piazza” è una pratica dura a morire, e che appartiene a diversi analisti e giornalisti occidentali; l’ultimo esempio è quello di Roberto Saviano che ha voluto spiegare alla comunità afroamericana degli Stati Uniti, che manifestava a seguito dell’uccisione di George Floyd, il bon ton del buon manifestante.

Lo stesso atteggiamento superficiale e pressapochista è stato spesso utilizzato dall’Occidente per raccontare le rivoluzioni arabe del 2011, senza conoscere coloro che scendevano in piazza e le loro ragioni.

Le parole qui riportare appartengono all’attivista e giornalista Samira al-Khalil, e sono state raccolte da suo marito, l’intellettuale Yassin al-Haj Saleh, in un libro oggi tradotto in italiano: Diario di Samira al-Khalil. Parole dall’assedio (MR Editori 2019, traduzione a cura di G. de Luca e S. Haddad).

Samira al-Khalil, da sempre oppositrice del regime siriano, è stata rapita nel 2013, con altri tre colleghi, da un gruppo salafita a Duma, dove si era rifugiata dopo la liberazione della zona di al-Ghuta dalle truppe di al-Asad. Da allora si sono perse le sue tracce.

Il libro è composto da tre parti: nella prima sono stati inseriti dei brevi brani scritti dalla giornalista durante la sua permanenza a Duma, da agosto 2013 fino al 9 dicembre dello stesso anno, giorno del suo sequestro; la seconda parte raccoglie alcuni post di Facebook, pubblicati dalla giornalista nel periodo precedente al suo rapimento, e nella terza appaiono tre articoli scritti da Yassin al-Haj Saleh e dedicati a sua moglie.

Gli appunti di Samira al-Khalil, spesso incomprensibili, e ritrovati da suo marito dopo il rapimento, raccontano il criminale assedio della città di Duma da parte del regime siriano, una condizione di gran lunga più dura del carcere, secondo la giornalista, che aveva “provato” le prigioni siriane dal 1987 al 1991 per la sua opposizione alla dittatura di al-Asad padre.

Il massacro con le armi chimiche del 21 agosto 2013, i proiettili, la fame, i farmaci che non riescono ad arrivare, sono questi gli unici eventi che sembrano scandire la quotidianità dei cittadini nella zona di al-Ghuta.

“Quando a qualcuno aumenta la temperatura, non ci sono medicine, né quando qualcuno dice: ‘Voglio medicine per l’asma’. Nemmeno quando dicono: ‘Voglio medicine per il diabete, la pressione…’.

E bisogna assumerle dopo ogni pasto, ma il problema è che questi pasti non esistono. Vengono prescritte medicine a stomaci completamente vuoti.

Vogliamo medicine per stomaci completamente vuoti, non di quelle che bisogna prendere due ore prima dei pasti. Le persone non muoiono solo a causa delle bombe. Anche la fame e la scarsezza di medicine uccidono”.

Ma le parole della giornalista mettono anche a nudo le ipocrisie del mondo occidentale, con la sua solidarietà “narcisista e esclusivista” che di riduce la popolazione siriana a casi umani, ma poi sbarra e blinda le sue frontiere.

“Sono una grande bugia

Le organizzazioni per i Diritti Umani

Per i diritti degli animali,

Per i diritti dell’ambiente,

Per i diritti dei bambini,

Per i diritti delle donne.

Nessuna di queste organizzazioni dice nulla davanti alla violazione di tutto.

[…] La gente fugge dalla morte in una barca che affonda e non trova nulla a cui aggrapparsi. I paesi chiudono le frontiere in faccia a chi cerca di fuggire con i propri figli da una morte certa. […] È un altro modo di morire, e il mare diventa una fossa comune simile alle fosse comuni delle armi chimiche. Siamo solo numeri…”.

Samira al-Khalil nei suoi appunti sparsi non risparmia critiche nemmeno all’Esercito dell’Islam, il gruppo salafita che rapirà lei e i suoi colleghi, portando alla luce la complessità della tragedia siriana con molti, troppi, attori in campo.

Le rivoluzioni infatti, come affermava l’intellettuale marxista libanese Mahdi Amel, non possono essere “pulite” perché nascono da un presente fatto di violenza e sangue, e spesso fanno emergere dalla terra anche i suoi “vermi”, come scrive al-Khalil.

Dopo sette anni, questo libro prova oggi a riportare all’attenzione la storia e il lavoro di questa giornalista e dei suoi colleghi che, come padre Paolo Dall’Oglio, sono praticamente scomparsi nel nulla in Siria.

Nel frattempo, il silenzio è calato sul massacro siriano e il regime continua a essere “il coltello nel fianco del paese”.