Una ricerca Ipsos dice che sono in aumento sentimenti negativi nella popolazione, mentre l’Ilo ci dice che i salari reali in Italia sono diminuiti dell’8,7% rispetto al 2008.
La forbice ricchi/poveri si allarga, una tendenza che pare inarrestabile. Nei giorni scorsi l’Organizzazione internazionale del Lavoro ha scritto in un rapporto un numero impressionante della perdita del valore salariale italiano. Meno 8,7%, sotto al 2008 e risultato peggiore nei Paesi G20. E quindi che si fa?
A livello sociale, ognuno vive in bolle variamente rappresentate, ma con molti suoi simili per abitudini e stili di vita, capita sempre più spesso di sentire storie di erosione del risparmio, veloce e necessaria. L’Italia, paese di risparmiatori e prime case di proprietà, vive nel presente quel futuro precario che veniva disegnato anni fa, aggravato da una nuova era globale di rapporti tesi e conflittuali fra superpotenze, che generano insicurezza in chi blocca la propensione a investire e si rifugia in situazioni sicure, attendendo i famosi tempi migliori.
Il senso di disorientamento, unito al problema dell’abitare nei grandi centri urbani e ai salari pessimi, si ripercuote sulle scelte delle generazioni più giovani, che sempre più spesso migrano verso situazioni di riconoscimento migliori. La classe media è stata disarticolata con una tendenza verso l’impoverimento superiore a quella parte che è riuscita ad arrivare nella parte alta della classifica.
Enzo Risso, giornalista e sociologo di Ipsos, ne ha scritto su Domani. Cita due sentimenti negativi che serpeggiano nella nostra società: rabbia e disgusto.
La rabbia; scrive Risso. nell’ultimo anno la sensazione di rabbia vissuta dalle persone è passata dal 17 al 27 per cento, con un balzo di ben 10 punti percentuali. La dimensione di disgusto ha fatto un salto ancora superiore ed è salita dall’8 al 21 per cento, con una crescita di 13 punti percentuali. La prima emozione in cui galleggiano gli italiani è l’incertezza. Una dimensione emotiva che ha fatto registrare un più 4 per cento rispetto a un anno fa, passando dal 53 al 57 per cento. Se l’incertezza guida lo spettro delle emozioni della maggioranza del paese, la dimensione dell’ansia la insegue da vicino.
Gli orrori cui stiamo assistendo sui diversi territori di guerra ci chiederebbero di essere nelle piazze in maniera permanente. Lo sfregio della diplomazia e della politica nobile arte del compromesso lasciano stupefatti. Il non umano e il sub umano sono categorie che ci aggrediscono nei milioni di foto che circolano sulle reti sociali e che a ben vedere dicono che chi viene eletto in sistemi democratici, con giacca e cravatta o tailleur che sia non si fa scrupoli nemmeno nel cercare di nascondere una concezione spietata dell’uso della violenza, in spregio a qualsiasi valore della vita umana. Tutt* siamo sacrificabili, se non nei corpi, alle nostre latitudini la guerra ci viene paventata, sicuramente nell’urto del vedere come si reggono gli altisonanti valori delle democrazie, non solo occidentali. C’è un pericoloso svuotamento di senso, che alla fine si ripercuote sulla fiducia, sulla speranza, sui sentimenti positivi.
Enzo Risso prosegue: Questi dati non solo descrivono l’accrescersi delle forme di disagio economico e della frattura sociale, ma illustrano l’avanzare di una profonda erosione dell’immaginario sociale, di un progressivo svuotamento delle aspettative future. La faglia sociale innescata dalla crescita delle disuguaglianze di reddito e opportunità si sta sempre più allargando, coinvolgendo ogni anno nuovi segmenti di popolazione.
Un mio riflesso condizionato porta ad associare questa analisi alla decretazione d’urgenza con cui il governo Meloni vuole introdurre una maggiore ‘tutela legale’ per i poliziotti che sparano, se si trovano in pericolo, con una sorta di scudo penale che non prevederebbe più la sospensione dal servizio o la decurtazione della paga.
Vale a dire; come sarà la risposta del muscolare e neofascista governo di fronte a eventuali esplosioni di rabbia sociale? Il decreto sicurezza, approvato alla Camera e ora in Senato per un restyling chiesto anche dal Quirinale, farebbe il resto. Sono speculazioni, ovviamente, ma anche queste dettate da questo periodo scuro della vita sociale e lavorativa di un paese costretto ad invecchiare, con la natalità arrivata in negativo.
Serve un nuovo patto fondativo: ci sarebbe piaciuto fondato sulla cura, ma sarebbe utile che lo fosse almeno sul riconoscimento degno del lavoro che si presta, o che si imprende. I segnali di una crisi profonda vengono raccolti da tempo. Mancano le forze, a volte, per opporsi. Ma sarà necessario.