Si intitola Radio Fresh FM l’inedito reportage giornalistico scelto lo scorso settembre dalle giurie dei pitching in piazza di Meglio di un romanzo, e nei prossimi mesi verrà sviluppato a puntate sul sito di Festivaletteratura e sulla rivista Q Code Magazine. Al suo interno, la giovane giornalista Jo Meg Kennedy indaga una vicenda poco nota ma di estremo interesse che concerne il racconto mediatico della guerra in Siria – balzato nuovamente all’attenzione internazionale in queste settimane dopo la capitolazione del regime di Bashar al Assad –, ricostruendo la nascita e le voci di una radio siriana indipendente fondata nella cittadina di Kafr Nabl nel 2013, quando la quotidianità del paese era già segnata da violentissimi scontri militari tra il regime alauita e le fazioni dei ribelli, con omicidi di massa e sistematiche violazioni dei diritti umani.
Radio Fresh FM – di cui vi proponiamo sotto la bella introduzione – uscirà in cinque puntate, da gennaio a maggio 2025, andando ad aggiungersi alla ricca serie di produzioni originali di Meglio di un romanzo, il progetto di valorizzazione di giovani talenti del giornalismo narrativo che Festivaletteratura porta avanti dal 2013 con la guida e il coordinamento del giornalista Christian Elia.
RADIO FRESH FM: IL RACCONTO DELLA RIVOLUZIONE IN SIRIA
NON È STATO SPENTO
di Jo Meg Kennedy
In memoria dei ragazzi di Daraa e Hamza al Katib
Ho scritto, riscritto e scritto ancora l’introduzione in questi giorni, alla luce di quello che è successo nelle scorse settimane, che ha stupito tutti. La situazione nel Sud Ovest Asiatico, lasciava immaginare dei grandi cambiamenti, soprattutto dopo il 27 novembre con il cessate il fuoco tra Israele e Libano. Nessuno poteva aspettarsi però che il regime siriano capitolasse in una manciata di giorni, dopo anni nei quali pareva avere il controllo del Paese. Bashar al Assad dal 2011 in poi ha agito seguendo una coordinata: “Assad o bruceremo il paese”. Come scriveva Bertolt Brecht: “Poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo”. Finalmente, ciò che da anni era stato desiderato, senza alcuna certezza rispetto a quando si sarebbe realizzato, è diventato realtà: con la coda da leone* tra le gambe Assad è scappato, come Ben Alì era scappato nel cuore della notte da Tunisi su un aereo, per non fare la stessa fine di Gheddafi.
Forse, gli unici che non si sarebbero stupiti di tutto ciò sono quelle persone che oggi non ci sono più e che in qualche modo sapevano che il loro scopo era di spargere dei semi. Sono tanti, hanno pagato un prezzo altissimo e questa storia parla di alcuni di loro: Raed Faris, Hammoud Jounin e Khaled al Essa. Tre fondatori di una radio indipendente che sarà il filo conduttore delle prossime cinque puntate nelle quali vi racconteremo la loro storia, la storia di coloro che oggi non sono qui a vedere quel regime cadere, ma che sono parte determinante della sua fine. Come altri, Raed e i suoi colleghi sapevano che tale compito non poteva essere portato a termine in pochi anni, soprattutto dopo cinque decenni di dittatura, ma erano convinti che i loro figli e la nuova generazione avrebbe potuto vedere i frutti del loro lavoro: “è per i nostri figli che abbiamo deciso di alzarci.”
Fondarono la radio nel 2013, in una cittadina che si chiama Kafr Nabl, nel governatorato di Idlib. Così era nel luglio del 2017:
“Il mio nome è Raed Fares, sono il direttore di Radio Fresh e il giornalista che ha girato il video che avete appena guardato. È stato molto facile attraverso questo video riportarvi il suono e l’immagine. Tuttavia, quello che era impossibile da mostrare era l’odore che senti quando arrivi sul posto. È l’odore di sangue bruciato, di verdure bruciate, di armi – è l’odore di 50 anni di oppressione e dolore segnati nella mia memoria. La domanda è: valeva la pena di iniziare una rivoluzione e confrontarsi con Bashar al-Assad?” (da 00:00 a 01:49)
Questa è una di quelle voci che raramente si trova come voce narrante nei media mainstream quando i riflettori puntano su una tragedia capitata in Siria per i tre giorni di rito. Come in Siria, anche in altri paesi esiste il tentativo di rendere le ingiustizie irrilevanti, normalizzandole, allo scopo di arginare la possibilità di combatterle. Queste voci si trovano quindi confinate alle versioni mediatiche digitali. Come la stessa giornalista siriana, Wafa Ali Musta ha ripetuto nei giorni scorsi in merito alla copertura di cui godeva di nuovo il Paese:
- “presto il breve momento di attenzione alla Siria – i detenuti, la tortura e tutto ciò che abbiamo sopportato – svanirà ancora una volta”.
Le loro voci sono riuscite a raggiungerci per vie traverse. Compreso che avrebbero dovuto fare da soli, hanno trovato il modo per farsi ascoltare. Di necessità virtù.
