Netanyahu contro tutti

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16 Settembre 2019

Israele al voto

Il disegno della bomba, degno di una puntata di Wyle Coyote, resta irraggiungibile, ma anche stavolta Benjamin Netanyahu, detto Bibi, si gioca la carta della visualizzazione semplicistica per rilanciare una campagna elettorale che non lo vede brillare.

Martedì 17 settembre, infatti, Israele torna al voto, dopo le elezioni anticipate di aprile che non sono riuscite a individuare una maggioranza chiara. Qualcosa è cambiato, in un quadro che resta confuso, ma che vede il dominus assoluto della politica israeliana (Netanyahu è al potere da dieci anni) in difficoltà. Lo era anche ad aprile, lo resta adesso.

Ecco che, come nel 2012, arrivano i fuochi d’artificio di Bibi: all’epoca con il disegno della bomba tracciava linee rosse sulle quali sarebbe morto l’Iran e il suo programma nucleare, oggi come un patetico comandante da Risiko, promette di annettere la valle del Giordano.

Spararla grossa come pratica politica, insomma, e come piani generali son cose note ai vertici della politica israeliana, ma il punto è che stavolta è riuscito a ottenere un segno di esistenza in vita della Ue, compatta nel dire un no secco a un progetto contrario a qualsiasi normativa di diritto internazionale, e pure dagli Stati Uniti d’America, i segnali son deboli.

Perché l’amministrazione Trump, dopo un appoggio incondizionato, è diventata più fredda con Bibi. Prima di tutto perché può perdere, e il rapporto Usa-Israele deve stare sempre coi vincitori, poi perché il quotidiano Politico ha pubblicato un’inchiesta molto imbarazzante.

Sarebbero stati utilizzati dei mini congegni, chiamati StingRays, che attraverso i devices controllavano le conversazioni di alti dirigenti di Washington. Netanyahu, poi, da buon politico che ama lo stile mafioso, non ha aiutato i suoi fan negli Usa, andando a Sochi a incontrare Putin, mentre l’amministrazione Trump perdeva i servigi di John Bolton, lui si un uomo fidato per Bibi.

I 61 seggi necessari per governare la Knesset (il parlamento israeliano) sono lontani. Bibi ha tanti avversari e, al momento, nessun alleato.

Bibi si è limitato ai fuochi d’artificio: annessione della Cisgiordania, come detto, e attacco a Gaza, un evergreen che non tramonta mai. Ma poco altro. Soprattutto non ha sciolto il nodo chiave della sua alleanza con Avigdon Liebermann.

Quest’ultimo, leader degli ultra-nazionalisti di Yisrael Beitenu, non sente ragioni e ha già fatto cadere il governo: gli ebrei ultraortodossi devono fare il servizio militare e smetterla di essere solo un costo per le casse d’Israele.

Una posizione dura, che Netanyahu non riesce e non può sposare, salvo perdere l’appoggio dei partiti religiosi, mentre Liebermann attacca. E dopo averlo messo in difficoltà su questo tema, ha rilasciato un’intervista al vetriolo a Channel 12 nei giorni scorsi.

Netanyahu, secondo Liebermann, fermò quest’ultimo – allora ministro della Difesa -dall’assassinare il capo di Hamas, Ismail Haniyah, nella Striscia di Gaza.
Lieberman ha affermato che esisteva un accordo firmato con il partito Likud di Netanyahu il quale prevedeva piani per rovesciare il governo di Hamas nella Striscia di Gaza. Ha aggiunto che il primo ministro fece tutto il possibile per evitare di proseguire con questo accordo. Rispetto ai venti di guerra di Netanyahu in campagna elettorale, Lieberman è stato gelido: “Abbiamo sentito queste promesse di Netanyahu all’inizio del 2009, e da allora non sono state messe in atto”.

A questi attacchi esterni, Bibi non ha reagito, preso anche dalle sue gaffes. Efraim Zuroff, leader del Centro Wiesenthal, che si occupa della caccia ai criminali di guerra nazisti e collaborazionisti che parteciparono all’Olocausto, ha attaccato duramente Netanyahu dalle colonne del suo blog su Times of Israel, colpevole nella recente visita in Ucraina (e prima ancora in Lituania) di blandire paesi che non hanno mai fatto i conti con le deportazioni durante la Seconda Guerra mondiale.

Per finire, in termini di autogoal, con la follia (sempre rivolta agli elettori di estrema destra) di accusare gli elettori arabo-israeliani di preparare manipolazioni di massa del voto del 17 settembre prossimo, che gli è valso un blocco temporaneo del suo account Facebook con l’accusa di hate-speech.

Una serie di complicazioni, per Bibi, confermate dai sondaggi: in vantaggio c’è il partito Blu-Bianco, accreditato di 32 seggi, dell’ex generale Benny Gantz, mentre il Likud di Bibi è fermo a 31.

E gli altri? La Lista unita dei partiti arabi, la nuova formazione di destra Yamina dell’ex Ministro di Giustizia Ayelet Shaked e Yisrael Beitenu sono valutati attorno ai 10 seggi. Attorno ai 7 seggi i partiti ultra-ortodossi Shas e United Torah Judaism e Campo Democratico di Ehud Barak. I Laburisti non supererebbero i 6 seggi seguiti dal partito di estrema destra Otza Yehudit con 4 seggi.

Un quadro complicato, come dimostra la decisione, in tutta fretta, in cerca di voti di estrema destra per il suo partito Likud, di Netanyhau di approvare la legalizzazione dell’avamposto coloniale di Mevo’ot Yeriho nella Valle del Giordano. Basterà?

La sensazione è che Liebermann, assieme al partito Blu-Bianco, sfrutterà fino in fondo il nodo gordiano del servizio militare degli ultra-ordotossi. E per Bibi il problema non è solo politico.

Tante volte, in passato, ha dimostrato di sapersi riprendere il suo partito e il paese, che è e rimane un paese profondamente a destra dal punto di vista dell’occupazione e della soluzione della questione palestinese. Basti pensare che, proprio il 17 settembre, Benny Gantz – secondo indiscrezioni di Ha’aretz – è al centro di un’udienza di un tribunale olandese per una strage di civili a Gaza nel 2014, quando lui comandava le truppe israeliane. Ma questa volta, per Bibi, il problema sono i giudici.

I tre procedimenti che pendono su di lui (vedi articolo sulle elezioni di aprile) sono una spada di Damocle e non essere il comandante in capo, magari mentre infuria una bella guerra a Gaza o – perché no – in Iran, lo renderebbe vulnerabile. Situazione, questa sì, alla quale Bibi non è abituato.