Munnu, storia di un ragazzo del Kashmir

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9 Ottobre 2021

Recensione del graphic novel di Malik Sajad (Add Editore)

Kashmir. Una parola suggestiva e musicale, un luogo lontano e per certi versi mitico, crocevia di antichi commerci e fucina di pregiati tessuti, ammantato di un’atavica magia degna delle Mille e una notte.

Ma dietro questo esotico velo di Maya si nasconde una terra tormentata, che nel corso dei secoli poche volte ha conosciuto la pace, per finire negli ultimi duecento anni al centro di una sanguinosa contesa geopolitica.

Nel suo Munnu. Un ragazzo del Kashmir – uscito in Italia lo scorso anno per Add Editore – l’autore Malik Sajad ripercorre la travagliata storia di questa regione attraverso il filtro della sua esperienza personale.

Come il Kurdistan, il Kashmir è attualmente diviso tra diversi Paesi: India, Pakistan e Cina. A partire dal 1947, la contesa tra i primi due Stati per il controllo di questo territorio ha dato vita a diversi conflitti, lungo la “linea di controllo” (Loc) innalzata per dividere il Kashmir indiano da quello pakistano.

Dapprima attraverso i suoi occhi di bambino, ultimo figlio di una famiglia numerosa (“Munnu” in lingua kashmiri significa “il più piccolo”), Sajad racconta le difficili condizioni di vita nel Kashmir indiano, dove la popolazione locale è costantemente vessata dall’esercito di Nuova Delhi.

In una situazione che ricorda quella palestinese, i kashmiri vengono sottoposti a un soffocante controllo militare e burocratico, che – sommato all’arbitrarietà delle torture e delle esecuzioni sommarie – rende pericolose anche le più banali azioni quotidiane e praticamente impossibile uscire dalla regione.

Ma Sajad/Munnu ha una passione: quella per il disegno, ereditata dal padre incisore di legno. E questo talento, che inizialmente lo aiuta a distrarsi dal drammatico contesto circostante, gli consente da adulto di prendere pubblicamente posizione sulla situazione politica del Kashmir.

Vignettista precoce per uno dei quotidiani più importanti della regione e poi fumettista noto anche oltre i ristretti confini della terra d’origine, con i suoi disegni Sajad non risparmia critiche al governo locale, a quello di Nuova Delhi, persino al frammentato movimento di resistenza del Kashmir.

Lo stile grafico di Sajad affonda le radici nella tradizione iconografica locale, con l’occhio a due grandi maestri del graphic journalism: Joe Sacco – citato espressamente nel graphic novel – e Art Spiegelman, a cui è ispirata la scelta di raffigurare i kashmiri come cervi rossi, una specie autoctona ormai in via di estizione.

Con il suo poderoso tomo di 352 pagine fitto di vignette, informazioni e storie, racchiuse nella griglia rigida di tavole in bianco e nero dominate dai toni scuri, Sajad trasmette la voglia di vivere di un popolo che non si rassegna, nonostante tutto, alla triste condizione in cui sembra essere stato relegato dalla Storia.

Solo così la lunga sequenza di drammi, morti e soprusi raccontati in Munnu non dà vita a un pessimismo cupo, lasciando almeno uno spiraglio alle speranze di futura autodeterminazione del popolo kashmiro.

Ma tutto si gioca su un filo sottile, perché proprio nelle ultime pagine quella speranza sembra cedere il passo al buio e alla rassegnazione. E il Kashmir, da mistica destinazione del viaggio spirituale evocato dai Led Zeppelin, rischia di trasformarsi ogni giorno di più nell’inferno del Kublai Kan di Italo Calvino.