In questo senso, le rivoluzioni che hanno sconvolto il Sud Ovest Asiatico e il Nord Africa, dal Marocco all’Iraq, nel 2011, hanno rappresentato un momento di rottura e di ribellione contro i regimi al potere e le narrazioni dominanti. La digitalizzazione ne ha rappresentato la chiave di volta: ha reso possibile la costruzione di spazi alternativi. Piattaforme online efficaci nello svolgere un gran numero di funzioni che hanno permesso di connettere il tessuto siriano, dar voce ad auto narrazioni, esprimere rabbie e rimostranze, celebrare lutti e desaparecidos, incanalare il malcontento, organizzare il dissenso, sfidare collettivamente il potere ed esercitare una agency fino ad allora negata. I social media ne sono l’esempio. Infatti, la rivoluzione in Siria è stata anche chiamata la “Rivoluzione di YouTube” – motivo per cui sono voluta partire da un video di questa piattaforma dove alle spalle di Raed Fares si intravvede il suo canale, da cui pubblicava tutto ciò che aveva documentato dal 2011 in poi. Precedentemente, le forme di opposizione avevano come punto di riferimento le teorizzazioni di Omar Aziz. In una antologia del Collettivo Idrisi che raccoglie i suoi scritti, Prima che parli il fucile, suggerisce cos’è la rivoluzione in quel contesto, come praticamente fare secessione dallo spazio politico del regime attraverso l’auto-organizzazione in comitati popolari.
Sono venuta a conoscenza della storia di Radio Fresh per la prima volta nell’ottobre del 2022. Mi trovavo nell’ufficio di Francesca Biancani, la mia relatrice di tesi magistrale all’Università di Bologna. Le avevo confessato quello che io sentivo come necessità, ossia di continuare a lavorare sulla Siria, per via di una promessa che avevo fatto sei anni prima. Nelle estati del 2016 e del 2017 ero partita per la Giordania con un gruppo di volontari e attivisti per realizzare un progetto. In quelle occasioni ho raccolto le testimonianze di alcune famiglie siriane che ho incontrato in Giordania a Madaba, Zarqa e al Mafraq. Queste ci chiedevano di raccontare la loro storia, cosa che abbiamo loro promesso. Ho provato a farlo con le tesi triennale e magistrale, ma non bastavano perché tenevano quelle storie confinate dentro le mura accademiche. Quindi le loro voci le troverete qui, insieme a quelle di chi ha costruito la radio, dei citizen-journalist e degli esperti. Saranno inserite in queste puntate, perché rappresentino l’auto racconto di una rivoluzione.
In questo spazio, che è stato concesso da Festivaletteratura, all’auto racconto verrà dato un ruolo centrale. Troppo spesso il mondo occidentale ha imposto la propria opinione dimostrando anche ampie lacune nella comprensione dei fenomeni. L’esempio per eccellenza è rappresentato dalle rivoluzioni del 2011 spesso interpretate con un approccio coloniale nel giudicarle fallite, e razzista nel decidere arbitrariamente che un pezzo di mondo non abbia diritto alla libertà perché non è capace di gestirla. Si è sentito dire “o ci sono dittature oppure regna il caos”, ma ciò lascia intendere che vada bene che comunità intere siano senza libertà perché questo restituisce al nostro sguardo l’idea di essere più stabili. Quindi anche il concetto di caos si ammala di colonialismo. Infine c’è una doverosa critica da muovere nei confronti di chi nel raccontare la partecipazione a quelle manifestazioni romanticizzava tale scelta, o peggio, definiva questi ragazzi e ragazze, uomini e donne, ingenui ed ingenue.
Quelle piazze però, non avevano bisogno di nessuno per raccontarle, si raccontavano da sole. Come scriveva su SyriaUntold nel 2022 Zaina Erhaim, giornalista siriana che ha avuto modo di attraversare gli spazi della radio:
- “Nel 2011, un nuovo termine iniziò a circolare in Siria: media alternativi. Mentre la rivolta prendeva piede, questo era il termine che i siriani usavano per descrivere le iniziative individuali e dal basso che emersero per raccontare la storia in evoluzione di quel movimento popolare. E in poco tempo, questi media alternativi si sarebbero evoluti in piattaforme di notizie professionali”.
Questo articolo è stato quello che Francesca Biancani ed io abbiamo letto per la prima volta sulla storia della radio. Radio che faceva proprio questo: documentava, informava e raccontava di quanto stava accadendo, aprendo anche uno spazio per la formazione dei cittadini in modo che anche loro potessero fare altrettanto diventando citizen journalist (spazio che dal 1963 era stato chiuso per via della legge emergenziale che è rimasta in vigore fino al 2011). In cinque puntate, con le loro voci, e con quelle di esperti, questo longform vi racconterà la storia di Radio Fresh, delle persone che l’hanno animata, che oggi non sono più qui a veder fiorire i semi di libertà che hanno piantato raccontando che si poteva fare.
- Assad ha convinto il mondo – e ci ha convinto – che la Siria non può esistere senza di lui. Quello che abbiamo fatto qui è stato dimostrare che possiamo. **
E così è stato.
- * Leone: “Hafez al-Asad durante il servizio militare era un pilota. Lungo la sua carriera militare ebbe diversi successi. Inizialmente il suo cognome non era Asad, che in arabo significa ‘leone’. Aveva un altro cognome che tradotto significava “asino”. Per via dei suoi successi gli fu concesso di cambiare il cognome”. Aneddoto raccontato nel 2019 da Nur Brijawi.
- ** Parole di Raed Fares tratte dall’articolo di Baghdadi I., “Remembering Raed Fares, who believed that Syria would be saved by its people”, Washington Post, 27 nov 2018.
- *** Copertina: immagine di Raed Fares, Kafr Nabl – Idlib, 4 gennaio 2013, consultabile sulla pagina Facebook dell’autore. Per eventuali richieste scrivere a info@festivaletteratura.it.