Gaza mon amour

di

26 Novembre 2020

L’ultimo film dei fratelli Nasser racconta l’amore a Gaza, nel tempo della guerra permanente

Issa è un pescatore non più giovane, scapolo, oppresso dall’ingombrante amore della sorella che vuole a tutti costi arrangiargli sposa e matrimonio. Siham è una sarta, vedova, madre di una ragazza inquieta e divorziata.

Pochi soldi, tanta fatica e rassegnazione in una realtà di mancanze e non detti: la Striscia di Gaza, indubbiamente uno dei posti dove più al mondo la parola “dramma” si fa fisica, pesante, pervasiva.

Gaza mon amour, il secondo lungometraggio dei fratelli gazawi Tarzan e Arab Nasser, sceglie di tingere questo dramma dei toni di una favola incerta, a tratti tenera, a tratti divertente, mai dimentica della situazione politica, economica e sociale della Striscia, che è un ripetuto calcio nello stomaco per chiunque vi si avvicini.

Il pescatore Issa (Salim Daw) è romanticamente innamorato di Siham (Hiam Abbas, notissima attrice arabo-israeliana) e inventa ogni possibile espediente per incontrarla e passare del tempo con lei, mettendo in piedi un corteggiamento quasi adolescenziale per le goffe modalità.

Il suo viaggio di improbabile eroe sarà ostacolato dalla petulante sorella e dal ritrovamento in mare di una statua di Apollo, inconveniente che gli darà parecchie noie con gli uomini di Hamas, l’autorità de facto che governa Gaza, sotto blocco terrestre, aereo e marittimo da parte di Israele dal 2007.

Il mondo dei protagonisti è ritratto a tinte blu, in una cronica mancanza di elettricità e luce, una sorta di perenne inverno spento e sbiadito, un tempo greve fino a essere fermo.

Dai vecchi film visti e rivisti alle musicassette del celebre cantante egiziano Abdel Halim Hafez, fino alle foto di famiglia in bianco e nero, Issa e Siham vivono in una realtà senza tempo, bloccati dal conflitto che impregna le loro vite in un passato che potrebbe essere prossimo come remoto. Segnati nel volto e nelle espressioni dalle avversità della vita, che a Gaza sono ancora più avverse. Nell’angolo di terra più densamente popolato al mondo, Issa e Siham sono mostrati nelle loro rispettive solitudini, imprigionati negli spazi angusti del campo profughi di Shati.

I fratelli Nasser ritornano con un’altra produzione internazionale dopo Dégradé (2015), girato in un salone di bellezza in cui una serie di donne si ritrovano bloccate con le loro storie e paure a causa di uno scontro armato. Anche stavolta i due registi riescono a raccontare il “personale” di Gaza dando conto degli aspetti politici della vita nella Striscia: la povertà, i debiti, l’ingiustizia, le convenzioni sociali, i disperati sogni di fuga e di “altrove”, le autorità burocratiche, corrotte, arroganti e disciplinatorie.

E, ovviamente, l’occupazione israeliana, tra i limiti alla navigazione che hanno fatto precipitare Issa nella miseria e i periodici bombardamenti, in un evidente riferimento, anche per il titolo, a Hiroshima mon amour. Analogamente, l’atmosfera blu pare strizzare l’occhio a Film Blu di Kieslowski, dove a essere oggetto di lutto è la vita che i due protagonisti non hanno avuto, causa guerre e condizioni sociali.

Diversamente da Dégradé, Gaza mon amour ci fa il regalo di un “lieto fine alla fine del mare”. Sulle note della malinconica colonna sonora di Andre Matthias, la favola si chiude con un momento di grazia e innamoramento per esistenze che navigano nel poco spazio loro consentito, come è per tutta la popolazione della Striscia di Gaza.