Covid 19: cronache dalla Fortezza Bastiani 6

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28 Aprile 2020

Cronache marginali da un ospedale Covid

Il testo che pubblichiamo è l’ultima puntata degli scritti di un medico chirurgo che lavora  in un grande ospedale lombardo.
Fa parte di una serie di cronache di come stanno lavorando i nostri medici, gli infermieri, tutto il personale che è in prima linea contro il Covid-19.

Perché lo pubblichiamo? Ci racconta dei fatti, è un piccolo film in soggettiva che ci aiuta a capire come pensa chi è per ore dentro la battaglia. E lo pubblichiamo, soprattutto, perché c’è un punto che dovremo avere chiaro quando le cose si saranno calmate e poi stabilizzate: la sanità pubblica andrà potenziata, il nostro welfare andrà rivisto, a scapito delle spese militari per esempio, perché forse ormai tutti hanno capito quali siano le priorità oggi.

Grazie al medico che ha scritto queste parole. Lo manteniamo in anonimato, così come omettiamo il nome dell’ospedale, per semplice riservatezza, perché abbiamo bisogno di ragionare e non di vendere notizie sensazionali.

L’atmosfera si sta rischiarando e la cappa di paura e di morte incombente si sta dissolvendo. Il carico di lavoro sugli ospedali diminuisce, si comincia a chiudere i reparti di osservazione, si riducono i posti di terapia intensiva.

L’epidemia italiana non è risolta, deve proseguire l’attività di ricovero, osservazione e cura, occorre tenere alta la guardia, sorvegliare procedure e protezioni. L’organizzazione dei controlli sul territorio è l’attualità, il problema da affrontare. I dimessi, i soggetti positivi e i pazienti in quarantena non possono essere lasciati da soli fino alla completa guarigione, devono essere sottoposti, secondo protocollo, ancora a tamponi, eventualmente ricoverati per riprendere le cure farmacologiche e l’osservazione.

In questa, euforica, nuova condizione, si stanno ipotizzando piani di rientro alle abituali attività, come e quando aprire i reparti specialistici, le sale operatorie.

Non è più accettabile un ambulatorio con una successione di un paziente ogni 7 minuti, occorre cercare percorsi di accesso agli ambulatori sicuri e lontani da aree covid, prevedendo aggregazioni minori in spazi maggiori.

Dall’inizio dell’epidemia sono arrivati molti attestati di stima, di solidarietà, di incoraggiamento. Uno sventolare costante di lenzuola dipinte, fogli disegnati da bambini, pubblicità televisive aggiornate.

Fatta la tara, eliminata la retorica, sempre insita in queste dimostrazioni di affetto, conforta comunque sentirsi al centro delle attenzioni di così tante persone. Piano piano ringraziamenti e riconoscimenti sono stati richiesti, giustamente, anche da altre figure professionali come i trasportati, gli addetti alla nettezza urbana, i commessi nei negozi ancora aperti, gli operai delle fabbriche ancora in funzione, i panificatori, i contadini, i volontari.

Vero, negli ospedali si è vissuta una vera e propria rivoluzione, riconoscibile anche da chi gli ospedali non li frequenta. Sono saltati all’attenzione di tutti l’impegno profuso ed alcuni aspetti misconosciuti, come la vicinanza alla morte.

Vero, ad oggi sono morti dall’inizio dell’emergenza covid 129 medici e 34 infermieri, ma se si scorre la lista si riconoscono soprattutto medici di medicina generale, odontoiatri, oculisti, figure professionali più esposte al contagio per la vicinanza alle fonti di trasmissione interpersonale del virus o perché non adeguatamente protetti durante le prime fasi della pandemia, quando non si avevano sufficienti informazioni sul reale pericolo.

Non vanno dimenticati gli anestesisti e gli internisti, figure più strettamente ospedaliere. Possiamo però dire, con tutto il rispetto per ognuno degli oltre 20.000 morti, che questo è un periodo molto difficile per tutti gli italiani, non ancora concluso. Altrettanto difficile sarà il proseguio, la ricostruzione.

Da almeno tre settimane i medici legali e gli avvocati stanno discutendo quali potrebbero essere i margini per richieste di rimborso per malpractice. La lista dei casi presi in considerazione è lunga: i pazienti contagiati dal corona-virus, o loro congiunti, che si ritengono non adeguatamente trattati; i pazienti inviati, come da indicazioni regionali, presso le RSA delle quali si scopre ora l’inadeguatezza; i pazienti ricoverati per altre patologie che ritengono di aver contratto il virus in costanza di ricovero; i pazienti, oncologici e non, che hanno visto ritardati i tempi di ricovero e di trattamento, i soggetti che hanno contratto il virus per la carenza di dispositivi di protezione.

Si teme un’ondata di procedimenti legali e si cerca di fissare la tracciabilità di ogni paziente, di ordinare le pezze giustificative per ogni prestazione eseguita, di stabilire la cronologia dell’acquisizione delle conoscenze e incrociarle con i fatti denunciati.

Questo significa una montagna enorme di attività burocratica che i medici saranno chiamati a scalare, oggetto delle rivendicazioni legali, con buona pace degli attestati di solidarietà e di stima.

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