Negri gialli e altre creature immaginarie, di Yvan Alagbé

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9 Aprile 2020

Recensione dell’antologia pubblicata da Canicola

Un titolo ermetico. Il segno quasi graffiato sulla tavola, in un drammatico bianco e nero. Nove racconti diversi, con uno sfondo comune. Questo è Negri gialli e altre creature immaginarie, di Yvan Alagbé.

L’antologia pubblicata da Canicola è arrivata in Italia nel 2019, anno che ha visto il fumettista franco-beninese protagonista anche al festival bolognese Bil Bol Bul, con una mostra personale.

«Lo spaesamento è la sintassi naturale di Yvan Alagbé».

Lo scrivono i curatori della mostra, ed è difficile dar loro torto. Perché le storie contenute in Negri gialli e altre creature immaginarie hanno un impatto potente, ma allo stesso tempo vagamente indecifrabile.

Certo, la trama è quella di storie migranti, episodi di vite vissute ai margini che da racconto ordinario possono diventare dramma intimo, o testimonianza di una condizione universale al cospetto della Storia (quella con la maiuscola).

Ma è l’intreccio a spiazzare, tenere sulla corda il lettore, che segue l’evoluzione delle vicende mentre cerca di cogliere sfumature, implicazioni, sondare quel non detto che rappresenta il terrapieno su cui poggiano queste storie.

L’elefante nella stanza, come direbbero gli inglesi, in questo caso è il retaggio coloniale della Francia contemporanea.

Un’eredità strisciante, che fa da sfondo alla storia da cui il volume prende il titolo: una vicenda claustrofobica, in cui echi della guerra franco-algerina e pregiudizi razzisti inseguono come spettri il giovane Alain.

In un coacervo di miserie umane dove nessuno sembra essere davvero innocente, torna come una costante il tema dell’identità perduta e impossibile da ritrovare per chi è costretto a vivere lontano da casa e dai suoi affetti.

Questa condizione ambivalente è riassunta nel termine dyaa, che dà il titolo a un racconto e ricorre in un altro: dyaa infatti è «il doppio nei nostri sogni, il riflesso nello specchio o l’immagine in una fotografia».

Ma è un’immagine deformata, come di chi si soffermasse a osservare la propria vita rendendosi conto che è diventata qualcosa che non gli appartiene più. Come una pianta sradicata e gettata al vento, strappata alla terra per il mare.

E proprio al mare, alla drammatica traversata del Mediterraneo, fa riferimento Sand niggers, che giustappone visioni mitologiche e infernali, episodi storici e contemporanei per tratteggiare la condizione del migrante rifiutato dal mondo.

Alla lotta contro questa ingiustizia quotidiana è dedicata Cartolina da Montreuil, testimonianza della battaglia portata avanti da un collettivo di lavoratori maliani per la regolarizzazione e il permesso di soggiorno.

Il monumento alla Resistenza francese, che dalla piazza antistante sembra osservare con indifferenza i destini del collettivo, si lega nel successivo Post Scriptum alla vicenda storica di Thomas Sankara.

Come a dire che è la Storia (sempre quella con la maiuscola) a chiederci di prendere parte, di schierarci a sostegno dell’umanità uscendo dalla bolla di pacifica indifferenza nella quale siamo inglobati.

Lo stesso fanno le nove storie di Yvan Alagbé: ci sfidano a considerare i migranti – e in generale le altre persone – non più come creature immaginarie, ma come esseri umani.

Una richiesta che, tuttavia, pare destinata a rimanere inascoltata, come annunciano profeticamente le ultime parole di Sand niggers:

«Raccontare è l’attività dei sopravvissuti. La leggerezza che una volta avevo non c’è più. Come potrà il mondo convivere con tutti i mali del mondo?»