Dall’avvento degli smartphone e dei social media, fotogiornalisti e fotografi documentaristi hanno dovuto evolversi nel loro lavoro, offrendo qualcosa in più delle sole fotografie: da allora devono proporsi come storytellers, affinare il loro fiuto giornalistico, essere pronti a lavorare in team.

L’ambito multimediale è stato lo sbocco naturale per un utilizzo contemporaneo e una diffusione più ampia dei progetti di fotografia documentaria.

Audio-slideshow, long form, web doc sono produzioni che, online, hanno dato agli approfondimenti fotogiornalisticii una portata più ampia di quella che avrebbero potuto ottenere sulla carta.

Ecco dunque una breve storia della fotografia documentaria multimediale. 

Meno di venti anni durante i quali ci sono stati progetti/prodotti che hanno segnato e influenzato il racconto per immagini e hanno introdotto un mutamento nel linguaggio visivo, la cui grammatica si è dovuta adattare al montaggio, mettendo in secondo piano l’impaginazione.

Meno di vent’anni per notare che alcuni di questi lavori non esistono più, non sono più visibili, sono scomparsi da qualsiasi possibilità di fruizione. É il caso di “One in 8 Million”, splendido progetto del Nyt realizzato da Todd Heisler che è arrivato a vincere un Emmy Awards nella categoria “Nuove tendenze del cinema documentario” e che adesso non è più visibile online, probabilmente per una obsolescenza di tecniche e linguaggi web allora utilizzati. Un problema che andrà affrontato con serietà, perché se le nuove tecnologie sostituiscono le vecchie a scapito dell’integrità di un prodotto finito non si può parlare di evoluzione ma di tabula rasa.


2006 – Kingsley’s Crossing foto Olivier Jobard – produzione Mediastorm

La migrazione di Kingsley dal Camerun alla Francia, un viaggio lungo e pericoloso documentato da Olivier Jobard passo dopo passo, attraverso il deserto e l’oceano. Un racconto che grazie alle immagini e alla voce del protagonista ci mostra l’immigrazione con gli occhi di chi l’ha vissuta, fino a farci capire quali sono i vantaggi, il prezzo da pagare e le illusioni di un tale sogno.


2010 – One In 8 Million– foto Todd Heisler – produzione The New York Times

56 ritratti brevi in forma di audio-slideshow con protagonisti gli abitanti di New York, persone comuni che si raccontano in modo aperto e intimo: un giovane detective, una madre adolescente, un artista di strada, uno specialista di abiti da sposa e tanti altri appaiono nelle immagini in bianco e nero di Todd Heisler e in un curatissimo audio con le loro testimonianze. Bellissimi singolarmente e interessantissimi nel loro complesso, attraverso delle semplici storie singole questi video raccontano la complessità della metropoli contemporanea per antonomasia. La serie ha vinto un Emmy Award nella categoria “Nuove tendenze del documentario”. Il link collega al trailer, come scritto sopra infatti l’intero progetto non è più visibile.


2011 – One Day On Two Wheels – foto e produzione Rino Pucci

Cinque storie di londinesi che – in modi o per scopi diversi – usano la bicicletta o hanno a che fare con la bicicletta. Un lavoro da tenere in considerazione per l’interesse giornalistico su tematiche ambientali e per l’utilizzo di tutti gli strumenti del linguaggio multimediale in una narrazione ben articolata: efficace sceneggiatura, sapiente uso della fotografia, ottimo utilizzo del supporto audio, del montaggio e della grafica, funzionali alla fruizione sul web e non solo.


2016 – Future Cities – foto Yvonne Brandwijk – produzione Pakhuis de Zwijger

Nel 2050, più del settanta per cento della popolazione mondiale vivrà in un ambiente urbano. Future Cities è un progetto transmediale in cinque parti, un web doc che indaga quali saranno le aree urbane emergenti più interessanti del mondo tra il 2025 e il 2050, ovvero quali città stanno cercando di superare le attuali megalopoli in termini di crescita, innovazione e creatività.


2017 – How The Rohingya Escaped – foto Tomás Munita – produzione The New York Times

L’esodo forzato dei Rohingya visto dall’interno. Scrive in proposito The New York Times: “L’obiettivo di questo progetto di narrazione visiva era presentare potenti prove che documentassero la verità sui campi profughi in Myanmar e Bangladesh.” Le potenti e drammatiche immagini di Tomás Munita vengono inserite tra video, mappe e grafiche che mostrano inequivocabilmente la tragedia di una popolazione vittima di un tentativo di pulizia etnica.


