Guardatevi allo specchio, diritti negli occhi, con le immagini che arrivano da Gaza
Ci ha messo oltre 50.000 morti l’Europa, o parte di essa, per prendere una posizione più decisa nei confronti di Israele. Per ora è un warning, più deciso e diverso da questi ultimi mesi di chiacchiere. Il genocidio prosegue con bombardamenti quotidiani, esplosioni che ci vengono mostrate sui social dai telefonini da chi le subisce e dai giornalisti gazawi, che hanno pagato un prezzo di sangue assurdo, veri e propri target militari.
Ma è la fame a spaventare le cancellerie europee. Anzi veder morire di fame. Secondo dati Onu, riportati da BBC e altri media 14.000 bambini rischiano di morire di fame.
Chissà se si vorranno aspettare le foto scheletriche e senza vita prima di accelerare una reazione diplomatica che sinceramente, e in nome dei valori universali e costitutivi dell’Unione, Ci saremmo aspettati ben prima.
Il passaggio pubblico del criminale di guerra Benjamin Netanyahu (per ora solo accusato dalla Corte Penale Internazionale) in cui spiega che gli aiuti saranno sotto il controllo militare, o di una fantomatica Ong sotto controllo, e i pochi tir fermi senza scaricare a Gaza rendono il tutto tragicamente ancor più disumano, se esiste un limite.
Qui siamo di fronte a un piano, che prosegue, di eliminazione sistematica. È stato raccontato dalle ferite spesso mortali e dai cecchini impegnati a distruggere le nuove generazioni di Gaza, mentre l’opera di distruzione e di attacco dei coloni prosegue imperterrita, con l’esercito che svuota arsenali riempiti adeguatamente con elargizioni Usa e commesse che attingono al commercio anche di paesi europei.
A un anno e sette mesi di macello sistematico abbiamo avuto la conferma che l’ONU semplicemente non esiste più: gli equilibri e la spinta di umanesimo che ci fu dopo la Seconda Guerra è saltata del tutto. L’Onu sta morendo con una lenta agonia, non c’è ancora all’orizzonte una nuova struttura capace di superare quella spinta alla mediazione, al compromesso, il dettare regole che siano rispettate da una comunità di Stati. E nello stesso tempo ci vorrebbe una struttura riconosciuta a livello globale senza un Consiglio di Sicurezza, ormai vetusto e capace di meccanismi di prevenzione e interdizione, ma soprattutto capace di avere un peso sulle decisioni dei singoli stati.
Paolo Lembo è un diplomatico di lungo corso, ha lavorato per diversi anni ai piani alti dell’Onu e sul campo, con una capacità negoziale e di mediazione in aree sconvolte dalla guerra. Nel corso di un sentito dibattito, erano i giorni del Festival della Fondazione Diritti Umani, ha ricostruito la parabola discendente delle Nazioni Unite, e i nuovi concetti di sicurezza, oltre all’impunità totale che contraddistingue questa parte di secolo in cui chi è forte militarmente si fa beffe delle regole.
Lo specchio di Gaza è quello in cui noi ci dobbiamo guardare ogni mattina e decidere cosa vediamo. I distinguo. Le ideologie. E poi chiederci se siamo ancora umani, noi che affrontiamo la giornata sapendo che un genocidio è in corso, sapendo che c’è un numero grande di persone che sta soffrendo un piano di eliminazione e un sistema globale che è andato in frantumi che ci porterà solo ad altre guerre, odi, distruzione.
Guardatevi allo specchio, diritti negli occhi, con le immagini che arrivano da Gaza, con l’immagine di tir con aiuti fermi mentre i corpi sono contorti per la fame, dentro rifugi di fortuna spesso bersaglio di missili che piovono in maniera ragionata e sistematica.
Qui c’è una breve intervista, ma ficcante. C’è speranza, riconoscimento del lavoro di persone importanti capaci di fare la differenza, anche se dentro un pachiderma come le Nazioni Unite
Israele e IDF uber alles
Cliccando qulla videogallery vedrete gli spari in aria di militari dell’IDF israeliano mentre una delegazione di diplomatici, fra cui numerosi europei, stava eseguendo una ricognizione sulle condizioni di vita A Jenin, che si trova in Ciosgiordania non certo a Gaza. L’esercito ha detto che erano in una area non autorizzata. A questo punto siamo arrivati del disprezzo e dell’avvertimento, evidente, dei soldati israeliani e quindi di chi li comanda. Messaggio chiaro. Sperando che sia chiaro anche ai rappresentanti di quelle nazioni che erano presenti, nelle loro giacche e cravatte: è il momento di agire ora e di riportare Israele ad accettare le regole del diritto umanitario e internazionale.