2017 – Finding Home – foto Linsay Addario – produzione Time

Taimma Abazli, 24, holds her new baby Heln in their tent at the Karamalis camp in Thessaloniki, Greece, September 2016 Lynsey Addario—VerbatimTIME

La parte significativa del tutto: la storia di una famiglia di profughi siriani seguita durante il primo Anna di vita della figlia Heln nel loro peregrinare in Europa, alla ricerca di un luogo dove vivere lontano dalla guerra che devasta il loro paese d’origine. Un racconto privato emblematico di una situazione collettiva. Un long form con uno sviluppo per il web efficace che consente di seguire la narrazione attraverso le chat Whatsapp tra la giornalista Francesca Trianni e Taimaa, la giovane madre di Heln, senza bisogno di aggiungere testi didascalici alle memorabili foto di Linsay Addario.


2021 – Blood Is A Seed – foto e produzione Isadora Romero

Nel corso del XX secolo, a livello globale, è andato perduto il 75% della diversità genetica delle piante agricole, a causa della coltivazione di monocolture di varietà modificate e spesso non autoctone con un rendimento più elevato. Il video è narrato dalla fotografa e dal padre, che ci raccontano le loro percezioni delle trasformazioni vissute dai piccoli agricoltori nelle ultime tre generazioni. Un video che esplora il passato con un linguaggio contemporaneo: giocando con i parallelismi tra codici genetici e codici binari delle fotografie digitali e abbinando fotografie digitali, fotografie su pellicola (alcune delle quali scattate con rullini 35mm scaduti) con i disegni del padre dell’autrice.


2022 – Blue Affair – foto e produzione Kosuke Okahara

Blue Affair è un audio-slideshow contemplativo e sperimentale, basato sulle esperienze del fotografo durante alcune sue visite a Koza (ufficialmente la città di Okinawa), in Giappone, e su come luoghi e persone, visti e vissuti, appaiano ricorrenti nei suoi sogni. Il video esplora il modo in cui i ricordi si infiltrano nei sogni e ci porta a riconsiderare il rapporto tra sogni e realtà vissuta. Blue Affair ha ottenuto un riconoscimento al World Press Photo, la cui giuria ha riconosciuto al progetto un valore documentario oltre che artistico e nella motivazione ha scritto: “Questo progetto è una finestra attraverso la quale siamo in grado di vedere i sogni personali dell’autore e il loro riflesso nel suo rapporto con una città in un particolare momento e contesto storico. (…)  È un lavoro concettuale ben realizzato – con immagini fluide e ben ritmate – un lavoro psicologico che guarda un microcosmo con immenso dettaglio. Oltre alla combinazione di linguaggi – immagini fisse, paesaggio sonoro e narrazione poetica – il progetto è un ottimo esempio di come possiamo utilizzare le immagini fisse per creare un’opera in movimento.”


2023 – Here, The Doors Don’t Know Me – foto Mohamed Mahdy – produzione Magnum Foundation

Per generazioni, gli abitanti di Al Max, una comunità di pescatori ad Alessandria d’Egitto, hanno vissuto vicino all’acqua, guadagnandosi da vivere pescando. Ma l’innalzamento del livello del mare dovuto al cambiamento climatico e la necessità di un rinnovamento urbano hanno fatto sì che il governo egiziano abbia deciso di sfrattare e trasferire gli abitanti di Al Max in alloggi a diversi chilometri dai canali. Molti residenti rimangono scettici sulla reale necessità di questi trasferimenti. Ciò che è certo è che delocalizzare significa non solo demolire le case, ma mettere in pericolo la memoria collettiva e la cultura locale radicata nel quartiere di Al Max. Per questo progetto, Mohamed Mahdy ha incoraggiato i residenti a scrivere le proprie lettere, costruendo un archivio di ricordi privati ​​per le generazioni future. Le storie raccontate in questo progetto parlano della precarietà delle persone di tutto il mondo che lottano per il riconoscimento dei loro diritti in mezzo a sconvolgimenti economici e ambientali globali.